Capitolo 60

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CONVERSAZIONE

Inspirai a pieni polmoni.
Percepii la cassa toracica espandersi, il diaframma contrarsi, i polmoni colmarsi dell'aria fresca della sera appena inoltrata.
Socchiusi gli occhi mantenendo il respiro, nel buio delle mie palpebre tentando di scacciare le emozioni che affollavano la mia mente.

Calma! Dare seguito a tutto quest'inferno non aiuterà nessuno e neanche me stesso! Non posso fare nulla a prescindere!

Espirai lentamente fino a gettare via tutta l'aria possibile, immaginando che con essa fluissero via anche le turbe dell'animo.

Riaprii gli occhi padrone di me stesso, più lucido.
Incontrai con lo sguardo le pareti di alte mura, rischiarate da torce ardenti, proiettanti bagliori rossastri e infernali, minacciosi e poco rassicuranti.
Mi riportarono all'ultimo giorno in cui avevo visto T/N sorridere senza ombre, quando indossava quell'adorabile vestitino azzurro e scrutava i nostri futuri compagni di squadra ai primi dieci posti.

Il Duca al nostro fianco, autorevole e rigido come al solito, era curioso di conoscere le nuove leve. Sarebbe rimasto stupito della loro decisione, quasi del tutto unanime, di entrare nel corpo di Ricerca.

Al posto loro io mi sarei lanciato nella Gendarmeria senza pensarci due volte, ma ahimè, proprio come una Mikasa protettiva, avrei seguito T/N anche all'inferno.

Per il momento cercai di mantenere la mia attenzione e memoria sul Duca quando ancora era vivo e vegeto.

T/N forse lo aveva dato un po' per scontato, del resto era sempre lì per lei e non aveva mai contemplato prima di Trost un'esistenza senza di lui.
Io invece avevo già appreso nella vita che nulla era eterno e cercavo di trarre il massimo da tutto.
Il Duca lo avevo sempre percepito come indistruttibile, ma al tempo stesso come una persona avanti negli anni a cui poteva capitare di tutto da un giorno all'altro.
Certo, non immaginavo venisse schiacciato da un masso calciato da un gigante.

E che quel gigante l'avrei considerato un mio amico ...

Un attimo prima a comprare fiori, un attimo dopo morto.
Per lo meno avevo risparmiato alla nipote di vederne il corpo martoriato. Io faticavo a togliermelo dalla testa e sapevo già che non ci sarei mai riuscito. Per questo motivo tentavo sempre di ricordarlo nella sua divisa, con le medaglie appuntate al petto, seduto dietro la sua scrivania a visionare carte e fascicoli.

Lo immaginavo alzare lo sguardo su di me e sorridermi con fare paterno e chiedermi se stessi bene ...

Quanto era cambiato nelle nostre vite in così poco tempo?

Incredibile a dirsi, mi sentivo molto più vecchio, come se avessi vissuto una vita intera in pochi mesi.
Era diverso persino dal Sottosuolo, dove la le giornate fluivano identiche a sé stesse, rette unicamente dal bisogno di tirare avanti a qualunque costo.
Eri lì, immerso in dinamiche fin troppo comuni, considerate persino normali. Non avevi tempo e possibilità di riflettere e renderti conto in quale follia e ingiustizia eri immerso.

Qui era diverso, estremamente diverso. Un mese nel corpo di ricerca valeva come un anno.

Non so se sia una cosa positiva pensandoci bene.

Il mio sguardo proseguii sui preparativi per la spedizione nei territori dei Reiss, esaminando con attenzione ogni loro mossa, soffiando via i riccioli fastidiosi dalla fronte che mi impedivano la visuale.
Del resto non potevo fare altro che guardare, in piedi con il peso del corpo scaricato su una sola gamba e io appoggiato in avanti sulle stampelle, ancorate sotto le ascelle e appuntate a terra.

Mi concentrai su alcuni uomini della Guarnigione. Aiutavano i colleghi del corpo di ricerca nel caricare le bombole di gas e i ricambi di lame sui carri.
Altri soldati stavano sellando i cavalli, alcuni coi mantelli verdi a sollevarsi e abbassarsi ad ogni passo.
I loro preparativi mi riempivano di una ansia incredibile, enorme, eppure non riuscivo a costringere le mie gambe ad allontanarsi dallo spiazzo.

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