Capitolo 27

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Il suono metallico del cellulare distrasse leggermente Mina, che guadagnò meccanicamente un'occhiataccia di disappunto dalla signorina Delacroix. La ragazza finse di non accorgersene, continuando l'esercizio. Buttò un occhio sull'enorme orologio sopra lo specchio della sala, accorgendosi che pochi minuti la separavano dalla fine di quella tortura. Decise di resistere, così da non dare a Eva un nuovo motivo di lite. Rientrata dopo la discussione con Wilma, Eva l'aveva placcata all'ingresso per l'ennesima partaccia. Aveva fatto leva sul senso di colpa, sui soldi spesi, sugli impegni degli insegnanti. Come con Wilma, la voce di Eva era arrivata a Mina ovattata e distante. La ragazza era felice, completamente assorta nel bacio con Colin. Aveva la testa e il cuore ancora a casa Marshall, e nessuna discussione avrebbe potuto distoglierla. Aveva finto di assecondare Eva senza risponderle, era passata in cucina per prendere una mela e una bottiglia dacqua, e si era rintanata in camera, a rimuginare e fantasticare su quel pomeriggio idilliaco. Si era addormentata con il volto di Colin davanti agli occhi, dopo un dolcissimo messaggio della buonanotte da parte di quel ragazzo che, mai lo avrebbe detto, riusciva a essere dolce senza risultare stucchevole.

La mattina, quando la sveglia aveva suonato fastidiosa, Mina aveva aperto gli occhi senza fatica. Poche ore e avrebbe rivisto Colin, e tanto bastava a risollevarle il morale. Aveva deciso, nonostante l'orario, di mandargli un messaggio, un buongiorno solitario accompagnato da una faccina sorridente. Colin avrebbe capito, ne era certa. Si era preparata per la lezione di danza classica e aveva raggiunto in aula l'insegnante, e nemmeno la vista di quella vecchia megera egocentrica e gelida era riuscita a toglierle quell'euforia. Mina era felice. Si sentiva bene e appagata, tanto da sedersi a fare colazione con la famiglia, dopo la consueta doccia post lezione.

Eva rispose appena al buongiorno della ragazza, non ricambiando il suo sorriso spontaneo. Mina prese una tazza di latte e due biscotti al miele, addentandone subito uno, affamata. Era una sensazione nuova, per lei, che ignorava il senso di fame ormai da mesi. Al secondo morso, Eva la guardò di sbieco, con enorme disappunto.

«Ti sembra il caso?» chiese, senza dare alcuna intonazione alla voce.

«Cosa?» ribatté Mina, confusa. Era certa di non aver fatto nulla che potesse innervosirla, eppure la matrigna era di nuovo lì, con lo sguardo gelido e furente.

«Pochi giorni fa la signorina Delacroix ti ha detto che hai preso peso, e tu sei qui a mangiare biscotti al miele?» la rimproverò. Mina allontanò subito dalle labbra quel dolcetto, sentendosi in colpa all'istante. Sapeva di non essere ingrassata, sapeva di non mangiare da giorni, eppure Eva riusciva, con quegli occhi glaciali e giudicanti, a far vacillare ogni certezza della ragazza.

«È solo un biscotto» provò a giustificarsi ma la donna scosse il capo, delusa. Mina decise di non voler discutere, non aveva più la forza necessaria per altri battibecchi con la matrigna. Si passò il tovagliolo sulle labbra, in un gesto leggero e raffinato, e si alzò, salutando Eva e scompigliando un po' i capelli del fratello. Ormai vicina alla porta d'ingresso, stava per uscire quando Eva la richiamò. La ragazza si voltò su se stessa, senza tornare indietro. Rimase ferma, ad aspettare le parole della donna.

«Ricorda che sabato c'è la festa di beneficenza per la fondazione di tuo padre, non prendere impegni». Mina annuì, uscendo finalmente da quella casa che riusciva a intrappolarla ogni giorno. Eva sapeva bene come far cambiare umore alla ragazza e Mina non rimase troppo sorpresa quando, salendo in auto, scorse i suoi occhi lucidi dallo specchietto retrovisore. Decise di non dar troppo peso alla cosa e partì, con la speranza che la vista di Colin l'avrebbe in qualche modo risollevata.

Per tutto il tragitto da casa a scuola non pensò ad altro che alla festa, che aveva totalmente dimenticato. Il giorno prima, parlando con Colin, avevano deciso di passarlo insieme, quel sabato sera. La fine del progetto era ormai alle porte, e avrebbero potuto usare nuovamente quella come scusa. Nessuno avrebbe fatto domande. E, se anche le avessero fatte, il motivo era più che valido.

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