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I lost all faith in my god, in his religion too
I told the angels they could sing their songs to someone new
I lost all trust in my friends
I watched my heart turn to stone
I thought that i was left to walk this wicked world alone...


Segreto.
Basta la sola parola a far tremare.
Di gioia, eccitazione, paura, rabbia.
Basta la sola parola.
E solo la semplice idea può distruggere anche la diga più forte e robusta.
Damon Michael Howthorne, futuro Lord, osservava il soffitto nero della Stanza dei Pugna Laeta.
Stanza con due sole porte. E una barriera divisoria, proprio a spaccare il rombo a metà.
Stava seduto, stravaccato, le gambe lunghe e il capo rivolto indietro, oltre la testata della poltrona.
Una sigaretta gli penzolava dalle labbra.
E fissava il vuoto. Come faceva da quasi una settimana.
Le sue visioni erano sparite.
Anche i suoi sogni.
E nella testa ora gli rimbombava solo un dolore sottile. Che sembrava non avere forma...ma che aveva unghie e artigli che provocavano tagli così laceranti da impedirgli di dormire, di mangiare.
Segreto.
Cos'era in fondo?
Una malattia. Qualcosa che ti uccide da dentro, in silenzio. Un cancro merdoso e strisciante.
Qualcosa che devi nascondere dentro di te, che sembra starsene buono per un po' di tempo, qualcosa che tu fai finta d'ignorare, ma che in verità tu sai che è sempre lì, in quell'angolino del tuo cuore e della tua testa, pronto a balzare fuori nei momenti in cui meno te lo aspetti. A ricordarti la tua falsità.
Impari a portare una maschera, di fronte a tutti.
Impari a convivere con l'ipocrisia, impari a mentire, a ingannare.
Impari a dormire con quel peso sulla coscienza, impari anche a sorridere.
E porti la maschera fino a quando il tuo bel castello di carte non cade.
Mandando tutto in pezzi.
Si, quella parola e il suo suono bastavano ad offendere.
Aspirò il fumo, facendo cadere la cenere vicino al suo fianco, ma non si bruciò.
E d'altronde non se ne sarebbe curato.
Da una settimana a quella parte si limitava a sopravvivere.
A malapena ascoltava le voci nella sua testa, a malapena mangiava.
Osservava senza vederle le ombre delle colonne che reggevano la dimensione della Stanza, creata da Leiandros Cameron. Piccole colonne dalla linea fluida e pulita.
Un pavimento bianco, di marmo lucente, con piccoli spicchi neri qua e là, per dare forme geometriche all'insieme.
Sembrava un universo a sé.
Esattamente come lo era diventato lui...già, come lo era diventato Thomas Maximilian Riddle, da una settimana a quella parte.
Dal giorno in cui se n'erano andati dal Ministero della Magia senza speranza.
Socchiuse gli occhi celesti, vedendo ora che estrema chiarezza.
Si, quel dolore che lo feriva dentro aveva un volto.
Quello del suo migliore amico.
Traditore, pensò.
Se ne andava.
Vigliacco.
Per sempre.
Bugiardo.
Si chiuse una mano sugli occhi, avvertendo le lacrime pungergli le ciglia.
Le ricacciò indietro, dando un altro tiro alla sigaretta strazzonata.
E lui invece cos'era? Lui che credeva di conoscere a memoria il suo migliore amico, lui che in sette anni non aveva mai capito un accidente.
Tom era un grande attore. Si, questo era vero.
Ma era anche vero che...non aveva voluto vedere.
Proprio lui, proprio lui che diceva che non c'era peggior cieco di chi non volesse vedere.
In tanti comunque non avevano aperto gli occhi. E di tempo ne avevano avuto a disposizione.
Ora invece avevano solo un mese e mezzo.
Poco meno di sessanta giorni.
E li stava buttando via così...
Angelica Claire King aveva smesso di sorridere. Per giorni non era andata a lezione, ancora in quel momento non dormiva. Probabilmente neanche mangiava.
Se ne stava a letto, non studiava, non sentiva più nulla.
Dell'amore che provava era rimasto cenere. E odio.
Più forte di quanto avesse mai potuto immaginare.
Se Cloe si era arresa all'annichilimento, trasformando il suo cuore in ghiaccio, Beatrix Mirabel Vaughn aveva reagito col procedimento inverso.
La sua rabbia non si era smorzata.
Ma cresceva ogni giorno di più.
Era diventata acida, dura, cattiva, egoista.
Passava le notti fuori chissà dove, ritornando con la bocca sporca di sangue.
Milo non riusciva a farla ragione e Damon non ci aveva nemmeno provato.
Degona poi non si era risparmiata col fratello. A quanto aveva sentito il Legimors, la piccola Mckay aveva scagliato pesanti accuse nell'assoluto silenzio di Riddle che era rimasto ad ascoltare quella bambina in lacrime, fino a quando non se n'era andata a piangere altrove, urlandogli anche lei che sarebbe stato meglio non averlo mai conosciuto, che non fosse mai venuto da loro, sette anni prima. Da quel momento non gli aveva più rivolto nemmeno uno sguardo.
Ognuno di loro si era chiuso nel suo dolore ma del resto anche la popolazione magica di tutta la Gran Bretagna sembrava essere caduta nel panico.
Perché Harry Potter non c'era più.
Perché il bambino sopravvissuto, dopo ventotto anni, aveva detto basta.
Da giorni Damon aveva notato l'andirivieni di numerosi Auror, giunti da ogni dove.
