Capitolo 86.

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Levi's pov.

07/08/1945 - 8:20 p.m.

Il cielo ancora scuro e ricoperto da un velo di foschia fece da cornice ad una situazione disastrosa. Il campo venne invaso dai feriti nella speranza di salvarne qualcuno dall'esplosione del giorno precedente. Il caos fu indescrivibile, le urla di disperazione e terrore che echeggiarono in continuazione e senza sosta mi destabilizzarono al punto da diventarne pazzo.
Riacquistai nel giro di quelle poche ore gran parte del mio udito, nonostante continuassi ad avvertire un debole sibilo.

L'epicentro dell'esplosione fu Hiroshima, con una stima dei morti che si aggirò attorno ai duecentomila civili, o almeno così dissero, fu una fortuna il fatto che la postazione del campo ne risentì parzialmente, vantando nemmeno un quarto delle vittime della città colpita. Non riuscii a constatare di persona data la mia situazione precaria, il personale medico scarseggiò vista la gravità del momento, decidendo così di curarmi da solo senza gravare sulle spalle di uomini e donne impegnati in questioni ben più gravi della mia.

Al tramonto di quel giorno potei finalmente tirare un sospiro di sollievo, tutti i cocci di vetro vennero estratti dalle mie carni pulsanti ed estremamente infiammate. Il mio corpo terribilmente sudato per il dolore ed il respiro sbalzato per la sofferenza trattenuta. Il labbro venne stretto dai miei denti lacerandolo come mai prima d'allora pur di reprimere degli accentuati gridi che in un modo o nell'altro fuoriuscirono ugualmente data la profondità che raggiunse il vetro nei miei arti.

Rimasi seduto affianco al letto del biondo che gradualmente sembrò riprendere conoscenza a discapito della rossa che inalò i suoi ultimi respiri nella notte passata, complici furono le ustioni lungo tutta la schiena che le provocarono una morte sofferente e lenta.
Nonostante la mia condizione terribilmente aggravata non me la sentii di lasciarla sola durante i suoi ultimi attimi, decidendo di spostare la mia sedia affianco alla sua branda. Il viso tormentato ancora cosciente mentre la pelle continuò a bruciarlesi ogni minuto di più.
I suoi occhioni verdi tentarono di rimanere vigili nonostante il suo fisico non fosse stato in grado di reggere un tale peso.

Ricordo il suo sguardo spostarsi debolmente sui miei occhi, e come fosse stata pervasa da un breve attimo di lucidità corrucciò le sopracciglia iniziando a piangere. Il suo viso ustionato non emanò nessun tipo d'espressione, ma le sue perle verdi parlarono al posto suo, rigandole la pelle viva in un circuito intricato di lacrime sconnesse.
Mi sentii un inspiegabile peso nel petto potente come un grido a pieni polmoni in grado di formarmi un groppo in gola non indifferente. Immagini della ragazza iniziarono a scorrermi come una carrellata nella mia mente piuttosto sadica nel farmele pensare proprio in quel momento.
Mi morsi entrambe le labbra tentando di non apparirle sconfortato, se l'ultima cosa che avesse visto in quella vita fossi stato io, non mi sarei mai perdonato l'essermi mostrato sofferente e preoccupato.

"Ehi Isabel... va tutto bene, non te ne andrai da sola"
Le sussurrai stringendole la mano destra intatta a discapito di tutto il resto del corpo.
"N-non voglio morire"
Rispose con un filo di voce nonostante i polmoni riempiti di fumo. Compresi solo allora come la forza non derivasse affatto dalle capacità fisiche, ma quanto invece da una volontà indomita, e quella ragazza ebbe così tanta voglia di vivere da farmi sentire in colpa d'essere sopravvissuto al posto suo, compresi anche come il suo amore per la vita avrebbe fatto in modo di portarla a lottare con più determinazione di cento soldati al fronte.

Sei una forza della natura ragazza mia...

Le lacrime incessanti sul suo volto fecero sì che la pelle viva si idratasse quel poco che bastò per donarle un assaggio di sollievo in quel supplizio.
"Mi lasci vivere..."
Continuò a sussurrarmi stringendo le sue dita fra le mie percependole calde e sporche di sangue, solo poi scoprii che quella mano apparentemente sana fosse stata completamente ustionata dall'interno per via delle radiazioni e che di lì a poco la pelle le si sarebbe sciolta, ma nonostante quello la sua determinazione superò di gran lunga la sua tortura.
I nostri occhi a contatto mi resero il più piccolo fra gli uomini destabilizzandomi.
"Isabel... non posso salvarti, ma posso starti accanto e su questo puoi starne certa, non mi allontanerò.
Le riposi storcendo le labbra in una smorfia di dolore empatico, e quanto avrei voluto in quel momento distogliere lo sguardo, troppo debole comparato al suo.

𝘼 𝘿𝙖𝙣𝙜𝙚𝙧𝙤𝙪𝙨 𝙂𝙖𝙢𝙚 ➢ 𝘌𝘳𝘦𝘳𝘪Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora