Capitolo 17.

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Levi's pov.

31/03/1945 - 6:00 a.m.

Stavo finendo di sistemarmi la giacca mimetica davanti allo specchio. Dalle tapparelle della mia cabina intravidi i primi timidi accenni del sole che spingevano per farsi spazio nel buio della notte.

La giacca in mia dotazione era in ottimo materiale, non troppo pesante, d'altronde l'inverno stava lasciando spazio alla primavera e non sarebbe stato possibile lavorare con un indumento pesante con temperature più miti all'esterno.

Sistemai il collo della giacca con un colpo secco alzando lievemente il viso, mi squadrai, il mio sguardo fermo tradiva i miei pensieri da sempre troppo intricati.

Decisi di uscire chiudendo la porta alle mie spalle e inserendo le chiavi all'interno dei pantaloni. Nel giro di qualche minuto raggiunsi la mensa.

Vi erano già abbastanza soldati accomodati a consumare il loro primo pasto della giornata. In lontananza notai Farlan seduto da solo, mi fece cenno di raggiungerlo, non me lo feci ripetere due volte.

Mi guardai attorno alla ricerca di un vassoio, lo presi senza troppa grazia tenendolo lungo la mia figura con una mano, poi mi affrettai a prendere una tazza di thè nero e raggiunsi il ragazzo biondo.

"Guarda che il vassoio non si usa così."
Mi accolse il ragazzo seguito da una risata rumorosa.

In tutta risposta prima di sedermi difronte a lui lanciai la lastra di plastica infondo al tavolo e mi accomodai circondando la tazza non servendomi del manico.

"Il vassoio lo trovo inutile ed ingombrante ma dobbiamo prenderlo necessariamente"
Risposi io posizionando il braccio con il quale reggevo la tazza sullo schienale della sedia, piegando la gamba destra in modo che la caviglia si appoggiasse al ginocchio della gamba sinistra.

Il biondo non potè trattenere una risata sincera.
"Bhe ma così allora che senso ha averlo preso?"
Mi chiese giustamente divertito scorgendosi verso la mia figura con un'espressione ammiccante.

"Ci impongono di prenderlo, non ci dicono come dobbiamo realmente utilizzarlo"
Risposi abbastanza divertito anche io.
Il ragazzo mi sorrise tornando poi a mordicchiare la sua mela verde e a sorseggiare il suo caffè.

Dopo qualche minuto di silenzio riprese a parlare.
"Ieri ho incontrato Eren Jeager... ti ricordi? Il ragazzo di cui mi avevi parlato"
Iniziò.

Spostai istantaneamente lo sguardo sul suo mentre mi portavo la tazza alle labbra.
"Sì, certo che mi ricordo"
Risposi attendendo che il suo racconto riprendesse.

"Nulla, l'ho incontrato e basta"
Finì sorridendo.

Tutta la mia attenzione svanì in un attimo facendo roteare gli occhi al cielo, appoggiai la tazza sul tavolo.

"Ti vedo abbastanza deluso, che dovevo raccontarti?"
Riprese lui iniziando a dondolarsi dalla sedia portandosi le braccia dietro la nuca.

"Quel ragazzo m'incuriosisce Farlan"
Dissi infine.

Il biondo di rimando alzò un sopracciglio, in un gesto che durò una frazione di secondo addentando poi subito dopo il frutto.

"Che significa?"
Chiese.

"Sapeva il mio nome senza che glielo avessi riferito..."
Dissi con la testa altrove.

L'uomo sgranò gli occhi storcendo le labbra.
"Oh bhe, magari ti sarà sfuggito, o lo avrà sentito in giro..."
Riprese lui non dandoci troppo peso.

"Sì... forse sì..."
Finii pensieroso.

Il mio nome era di origini ebraiche, non mi ritenevo un praticante nè tanto meno un credente, ma la mia dinastia lo fu eccome e ciò non giovava certo in quel periodo così delicato, soprattutto avendo a che fare con dei tedeschi.

𝘼 𝘿𝙖𝙣𝙜𝙚𝙧𝙤𝙪𝙨 𝙂𝙖𝙢𝙚 ➢ 𝘌𝘳𝘦𝘳𝘪Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora