Capitolo 26

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Il sapore fruttato delle labbra di Mina non accennava a voler abbandonare Colin e il ragazzo non sembrava dispiaciuto. Quel bacio era riuscito a portarlo in una dimensione parallela. Assorto in tutt'altri pensieri, fece poco caso alla ramanzina del padre, furente per quei lividi vividi e spaventosi. Paul lo richiamò più volte, buttando avanti la scusa della cena con la speranza che il figlio parlasse. Forse aveva cantato vittoria troppo presto, pensò l'uomo cupo, fissando il ragazzo che evitava accuratamente di ricambiarne lo sguardo. Ogni taglio era una sicurezza in meno.

«Vuoi dirmi che ti è successo? Sei nei guai?» Colin trasalì appena, come se solo in quel momento si fosse reso conto della presenza del padre nella stanza. Giocherellò un po con i riccioli, sorridendo leggermente e cercando di sembrare il più possibile rilassato.

«Ma quali guai», lo rassicurò, «un paio di ragazzi ieri al pub, abbiamo litigato per un tavolo e mi sono preso qualche pungo. Ho visto di peggio.» Quell'ultima frase gettò nello sconforto Paul che, inevitabilmente, pensò che mentre il figlio vedeva di peggio lui era assente, lontano e menefreghista. Avrebbe potuto aiutarlo, e invece aveva preferito lavarsene le mani e lasciare tutto in mano ai nonni materni. Un senso di colpa che, ne era certo, non lo avrebbe abbandonato mai, conscio soprattutto che rimediare adesso, con quel figlio che era quasi un uomo, era pressoché impossibile.

Finse di credere alle parole di Colin, annuendo flebilmente e continuando a mangiare la zuppa di farro che tanto lo disgustava. Non era riuscito a passare all'alimentari, e la dispensa di casa Marshall non offriva altro. Finirono di cenare avvolti da un silenzio fastidioso e ostile, come se anche una sola parola avrebbe potuto aprire un vaso di pandora che era meglio tenere sigillato. Con ancora in bocca l'ultimo rimasuglio di zuppa, Colin si alzò dalla sedia, prendendo il suo piatto e posandolo nel lavandino, colmo come al solito. Si scusò in fretta col padre, assicurandogli che avrebbe lavato tutto l'indomani, e sparì nella sua stanza fingendo di dover studiare. Sprofondò sul letto sfatto e si toccò le labbra con due dita. Sentiva ancora vivo il tocco di Mina, quasi la ragazza fosse ancora lì con lui. Sentiva le sue mani dolci nei capelli, il profumo avvolgente, la pelle morbida.

Colin era certo di non sapere cosa fosse l'amore, non l'aveva mai provato eppure era altrettanto certo che i sentimenti per Mina fossero davvero vicini a quel sentimento di cui tutti parlavano. Mina lo aveva stravolto, rendendolo quasi succube. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei, pur di vederla sorridere. Avrebbe scalato una montagna a piedi nudi, avrebbe preso a pugni chiunque, sarebbe scappato da Moonlight. Avrebbe sacrificato tutto, pur di stare con lei. Era sano, quel sentimento? Colin non ne era certo, ma non se ne preoccupò. Amava Mina, amava anche quei difetti che inizialmente tanto lo infastidivano. Amava i suoi occhi bicolore, quei capelli sempre morbidi e profumati di cocco, amava le insicurezze private e la perfidia che mostrava in pubblico. Amava il modo in cui la ragazza stava provando a cambiare. E amava la sua voce. Dio, quanto amava quella voce delicata e ferma. O, forse, era una semplice infatuazione passeggera. Ma potevano, quei vortici nello stomaco, così potenti da togliergli anche l'appetito, essere una semplice infatuazione?

I pensieri di Colin furono disturbati dal vibrare incessante del cellulare, che aveva dimenticato nella tasca posteriore dei jeans. Si alzò appena per prenderlo e rispose subito, adocchiando l'interlocutore sul display.

«Quindi siamo colleghi?» La voce rassicurante di Lip riuscì a tranquillizzarlo. Non aveva ancora del tutto fatto i conti con la realtà di dover essere un dipendente di Jim Nelson, l'idea lo paralizzava tanto da non sembrargli reale, ma la prospettiva di avere Lip accanto lo risollevò appena.

«A quanto pare» sussurrò giocando un po con la federa del cuscino. Lip si fece una sana risata, prima di chiedergli come stesse. Aveva saputo del pestaggio e del conseguente sì. Colin ammise di essere ancora frastornato, aggiungendo che avrebbe avuto bisogno di una lunga dormita prima di poter rispondere con lucidità a quella domanda. Lip apparve comprensivo, facendo silenziosamente capire a Colin quanto fossero simili anche in quello. Colin immaginò l'inizio di Lip con i lupi. Lui, che era il figlio del capo e che non aveva mai avuto scelta. Lip gli confessò che aveva provato a dire no, e che di botte ne aveva prese parecchie. Che non poteva uscirne e che, al suo posto, avrebbe scelto diversamente. Gli intimò di fare attenzione, con un tono così serio che un po fece paura al ragazzo che, istintivamente, si rannicchiò sul letto in posizione fetale, quasi a volersi proteggere.

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