Capitolo 49.

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VAPORE

T/N's Pov

Emersi dalla schiera di case come un fulmine a ciel sereno. Un'immagine confusa dalla elevata velocità e nascosta da un mantello nero come la notte più buia, unica speranza per non far sapere alla Gendarmeria centrale che T/N di Stohess fosse una avversaria.
Lanciai gli arpioni, zigzagando di tetto in tetto, per ridurre le probabilità di essere ammazzata, e cercando di convertire quella spietata sicurezza e determinazione, che mi aveva ghermita negli ultimi minuti, in freddezza omicida.
Dovevo uccidere, era un dato di fatto.
E non si trattava questa volta di un gigante o due, ma di persone come me, che, aldilà dello schieramento avversario o amico, avevano sogni, obiettivi, speranze e famiglie.
Da sempre avevo evitato in tutti i modi di togliere la vita agli altri esseri umani, anche quando attentavano alla mia vita...
Oggi però è diverso...
Non si tratta solo della mia vita, ma di quella dei miei cari.
Non posso esitare ...
Non posso più avere pietà o scrupoli...
Non feci in tempo a concludere il pensiero...
Un rumore di vapore e un movimento fulmineo nel limitare del mio campo visivo risvegliò i miei riflessi, permettendomi di schivare la carica esplosiva, lanciatami da un gendarma.
Sentii l'aria spostarsi a un nulla dalla mia faccia e poi una deflagazione poco distante, alle mie spalle.
Non diedi il tempo all'altro di contrattaccare.
Con il cuole in gola e l'adrenalina alle stelle, il mio istinto ebbe la meglio con una facilità tale da sconvolgermi.
Un attimo prima schivavo un proiettile esplosivo, l'attimo dopo le mie spade mozzavano di netto la testa del mio aggressore, quasi non avessi fatto altro nella vita che che decapitare la gente.
È stato semplice, pensai con orrore, combattendo i conati di vomito, mentre mi allontanavo con la stessa velocità. Negli occhi ancora il sangue, di cui mi ero macchiata, e quel corpo esanime al suolo, in una posa scomposta.
Non avevo il tempo di preoccuparmi del mio essere diventata una assassina, perciò accantonai il problema, scoprendo in me quel gelido modo di agire tipico degli Ackerman.
Una freddezza che non pensavo di avere ereditato dai miei familiari.
Schiacciati con forza i tasti del gas, sfrecciai, schivando comignoli, tetti , soldati e assalti, falciando chi mi capitava a tiro di spade.
Un membro della squadra di Hanji mi sorpassò.
Per un attimo assaporai la sensazione di non essere sola. Di essere tra amici...
Durò poco.
La faccia del commilitone saltò in un grumo di sangue, in seguito a un forte bagliore.
Sgranai gli occhi non credendoci.
Potevo esserci io al suo posto...
Potevano esserci i miei amici...
Poteva esserci Jean!
Che razza di 3DMG hanno?!, pensai solo allora, allibita.
Ma le mie riflessioni furono interrotte dalla vista di mio padre...
...distante....
I nemici alle sue calcagna.
PAPÀ!
Feci per raggiungerlo, ma tre soldati mi accerchiarono, iniziando a sparare contro di me.
Roteai, evitando un proiettile, che invece colpì uno dei gendarmi.
Lanciai l'arpione contro il secondo, trapassandogli il petto.
Richiamai il cavo, che si riavvolse trascinandosi dietro il corpo della mia vittima.
Imbracciai la sua strana arma e la puntai contro il terzo, facendo fuoco.
Il vederlo morire mi diede uno strano senso di nausea e allo stesso tempo una briciola di soddisfazione.
Un po' come quando tiri i capelli a un tizio che ti fa i dispetti...
Si... la vita degli ultimi mesi mi stava cambiando troppo.
Decisamente troppo.
Probabilmente non in meglio.
Su un tetto staccai il cadavere del gendarma dal mio arpione e tendevo sempre le orecchie per captare il minimo suono.
Sentendo qualcuno avvicinarsi estrassi in pugnale da lancio dal mio corpetto.
Attesi appostata.
I nervi saldi.
Freddezza negli occhi.
Nulla nella mente.
E lanciai.
Il pugnale si infisse nella gola della donna, come se fosse fatta di burro. La gendarma precipitò al solo, portandosi la mano alla gola, sorpresa, prima di spegnersi.
Appena l'adrenalina del mio corpo scemerà credo che non riuscirò più neanche a guardarmi ad uno specchio.
Non indugiai oltre. Saltai nel vuoto e schiacciai i pulsanti del gas.
Mi mossi più veloce che potei verso il Caporale Levi, appena in tempo per passare a fil di spada una ragazza (forse della mia età) che stava per attaccarlo alle spalle.
I nostri sguardi si incrociarono per un istante. I suoi occhi grigio-azzurri si riempiono di incredulità, per la mia presenza. Per una volta non tentò di dissimularla.
Anzi mi urlò, carico di preoccupazione: <<Eren e Historia! Il carro!>>
Vedevo che era in serie difficoltà e capivo che il suo non era solamente un ordine, ma anche e soprattutto un modo per allontanarmi da lui.
Che fosse inseguito da quel Kenny, di cui avevo sentito parlare?
Nonostante il mio desiderio di aiutarlo, rivolsi la mia attenzione verso il carro che trasportava i due obbiettivi della Gendarmeria.
Lo vedevo correre per le strade, già sotto il controllo avversario.
Eren e Historia privi di sensi.
Arrivo! Eren ti dimostrerò che sono degna di fiducia! Che siamo amici!
Ero determinata a riscattarmi.
Eren, per quanto rompesse i timpani con le sue urla continue, e per quanto scassasse le scatole con la sua fissazione per giganti...
Un attimo!?
Rivelazione!!!!
Hanji e Eren sono uguali!!!!!
Entrambi urlano continuamente ed entrambi hanno la fissa per i giganti!
Grandioso!
...era una persona che stranamente riusciva a capirmi.
Era diventato un caro amico, cosa che per un po' mi aveva fatto detestare da Mikasa.
Anche lei però...
E io che dovrei dire? Jean voleva lei!Anche ora la guarda con occhi diversi!
Scattai avanti cercando di eliminare le persone sul carro.
Ne arpionai una, tirandola giù dal veicolo e finendola a fil di spada.
Ma gli altri non stettero con le mani in mano. Mi puntarono i fucili contro.
Dovetti ripararmi in un'altra via.
Gemetti sentendo proiettile prendermi una coscia di striscio.
Inspirai e mi rigettai all'inseguimento.
Tuttavia fui intercettata da una squadra comandata da una bionda dall'aria seria.
Evitai per pura fortuna di esplodere, ma alcune schegge di quegli arnesi diabolici mi si conficcarono addosso.
Urlai, ma non mi arresi.
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