Capitolo 12.

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Eren's pov.

21/03/1945 8:42 p.m.

Passarono diverse ore dall'incontro con il Caporale ma il mio battito cardiaco non ne volle sapere di rallentare.
Mi sentii sopraffare dalle emozioni e non era mai stato un bene dato che le uniche parole che riuscii a sbiascicare in modo sicuro erano parole del tutto inappropriate.

Una volta uscito dall'ufficio del Signor Ackerman andai spedito a consegnare i documenti ad Erwin e infine mi diressi verso la mensa.
Una volta entrato cercai con lo sguardo il tavolo dove sedevano i miei compagni e con non poca difficoltà riuscii a scorgerli in un angolo, accomodati in un tavolo in legno nel mentre che si gustarono una zuppa dopo una giornata di intenso lavoro.
Mi unii anche io servendomi della pietanza del giorno.

"Eren ben arrivato!"
Mi accolse Reiner con un sorriso.
Non era il posto adatto per risa o per scherzi, ma tutti nella mensa tornavamo umani, c'erano delle volte in cui addirittura noi americani ci univamo con i giapponesi in discussioni allegre e giocose, conoscemmo molte persone in quell'ambiente, quasi come a dimenticare di dove ci trovassimo e dove saremmo andati a finire.

"Ciao ragazzi..."
Presi posto affianco a Marco.

Sentii pesante lo sguardo di Armin sul mio, tentai di non pensarci.

"Erwin mi ha fatto le presse per i documenti che dovevi portare Eren, lo hai fatto?"
Riprese Reiner, non era con tono accusatorio, solo preoccupato che nel caso avrebbe dovuto assumersi lui le responsabilità.

"Sì certo, non preoccuparti, ho risolto tutto io, puoi dormire sogni tranquilli"
Dissi rigirando la zuppa col cucchiaio e accennandogli un sorriso.

"Oh Eren, meno male, sei il migliore"
Si appoggiò una mano al petto in segno di sollievo e ricambiò il mio sorriso con una sonora risata.

Levi's pov.

Tornai in camera, quella sera avrei fatto benissimo a meno di cenare, ero ancora fin troppo scombussolato, mai i miei doveri vacillarono per le mie emozioni trovandomi completamente alla sprovvista dinnanzi a quel ragazzo.

Rientrai nella mia cabina, ad accogliermi vi era Farlan già tranquillamente accomodato sul letto, nel mentre che leggeva mordicchiando una mela.

"Levi, ehi, finalmente"
Mi salutò senza staccare lo sguardo dai fogli.

"Ciao Farlan"
Risposi io entrando definitivamente dentro la stanza chiudendola subito dopo, lanciai le chiavi sul tavolo e iniziai a levarmi gli anfibi dai piedi appoggiando un braccio al muro per mantenere saldo l'equilibrio.

"Guarda qua"
Disse dopo secondi di silenzio.

"Guarda qui che roba"
Continuò lui enfatizzando la frase, sventolò i fogli al vento buttando poi il torsolo della mela da una distanza ammirevole direttamente dentro il cestino.

Lo raggiunsi sul letto, gli levai i fogli dalle mani e ne lessi il contenuto.

"Bhe Eren, il ragazzo di oggi pomeriggio mi ha detto le stesse cose, che provengono dalla Wehrmacht..."
Continuavo a far scorrere gli occhi lungo quei fogli alla ricerca di una qualche pecca.

"E tu gli credi?"
Si fece più serio con entrambe le mani appoggiate lungo le coperte del letto.

Lasciai cadere i documenti sulle mia ginocchia.
"Non lo so Farlan"
Risposi sinceramente.

"Andiamo, ci sono troppe cose che non vanno!"
Mi sgridò il biondo scuotendomi per le spalle.

Mi portai una mano fra i capelli pensieroso, poi la feci scendere sul viso stropicciandomi gli occhi con due dita.

"Io non so cosa dirti, le coincidenze sono troppe, ma non abbiamo idea di come incastrarli o ancora, chi siano realmente."
Risposi esasperato, il mio tono si fece più profondo per la stanchezza e lo stress di tutta quella situazione ingestibile.

Farlan divenne serio, mi si piazzò davanti e appoggió entrambe le mani sulle mie cosce sporgendosi verso il mio viso.

Sussultai per l'improvviso contatto.
"Ora ti espongo quello che penso e poi tu mi dirai se è la stessa cosa che stai pensando anche tu ma che sei troppo spaventato da ammettere."

Mi morsi l'interno della guancia, mi conosceva fin troppo bene, annuii in segno di approvazione.

"Bene"
Sbattè entrambe le mani creando un frastuono che rimbombò per tutta la stanza.

"Questa truppa inviata dalla Germania in realtà è veritiera solo in parte"
Iniziò.

Il mio viso si corrucciò spontaneamente non capendo dove volesse arrivare il biondo.

"Sono ragazzi che il tedesco lo destreggiano bene, non potevano essere scelti del tutto di un'altra nazionalità, insomma, vedresti mai un italiano destreggiarsi così bene in due lingue che non sono le sue?"
Mi spiegò poi.

Non aprii bocca volendo ascoltare tutto il suo ragionamento.

"Ecco perchè penso che siano tedeschi solo in parte, perché l'altra parte sappiamo bene non essere nostra alleata."
Si fermò guardandomi dritto negli occhi, i suoi erano grandi e espressivi, europei oserei dire, con quella tonalità azzurra che lo contraddistingueva.

"Americani..."
Sussurrai.

E un lampo di genio mi affiorò alla mente, avevo sempre notato in quei ragazzi dietro la durezza tedesca di una dottrina rigida, anche un senso di spavalderia e arroganza che non era tipicamente di là.

Vidi Farlan annuire lentamente, segno che arrivammo alla medesima conclusione.

Iniziai a pensare freneticamente, un turbine di pensieri mi pervase.

"Non possiamo esserne completamente certi, non possiamo certo farli giustiziare tutti, Yamamoto ci taglierebbe la lingua"
Constatò lui.

"Ho un'idea in mente"
Iniziai spaventato da me stesso.

Il ragazzo notò un pizzico di follia nel mio sguardo e si tirò leggermente indietro.

"Non ti piacerà Farlan, e nemmeno a me"
Risposi con un certo senso di nausea al solo pensiero.

Eren's pov.

Era ormai notte e mi recai in camera dove finalmente trovai un po' di calma dai miei pensieri ossessivi.

Stavo mano a mano prendendo coscienza di quelli che erano i miei sentimenti, sempre più contrastanti ma anche sempre più chiari, limpidi.

Non ne ero al settimo cielo dato che non era proprio nè il momento nè la situazione opportuna, ma non potevo certo controllare le mie emozioni che erano da sempre state fin troppo eccessive e impulsive.

Vidi Armin raggiungere la propria branda, non mi rivolse parola, si limitò a slegare gli anfibi e a rimboccarsi le coperte.

Non sapevo cosa stesse pensando di me, ma in quel momento sarebbe stato meglio aspettare prima di raccontargli tutto, avevo bisogno di tempo, ed era così ironico il fatto che un soldato ne necessitasse, non era proprio la principale fortuna di un ragazzo dell'esercito.

𝘼 𝘿𝙖𝙣𝙜𝙚𝙧𝙤𝙪𝙨 𝙂𝙖𝙢𝙚 ➢ 𝘌𝘳𝘦𝘳𝘪Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora