Capitolo 46

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Era passata una settimana dalla conversazione tra Mina e Alexandra Burke in cortile. Una settimana che Mina aveva passato per lo più da sola. Barricandosi dietro i più svariati impegni, aveva provato a ignorare qualsiasi contatto col mondo esterno, fatta eccezione per Steve, che aveva passato tutti i pomeriggi di quella settimana a casa Ramon, seduto in disparte in tutte le aule in cui Mina seguiva le lezioni private. Agli insegnanti non sembrava dare fastidio quella presenza, e la ragazza non se l'era mai sentita di lasciarlo solo.

Pensare ai problemi di Steve la allontanava dai suoi. In quelle notti sempre trascorse in bianco, aveva ripensato spesso alle parole della Burke, a scuola aveva notato i suoi occhi fissi su di sé in sala mensa, inoltre, più di una volta, la professoressa aveva provato a riprendere quella conversazione che tanto aveva scosso la ragazza, conscia che Colin non avrebbe fatto alcun passo avanti. Non ancora, almeno.

Mina era sempre scappata campando, anche con l'insegnante, scuse su scuse, sempre sussurrate in fretta, correndo. L'idea di mollare non era comunque sorta, in Alexandra, certa che, prima o dopo, sarebbe riuscita a far aprire del tutto l'allieva.

Quel primo lunedì di novembre arrivò all'improvviso, portandosi dietro una tempesta infernale e un freddo quasi natalizio. C'era stata la festa di Halloween il sabato precedere al Mirror. Festa a cui Mina aveva deciso di rinunciare. Anche Steve l'aveva messa da parte, preferendo un sabato sera a villa Ramon a guardare film horror e mangiare pop corn. Steve aveva raccontato a Mina di Leo, del bacio alla festa, della rissa al Mirror, dell'interesse che nutriva per quel ragazzo e della paura che tutto ciò venisse fuori. Mina lo aveva rassicurato, spronandolo a prendersi il giusto tempo senza, però, mettere da parte se stesso. Consigli che avrebbe dovuto seguire lei per prima, come le aveva sagacemente risposto Steve, tra un pop corn e l'altro. Mina aveva annuito a quell'affermazione, tuttavia non aveva ancora chiuso con Andrew.

Entrando a scuola trafelata, notò immediatamente un certo nervosismo nell'intero corpo studentesco. Gente che parlottava, chi la guardava in cagnesco, chi rideva sotto i baffi. La furia di Steve la travolse in un battibaleno, scuotendola e lasciandola spiazzata.

«Sei andata a dire a qualcuno che sono gay?» bisbigliò per non farsi sentire dagli altri studenti. Mina sgranò gli occhi, leggermente infastidita da quell'insinuazione. Stavano diventando amici e mai lo avrebbe tradito in quel modo. «Ne parla tutta la scuola» aggiunse lui. Gli occhi rossi e gonfi, la vena sul collo che pulsava come mai prima.

«Sei impazzito? Non lo farei mai» provò a giustificarsi lei. Sperava che quel nuovo amico avrebbe creduto alle sue parole, che non avrebbe messo il loro rapporto in discussione, che si sarebbe fidato. L'unica risposta di Steve fu un pugno contro il primo armadietto a tiro. Un gesto che la terrorizzò, paralizzandola. Mina sentì che gli occhi iniziavano a pungerle, mentre la vista si annebbiava piano piano. Avrebbe voluto aggiungere qualcosa, tranquillizzarlo ancora, ma l'improvviso arrivo di Wilma, Nicole, Andrew e tutto il resto del gruppetto la frenò. Non poteva parlarne, non in quel momento, non davanti a tutti, non con la sincerità che serviva.

«Non sono gay» urlò Steve, in modo che tutti, a scuola, sentissero quelle parole. «Non ho idea del perché girino queste voci, ma non è vero». Mina annuì, provando ancora a difendersi. Non aveva parlato lei, ribadì a gran voce, non aveva messo lei in giro quelle voci.

Steve non aggiunse altro, lasciando spazio a Wilma, che si fece avanti con quel suo solito sorrisetto sghembo ed egocentrico. Incrociò le braccia al petto, portando tutto il peso sulla gamba destra e fissando Mina negli occhi.

«Sei invidiosa, ci sta» iniziò l'antipatica sorella Smith. «Insomma, guardaci» continuò, indicando platealmente prima se stessa e subito dopo il suo fidanzato, «siamo perfetti, in sintonia. Una coppia invidiabile. E, soprattutto, una coppia reale. Tra noi c'è amore, passione, sesso... quello che tu non hai, che hai paura di avere. Vivi una storia di facciata, e ti senti talmente minacciata da dover minare il nostro rapporto con stupide dicerie. Prova a crescere, Mina». Sentire quelle parole uscire proprio dalla bocca di Wilma la fece sorridere amaramente. Wilma Smith era senza dubbio quella, in tutta Moonlight, a essere più attaccata alle apparenze. Era così tanto superficiale da non essersi mai accorta di andare a letto con un gay. Avrebbe voluto urlarglielo, ma non poteva infangare Steve in quel modo. Gli voleva bene, nonostante lui avesse dubitato di lei senza nemmeno lasciarle il beneficio del dubbio. Lo scusò, sapendo quanto fosse difficile quella situazione. Rimase in silenzio, sperando che il dibattito si chiudesse lì, in quel momento. Wilma, tuttavia, non era dello stesso parere.

«Sai, pensi di essere tanto invidiata, pensi che tutti vogliano essere te, ma dimmi... chi vorrebbe una relazione di comodo? Chi vorrebbe un ragazzo che, per sfogarsi, va a letto con la prima che capita? Sei talmente ossessionata da te stessa che non ti sei mai accorta dei tradimenti di Andrew». L'espressione vittoriosa sul volto di Wilma le fece contorcere lo stomaco. A scuola non volava una mosca, e Mina riusciva a sentire distintamente i cuori e l'affanno di tutti. Il suo, di cuore, sembrava essersi fermato. Come un film in slow motion, le tornarono alla mente tutti i dettagli, tutti gli indizi. Andrew non aveva mai spinto per il sesso: certo, lo faceva con altre. La sera della loro prima volta era stato impeccabile con quel preservativo, e non aveva avuto alcun timore. Come se per lui non fosse la prima volta. E non lo era.

«È la verità?» sussurrò Mina rivolta a Andrew. Sperava fosse un incubo, ma la reticenza del ragazzo la riportò alla realtà. Lui fissava il pavimento, non riusciva nemmeno a guardarla negli occhi. Lei, allora, rivolse il suo sguardo agli altri. Sapeva che era tutto vero, ne era certa, e il silenzio di quei finti amici fu soltanto una triste conferma. Steve sembrava mortificato. Lo guardò di sbieco, prima di girarsi verso Wilma, che a stento conteneva la soddisfazione e l'euforia. Puntò poi gli occhi su Nicole, l'unica che aveva sempre considerato davvero amica. La mora non riusciva a ricambiare lo sguardo, e Mina sprofondò ancor di più nella disperazione.

«Lo sapevi anche tu...» sussurrò consapevole, prima di asciugarsi il viso con entrambe le mani. «È finita» aggiunse, rivolta a Andrew, prima di respirare a fondo e andare via. Camminò a testa alta. Per la prima volta, non si sentiva lei quella sbagliata. Per la prima volta il chiacchiericcio e gli occhi addosso non la scalfirono. Non le importava di quello che avrebbero detto, non le importava di quanto avrebbero parlato tutti. Lei era Mina Ramon, era superiore a quella massa di vigliacchi.

Sentì qualcuno rincorrerla. Era Nicole, che le si parò davanti. Un fiatone che quasi le mozzava il respiro e gli occhi completamente bagnati.

«Mi dispiace» azzardò. Mina la interruppe, alzando semplicemente una mano. Ridacchiò appena.

«Non mi importa. Ti consideravo un'amica. L'unica, in quel gruppo. Pensavo fossi diversa, e invece sei come tutti gli altri. Sei come quella sorella che tanto critichi».

«Lasciami spiegare, ti prego» la implorò.

«No. Non ne ho voglia. E non te lo meriti. Ora scusa, ma voglio andarmene». Senza darle altro tempo, la superò, aumentando il passo falcata dopo falcata. Quell'aria viziata stava diventando irrespirabile, quell'edificio sembrava contorcersi su se stesso intrappolandola. Uscì quasi correndo, con la sensazione di tornare a respirare. Non aprì nemmeno l'ombrello per arrivare alla macchina, che aprì da lontano senza fretta.

Buttò la borsa sul sedile del passeggero e raggiunse quello del guidatore. Richiuse lo sportello e aspettò un po', prima di mettere in moto. Respirò a pieni polmoni. Aveva appena perso tutto. Solo in quel momento, forse, realizzò davvero quanto fosse fittizia la sua vita. Per diciassette anni si era circondata di gente che non le aveva mai voluto bene, allontanando del tutto chi avrebbe potuto farla stare meglio. Pensò a Micol. Non l'aveva vista nel corridoio. Negli ultimi giorni, nonostante il breve riavvicinamento, il rapporto era rimasto freddo. Forse si erano perse per sempre. Pensò a Colin, che ancora faticava a guardarla negli occhi, che ancora non le rivolgeva la parola nemmeno per un saluto forzato. Pensò al padre, che continuava a fingere che la figlia non esistesse. Pensò a Eva e al fratellino. Pensò a Nadia.

Realizzò che era sola. Completamente sola. E si lasciò andare a un pianto disperato e liberatorio. 

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