Primo fra tutti il Capo degli Auror, ma nemmeno Duncan era riuscito dove perfino Elettra aveva fallito miseramente.
Harry Potter non aveva più voluto sentire nulla.
Né di magia né di Mangiamorte.
Hermione e Ron avevano fatto un buco nell'acqua, Silente in persona aveva gettato la spugna.
E ora del bambino sopravvissuto restava solo il ricordo.
Lettere e lettere continuavano a giungere da ogni dove. Suppliche, richieste di aiuto...
Nulla. Harry Potter non sentiva più né pianti né preghiere.
Gl'Illuminati e i Mangiamorte probabilmente in quel momento stavano banchettando.
Alla faccia di coloro che ora stavano rintanati nella Torre Oscura, senza il loro capo.
Senza guida, senza fede.
Perfino Draco Malfoy non riusciva a guarire dalla febbre che sembrava privarlo delle forze.
Probabilmente somatizzava l'ansia di quel periodo, l'enorme dolore che Tom aveva causato sia a lui che a Harry.
La situazione era ormai degenerata, arrivando a livelli critici.
Hogwarts era in guerra. Una guerra che si combatteva nei corridoi.
Nell'ultima settimana la voce che Tom sarebbe stata rinchiuso aveva rapidamente fatto il giro da una torre all'altra del castello.
Voci appena sussurrate, pettegolezzi e minacce erano giunte a livelli tali che il giorno prima, davanti all'aula di Trasfigurazione, il settimo anno si era ritrovato di fronte a un serpente impiccato.
Erano comparsi nomi di altri Mangiamorte e una piccola Tassorosso era stata spinta giù dalle scale da alcuni compagni, accusata di essere figlia di servitori del Signore Oscuro.
Anche le voci sui McAdams non erano certo finite.
E la scuola era diventata un circolo di caccia ai fantasmi.
La sua sigaretta si spense e se ne accese subito un'altra, gettando il mozzicone da parte, dove capitava.
Non sollevò neanche lo sguardo quando la porta dall'altra parte della Stanza si aprì.
- Dissipatio.-
Una manciata di pedine vennero aggiunte al rombo, mescolandosi con le altre.
Damon conosceva quella voce.
- Quale onore.-
- Se lo dice lei.- rispose, piegando appena il capo verso il rombo luminescente.
Lord Voldemort non guardava il rombo. Ma Damon.
Quanto potere, pensò il Lord Oscuro. Quanto potere in un ragazzino di soli diciassette anni.
Proprio come Harry.
Si avvicinò alla barriera, veleggiando nel mantello nero che lo avvolgeva come un manto d'ombra.
Rimase a due metri da Howthorne, continuando a studiarlo attentamente.
- Le serve qualcosa?- gli chiese Damon, tornando a guardare il soffitto nero.
- Come funziona?-
- Di cosa parla?-
- Il tuo dono. Come funziona?-
Damon rise. Ci avrebbe scommesso. - Sogno cadaveri. Niente di più.-
- Con che preavviso?-
- Dipende. Nei sogni vedo la morte con settimane, un mese al massimo di anticipo. Quando sono sveglio vedo gente che muore di vecchiaia, per incidenti, ma ad anni di distanza. A volte capita che veda le cose a pochi secondi da che succeda il trapasso.- il Serpeverde finalmente lo guardò in faccia, facendosi del male nel vedere quanto somigliasse a Tom - Perché le interessa?-
- Qui e là fuori possono farti credere il contrario ma tu sei un dio fra tutti gl'insetti.-
Damon sogghignò di nuovo amaramente, scuotendo la testa.
Altro che incantatore. Quello era un demonio.
Con la sua voce da serpente poteva fargli credere di essere l'arcangelo Gabriele.
- Ti basta il tocco?-
- Per chi mi sta attorno si.- replicò, cominciando a capire dove voleva andare a parare - Non mi dica che le interessa una seduta.-
- Tom non gradirebbe ma...si, direi di si.- gli occhi rossi di Voldemort scintillarono di brama. Ah, che grande potere avrebbe avuto al suo fianco, mettendo le mani su quel Legimors - Non avrai paura di veder trapassare uno come me, spero.-
- La paura della morte non è qualcosa che mi riguarda, stia tranquillo.- Damon si alzò in piedi con fatica, stanco per le lunghe notti agitate che si trascinava alle spalle - Questa cosa però potrebbe tornare utile a tutti.-
Bene.
Voldemort sogghignò compiaciuto, quasi senza che Howthorne lo notasse. Si avvicinò fin dove poteva alla barriera e allargò il palmo pallido su di essa, sentendola liquida sulla pelle. Quanto invalicabile.
Il Legimors ora lo fissava.
Doveva farlo? E se avesse visto qualcosa che non avrebbe potuto cambiare?
Qualcosa che avrebbe portato un esito negativo per loro a quella guerra?
Cambiare la morte non era in suo potere...ma gli avvenimenti che la precedevano si. Questo aveva imparato.
Lentamente, posò la mano aperta sullo scudo magico che li separava. Avvertì un gelo atroce, ma chiuse gli occhi.
Doveva vedere. Una volta per tutte.
E ciò che scoprì quel giorno fu di fondamentale importanza per gli anni futuri del giovane Lord Howthorne.
E fu anche per ciò che vide quel giorno che da quel momento in poi avrebbe guardato a quell'uomo, a quell'assassino, in maniera diversa.
Solo per ringraziarlo.
Perché mordendo Lord Voldemort avrebbe reso a Damon Howthorne un dono ancora più grande.

I Figli Della Speranza  |Dramione|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora