PROLOGO

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Marzo 2005

«Mina, tesoro, vieni qui».

 La bambina, paffutella e ancora un po' traballante, si avvicinò a quel letto enorme, sgualcito e con la testiera di un ottone invecchiato. Era di seconda mano, trovato in quella casetta fuori città che erano riusciti ad affittare con il primo sudato stipendio. Tutto era di seconda mano, ma a nessuno sembrava importare. Certo, la famiglia di Carlos avrebbe preferito altro per l'unico erede di quell'azienda che tanto aveva dato loro, ma il ragazzo, innamorato e poco ambizioso, aveva altri piani: una famiglia felice, più che un lavoro appagante. Piani che, purtroppo, sembravano crollare giorno dopo giorno.

La piccola, tre anni e dei capelli lisci come la seta, salì a fatica su un letto troppo alto per lei, aiutata maldestramente da una madre a cui rimanevano poche forze. Si accovacciò sul lato libero del materasso, attenta a non farle male, carezzando con la sua manina paffuta i lucenti capelli ambrati della donna.

Mina le somigliava poco. I colori erano quasi del tutto paterni, escludendo i magnifici occhi blu, con inaspettate striature violette. La carnagione, un meraviglioso incrocio tra quella tendente al nocciola del padre e quella di porcellana della madre.

«Mamma, perché piangi?» chiese, provando ad articolare al meglio quella frase. Nadia sorrise appena, gli occhi circondati da occhiaie scure, i capelli appiattiti dal cuscino. Provò a far sparire dal suo viso ogni lacrima, non voleva che la figlia la ricordasse così.

«Non piango, tesoro» affermò sicura, provando a mantenere calma la voce. «Sei così bella» aggiunse dopo un po', accarezzando dolcemente la miniatura che era quel viso.

«Ti voglio tanto bene, mamma.» La donna non riuscì più a trattenere il dolore. La consapevolezza che da lì a poco l'avrebbe lasciata le stava lacerando il cuore. Lasciò andare le lacrime, ormai copiose, e guardò Mina dritta in quel pozzo azzurro e viola, così limpido da potercisi specchiare dentro.

«Devi farmi una promessa, amore» disse in un sussurro, mentre la bambina annuiva convinta. «Devi promettermi che sarai sempre buona e gentile. Che obbedirai a tuo padre, che lo tratterai con rispetto, che gli vorrai bene. Devi promettermi che tratterai tutti con rispetto, perché non potrai mai sapere cosa si nasconde nella vita degli altri. Devi promettermi» si fermò un attimo. Il fiato corto e un dolore lancinante che le invase ogni singolo centimetro di quel corpo ormai affaticato.

«Stai bene, mamma?» La donna sorrise, per non spaventarla troppo. Respirò a fatica, cercando di ritrovare un po' di fiato.

«Promettimi che non giudicherai il prossimo. Promettimi che sarai buona, Mina, con tutti». La piccola annuì, un po' confusa. Capiva poco le parole della madre ma pensò che, in ogni caso, sarebbe stato meglio assecondarla. Avrebbe potuto spiegargliele più avanti, si augurava ingenuamente.

«Mina, tesoro, vai a giocare!» Sorrise al padre, fermo sullo stipite della porta in legno, segnata dai pochi trattini che indicavano la crescita della piccola, a osservare silenzioso le due donne della sua vita. Obbedì senza fatica al monito di Carlos. In fondo, amava giocare come ogni bambino.

Il sorriso stanco di lui la seguì fino nella sua stanza, per assicurarsi che giocasse senza farsi male. Quando la vide pronta con le sue bambole preferite in mano, si avvicinò al letto della moglie, sedendosi con cautela. Le prese la mano, nonostante lei ormai faticasse anche a ricambiare la stretta.

Carlos guardò l'amata, quel corpo distrutto da una malattia esasperante che, tuttavia, non ne aveva annullato la bellezza. Ricordò il loro primo incontro, ricordò di averla amata dal primo momento.

I due si erano scontrati per caso, qualche anno prima, tra i corridoi labirintici del college. Lei correva verso una lezione già iniziata, lui tornava baldanzoso nella sua stanza dopo una notte di baldoria. Per Carlos l'amore era stato immediato. Non aveva mai visto tanta bellezza concentrata in una sola persona, nemmeno nelle super modelle con cui Mick, il suo migliore amico e compagno di stanza, aveva tappezzato ogni parete. Carlos aveva impegnato ogni risorsa per conquistare quella ragazza così sfuggente, complice anche la nuova storia d'amore del coinquilino con Vanessa, una loro amica d'infanzia e ora compagna di stanza di Nadia che, a tutti gli effetti, era entrata a far parte di quel gruppetto.

Era diversa, Nadia. Origini russe, aveva sempre vissuto a New York, eppure la puzza sotto il naso tipica dei newyorkesi non aveva mai fatto parte di lei. Si era innamorata di Carlos una sera di maggio, quando lui ormai aveva perso ogni speranza. Lo aveva visto per ciò che era, e un po' si era rimproverata per aver perso così tanti mesi. Da quel giorno non si erano lasciati più. Avevano finito il college insieme, si erano laureati ed erano tornati a Moonlight, la cittadina di Carlos. Nadia voleva stare con l'uomo che amava, e lui aveva promesso ai genitori che sarebbe tornato in pianta stabile, dopo gli studi, per prendere in mano l'azienda. Promessa che era riuscito a mantenere solo a metà. Ricordava cosa quell'azienda avesse fatto al padre, quanto l'avesse allontanato dalla famiglia. Carlos non voleva capitasse a lui, così aveva deciso di farsi assumere come un qualunque impiegato, con orario di lavoro ben definito e una paga minima. Non voleva favoritismi.

Si erano sposati qualche mese dopo essere tornati, a maggio, nello stesso giorno in cui era sbocciato il loro amore. Un anno dopo era nata Mina, la loro gioia più grande. Una bambina paffutella e simpatica, col sorriso sempre sulle labbra e la gioia negli occhi. Una bambina bellissima, che incarnava in sé tutta la bellezza dei genitori. Una bambina circondata da amore; un amore che, speravano, non sarebbe mai finito.

La speranza, purtroppo, non poté fare molto contro quel mostro che è il cancro che, dopo appena quattro anni di matrimonio, stava portando via la donna che aveva cambiato Carlos.

«Non voglio lasciarvi». Nadia, ormai lontana dagli occhi di Mina, si lasciò andare completamente al pianto. Era terrorizzata, arrabbiata, delusa dalla vita. Una vita che le aveva dato tanto e che adesso aveva deciso di toglierle tutto troppo presto.

«Calmati, amore, ti prego» sussurrò lui, terrorizzato quanto lei. Come avrebbe fatto, senza la donna che riusciva a renderlo migliore? Come avrebbe fatto, con una figlia di tre anni che ancora capiva poco?

«Devi risposarti» sospirò lei con la morte nel cuore. L'uomo la guardò schifato. Come poteva solo pensare che l'avrebbe fatto? Come poteva solo pensare che avrebbe amato un'altra donna? Che l'avrebbe dimenticata. Nadia conosceva bene i pensieri del marito. Gli portò via una lacrima dal volto, prima di far scontrare i suoi occhi glaciali con quelli marroni di lui.

«Devi promettermelo, Carlos. Devi farlo per Mina». La sua insistenza stava diventando fastidiosa. Carlos avrebbe preferito prendere una tata, ma risposarsi? Condividere il letto con una donna che non fosse la moglie? Non poteva accettarlo. Non in quel momento. Eppure annuì, stremato da quei mesi di sofferenza. Annuì alla donna che amava. L'unica, ne era certo, che avrebbe mai amato, insieme a Mina. Annuì, per farla morire serena. Annuì, riuscendo a strapparle un sorriso di serenità pronto ad accompagnarla in quel viaggio eterno.


Spazio autrice!

Ho deciso di revisionare e di correggere il prologo. Spero risulti più scorrevole e spero di aver eliminato i vari errori. Nel caso ce ne fossero ancora, segnalatemeli!

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