Capitolo 5

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Arya continuava a gironzolare per la stanza baldanzosa, inseguendo una mosca ormai tramortita e che sembrava davvero un imponente tesoro agli occhi della cagnolina. Mina sorrise appena, scrutando dallo specchio quel dolce animaletto che, in pochi anni, era riuscito a riempirle la vita. Prima allora, non aveva mai saputo fino in fondo cosa significasse tenere a qualcuno incondizionatamente. Quello era solo un cane, come spesso le ripeteva Wilma col suo solito piglio acido e saccente, eppure per Mina era una figlia. Aveva sempre preso in giro i padroni che consideravano i cani la loro prole. Li aveva sempre derisi, non capendo davvero come un semplice animale potesse contare tanto. Due giorni con Arya, e il suo punto di vista era del tutto cambiato.

«Che ne dici, ti piace questo vestito?» chiese dando le spalle allo specchio. Guardò la cagnolina, che ricambiò il suo sguardo. Arya era indisciplinata, il più delle volte. Non ascoltava nessuno, eppure con Mina diventava un agnellino. La cagnolina sembrò annuire alla perfezione eterea della padrona e la ragazza sorrise soddisfatta. Non aveva alcun dubbio sulla scelta dell'abito, comunque. Ne aveva provati a decine, eppure quello l'aveva catturata al primo sguardo. Un abito lungo, di un tenue rosa cipria che si sposava benissimo con la sua carnagione. La gonna morbida, in georgette e raso, era chiusa in vita da una cinta ricamata dello stesso colore dell'intero abito. Il corpetto si apriva in una meravigliosa scollatura a cuore, la schiena leggermente scoperta e le maniche ampie fino ai gomiti. Mina adorava quell'abito, a cui aveva abbinato un sandalo argentato identico alla pochette. I capelli erano raccolti in un ciuffo morbido, con un cerchietto a tre fili dello stesso colore delle scarpe. Sapeva di dover valorizzare il collo, tenuto scoperto dai capelli alzati, senza aggiungere altro, per questo puntò tutto su bracciale enorme che le fasciava l'avambraccio destro. Alle orecchie, le sue solite perle, che non toglieva mai.

«Sei stupenda». Sorrise appena alle parole di Eva, che si fece spazio nella stanza senza neanche chiedere il permesso. Mina era abituata e sapeva che, quando aveva bisogno di privacy, doveva chiudere la porta a chiave. Non lo faceva spesso, comunque. Non aveva nulla da nascondere e, d'altro canto, passava davvero poco tempo nella sua stanza.

«Nessuna collana? Magari quel filo di perle stupendo che ti regalarono per i sedici anni» aggiunse Eva. Le piaceva controllarla, l'aveva sempre cresciuta a sua immagine e somiglianza, la voleva perfetta. Era Eva, più che Mina, a volere che la ragazza regnasse su chiunque.

«No» disse Mina semplicemente. «Voglio il collo scoperto» spiegò. La donna sorrise apatica, un po' delusa dalle continue prese di posizione della ragazza. Nell'ultimo anno Mina era cambiata. Sempre attenta a essere come doveva essere, aveva cominciato però a ribellarsi, a non obbedire, a non seguire più le parole della matrigna alla lettera.

«Non sei mica la vittima di un vampiro, metti la collana» perentoria, la donna provò a porgergliela. Mina scosse il capo, superandola e lasciandola in balia di quel cane che detestava tanto. Lo sforzo che faceva ogni volta per contrastare Eva era enorme e il senso di colpa verso la donna che l'aveva cresciuta e amata come una figlia cresceva di giorno in giorno. Mina sapeva di avere ragione, eppure scontrarsi con Eva riusciva a farla sentire un'ingrata.

«Mina!» La ragazza si fermò sul secondo gradino della scalinata in marmo senza voltarsi. Sospirò sonoramente, sapendo bene cosa avrebbe sentito di lì a poco.

«Non fare troppo tardi, domani mattina hai lezione. E non mangiare troppo» continuò lei, senza accennare alcun tipo di emozione nella voce.

«È domenica» ribatté Mina esausta, ignorando il monito sul cibo. Non aveva bisogno di sentirselo dire, mangiava poco anche senza quei consigli. Eva sogghignò. Voleva bene a Mina, seppur fosse incapace a dimostrarlo. Pensava davvero di fare il meglio per lei e non aveva nessuno accanto che potesse fermarla, nemmeno il troppo distratto padre di Mina.

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