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PRESLEY'S POV

«Avanti, cammina e non azzardarti a fare qualche cazzata o ti apro un buco in fronte e sappi che anche se è illegale l'idea è alquanto allettante, anche perché sto morendo dalla voglia di ammazzare qualcuno!»

Ah, gentile...! Mi puntò la canna gelida di una pistola all'altezza delle spalle mentre camminai piangendo in mezzo a gente che non si degnava nemmeno di lanciarmi un'occhiata o di chiedere perché fossi in quello stato di shock.

«Mettitela!» Mi passò la benda di stoffa scura, strappata da qualche puzzolente t-shirt ed aspettò paziente che lo facessi prima che entrassimo in un'ascensore che ci portò ai piani superiori.

«Dove stiamo andando?» Chiesi non appena aprì lo sportello di un auto, che dall'odore della tappezzeria, parve nuova di zecca.

«Tu non devi preoccupare di quello.»

Okay. Ci salii senza fare troppe storie. Se avesse voluto uccidermi a quell'ora sarei già stata cibo per vermi in qualche busta nera dell'immondizia. Ma erano trascorsi giorni dal sequestro e lui mi aveva procurato cibo, acqua e vestiti.

«Dove siamo?»

«Non preoccuparti nemmeno di questo!» Mi allacciò la cintura di sicurezza sbuffando infastidito, come se si stesse trattenendo dal tapparmi la bocca con del nastro adesivo. «Siamo a Washington. Basta con le domande!»

Eravamo negli Stati Uniti? Ero certa ci trovassimo ancora in Europa. «Washington?» Balbettai incredula. «Washington D.C o lo stato di Washington?»

«Se controllo meglio, qui da qualche parte dovrei avere un'altra benda per tapparti questa bocca!» Esclamò irrequieto, guidando. «Non costringermi a farlo, Presley! A proposito hai un nome orribile, lo sai questo, vero?»

Tirai su con il naso, piangendo in silenzio affinché non lo disturbassi più. «Peps.» Sussurrai. «Mi chiamano tutti così.»

«Okay, Peps....» non lo vidi, ma percepii che lo pronunciò con ironia, come se non gli importasse affatto perché il mio nome lo disgustava ugualmente «...ti spiego un po' quello che accadrà!» Mi tolse improvvisamente la benda inzuppata di lacrime mentre stropicciai gli occhi, accecata dalla luce del sole. «Passeremo un bel po' di tempo insieme tu ed io, intesi? Perciò, mi auguro che le cose vadano alla grande, e affinché questo accada, tu dovrai obbedirmi! Sono stato chiaro?»

Non fiatai.

«Annuisci quando ti parlo!»

Lo feci. «Posso chiamare una persona...sarà probabilmente...in pensiero...»

«No, non puoi!» Tagliò corto senza troppi giri di parole mentre afferrò un vecchio telefono dal borsone nero posato sul tappetino tra le mie gambe. C'erano soldi in contanti ed un'arma dentro. "Sono io, l'hai trovato?...Sarò lì tra un paio d'ore."
Terminò la chiamata e si accese una sigaretta.

«Hai figli, Blake?»

«Niente domande!»

Mordicchiai la lingua . «Beh se dovremo passare così tanto tempo insieme tanto vale conoscerci un po'...-»

«Sai già tutto quello che devi sapere sul mio conto!» Mi interruppe mentre guardai la strada, poi fissai la radio spenta tentata dall'accenderla. «Non toccare la mia radio! Non toccare niente di quello che è mio!»

Che scorbutico!

«Hai un telefono, che ti costa farmi avvisare-...»

Accostò imbizzarrito a lato della strada sollevando un grosso polverone mentre mi irrigidii temendo il peggio. «È questo il punto! Devono crederti morta, lo capisci? Chi diamine vuoi avvisare? L'unico membro della tua famiglia era la tua nonna paterna ed è morta! A nessuno importa di te e a te non deve più importare di nessuno! Chiaro?» Mi sgridò ferocemente con gli occhi fuori dalle orbite mentre le lacrime della disperazione scesero come cascate silenziose lungo le mie guance. In che guaio mi ero cacciata?  «E ora, se non ti spiace, andiamo a fare una bella visita ad un mio vecchio amico.»

Agrodolce - vol.3Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora