Capitolo 36.

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Eren's pov.

"I-in che senso?"
Chiesi voltando il viso di scatto verso il suo, le mie sopracciglia si incurvarono in un'espressione confusa.

Sentii la sua mano fra i capelli rigirarmi il capo di prepotenza nuovamente davanti a me.
"Non mi sembra il momento opportuno ora"
Rispose inumidendosi due dita in bocca per poi inserirle senza troppa grazia all'interno della mia apertura.

Mi lasciai scappare un gemito di dolore che mano a mano iniziò a tramutarsi in piacere e lo diedi a vedere, iniziando a rilassare tutti i muscoli della schiena insieme ai gemiti che divennero gradualmente più accentuati e sensuali, a tratti ansimanti.

Allungai le braccia lungo tutta la scrivania aggrappandomi alla sponda opposta, le gambe iniziarono a tremarmi e non fu dovuto solo dal gesto in sè, ma più alla situazione eccitante che si stava creando.
Un suono bagnato iniziò ad inondare la stanza ad intermittenza e i miei gemiti scemarono in dei sussurri.

Levi's pov.

Tolsi le dita nel momento in cui il moro si tranquillizzò e fu abituato dalla presenza esterna.
Sussultò appena, inarcando la schiena in un gesto istintivo.
Il suo corpo estremamente sinuoso e snello rimandava vagamente a quello di una donna, le linee gentili e morbide dei fianchi e quelle natiche più sode di qualunque altra ragazza avessi mai incontrato prima.

Le mie mani strinsero le anche del ragazzo indirizzandolo verso il mio corpo facendo entrare al primo colpo la mia intimità.
Lo vidi contorcersi e ritirarsi prontamente.
Non gli permisi nessun allontanamento mantenendolo attaccato.

Si voltò verso la mia direzione in un'espressione supplichevole, la bocca schiusa e la lingua appena fuori, la saliva iniziava a farsi spazio sulle sue labbra e le sue gote arrossate contrastavano con l'olivastro della sua pelle.

A tale vista mi lasciai sfuggire un lieve gemito di piacere che repressi prontamente stringendo i denti e tirando un accentuato sospiro.
Il moro nel frattempo si morse un labbro consapevole dell'effetto che aveva su di me.

Iniziai a spingere in modo alternato sempre più deciso e profondo, il ragazzo strinse i pugni fissandoli sopra la scrivania.

Sentii poi bussare timidamente alla porta.

"Chikushou!"
Mi lasciai sfuggire fra i denti.

Il ragazzo mi rivolse un'espressione preoccupata, in tutta risposta mi staccai prontamente dal moro che finì con un gemito di dolore.
Nel voltarsi verso la mia direzione gli poggiai una mano sul volto accarezzandolo con il pollice, senza dire nulla.

Mi diressi poi verso la porta.
"Sono occupato in questo momento"
Risposi alzando appena il tono di voce iniziando a rivestirmi.

"Signore è importante! Sono arrivati i prigionieri di guerra!"
Sentii una voce anonima e maschile richiamarmi con estremo rispetto e titubanza, ero più che certo quel ragazzo avesse intuito cosa stesse accadendo all'interno del mio ufficio, ma una cosa che adoravo dei soldati era proprio la loro estrema lealtà nel farsi i cazzi propri.

Voltai uno sguardo verso Eren che nel frattempo si rimise i boxer e i pantaloni.
Il suo viso era rivolto sulla zip che iniziò a tirare sù in un gesto pressoché impacciato, i suoi capelli scomposti gli ricadevano sul viso rendendolo a dir poco allettante.

"Va bene, và da Yamamoto e riferiscigli che il Caporale sta arrivando"

"Sissignore!"
Urló di rimando il cadetto. Nonostante non potessi vederlo ero più che certo avesse eseguito inconsapevolmente il saluto militare.

Nel frattempo mi abbottonai la giacca e lo stesso fece il moro.
Mi avvicinai afferrandolo per i fianchi, lo avvicinai dolcemente al mio corpo e lui appoggiò i palmi al mio viso accarezzandolo.
Mi passò il pollice sopra la ferita ormai cicatrizzata che mi inflisse Petra tempo prima.

"Le è rimasto il segno"
Sussurrò, i suoi grandi occhi non distolsero lo sguardo dal taglio, avendo tutto il tempo per squadrarlo in viso da una distanza ravvicinata.

"Caporale?"
Mi riportò alla realtà dopo qualche secondo.

"Sì lo so"
Risposi semplicemente.

Tracciò con l'indice tutta la sagoma della ferita in modo lento e calcolato.
"Vuoi accompagnarmi?"
Chiesi poi, ancora nella penombra della stanza.

Mi sorrise appena, un sorriso timido e dolce, peccato non avesse ancora capito a cosa saremmo andati incontro.

"Che cosa dovrei aiutarla a fare?"
Domandò con occhi luminosi.

Storsi appena le labbra.
"Nessuna anticipazione."
Risposi avvicinandomi istintivamente alle sue labbra ma fermandomi all'improvviso, che diamine stavo combinando?

Non feci in tempo a ritirarmi che il moro finì il bacio al posto mio.
Fu dolce e pieno di affetto, lo trovai estremamente particolare, non ero più abituato a tali emozioni.

"Andiamo ora."
Finii staccandomi definitivamente dal ragazzo.

All'interno del campo non ricoprivo solo il ruolo di Caporale, ma anche quello di chi doveva eseguire i lavori sporchi. Finirono per affidarmi con gli anni diversi compiti non proprio alla portata di tutti, facendo affidamento sulla mia persona proprio per la mia inflessibilità.

Raggiungemmo Yamamoto in quella che era chiamata l'incubo, la cella per i prigionieri di guerra.

"Caporale..."
Mi accolse l'uomo rivolgendo uno sguardo confuso verso il moro posto dietro di me.

"Dove sono?"
Chiesi ignorandolo.

"Da questa parte, ma Ackerman, non penso che portare questo ragazzo con lei sia-"
Gli afferrai il braccio avvicinandomi alla sua figura.

"Mi lasci fare"
Gli sussurrai.
Prese un gran respiro ritirando l'arto.

"Bene, da questa parte..."
Concluse lui, indicandomi una porta serrata con solo un piccolo rettangolo sbarrato da due tubi in metallo posti in verticale.

"Di dove sono?"
Chiesi sbirciando all'interno.

"Australia"
Rispose l'Ammiraglio a braccia conserte.

Alzai le sopracciglia sinceramente sorpreso senza però esternare nessuna espressione apparente.
Quanta strada percorsa inutilmente.

"Glieli affido Caporale"
Mi riferì battendo con la nocca dell'indice sulla lastra in metallo, creando un frastuono cupo e ripetitivo.

"Pensa sappiano qualcosa?"
Chiesi continuando ad osservare le persone all'interno rese completamente innocue e legate per i polsi e piedi.

"E io questo come faccio a saperlo? È il suo compito, non il mio."
Concluse con una breve risata sarcastica abbandonandomi in una mano le spesse chiavi della cella. Una volta visto incamminarsi verso l'uscita mi sentii meno sotto pressione stringendo fra le dita l'unica via di fuga di quegli uomini.

Restai per qualche secondo fermo di fronte al portone, il capo basso mentre attuavo dei metodi di respirazione mirati a mantenere la calma e il sangue freddo.

"Cosa dovremmo fare ora...?"
Chiese Eren quasi in un sussurro, come se non volesse disturbare o interrompere quel momento di estrema tensione e concentrazione.

Tirai un gran sospiro voltandomi nella sua direzione.
"Ora ci sporcheremo le mani"

𝘼 𝘿𝙖𝙣𝙜𝙚𝙧𝙤𝙪𝙨 𝙂𝙖𝙢𝙚 ➢ 𝘌𝘳𝘦𝘳𝘪Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora