Capitolo 18

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Le parole di Alexandra Burke tormentavano Mina da quella mattina. Erano passate ore, eppure non riusciva a pensare ad altro. Aveva provato a distrarsi parlando con Wilma a pranzo, che le aveva raccontato di come il piano iniziasse a prendere forma. Non ricordava nemmeno una parola, di quello che le aveva dettagliatamente detto la sua pseudo amica. Aveva provato anche con una lezione di canto. Quelle di canto erano, senza dubbio, le sue preferite. Il signor Dawson, un signore sulla sessantina apparentemente burbero e distante, era in realtà un bonaccione, simpatico e con la battuta sempre pronta. L'unico, tra tutti gli insegnanti privati pagati da Eva, a riuscire a mettere Mina a proprio agio, cogliendo ogni sua esigenza. L'aveva vista assente, spaesata, tra le nuvole, e aveva inventato un improvviso problema familiare pur di lasciarla libera. Scoprendolo, Eva era rimasta di stucco e visibilmente contrariata, ma non poteva costringere l'uomo, che comunque l'aveva tranquillizzata dicendole che Mina non aveva più nulla da imparare sulla tecnica canora, a rimanere. La donna avrebbe preferito che la ragazza si chiudesse in sala danza, o usasse quel tempo per ripassare qualche scena teatrale. Lei aveva detto no, a bassa voce, senza guardare Eva negli occhi. Aveva messo in mezzo lo studio. Sapeva di poter fare leva su quel particolare aspetto della sua vita, conscia di quanto il padre tenesse al rendimento scolastico. Nemmeno Eva poteva contraddirlo.

Uscì di casa che era ancora giorno. Il sole stava pian piano scomparendo, dietro la fitta vegetazione di Moonlight e l'aria iniziava a diventare quasi fastidiosa, con quella brezza tipica di inizio autunno. Mina non amava il freddo. Lo soffriva terribilmente e, come da bambina, ancora fantasticava sull'andare a vivere in un posto perennemente caldo, sul mare. Ecco un altro motivo da aggiungere alla lista delle mille ragioni per cui odiare New York. La neve, il gelido inverno, le piste di pattinaggio. Tutto ciò che Mina più detestava. Quando il padre le raccontava di quella meravigliosa città, il disgusto cresceva enormemente. Eppure, era brava a nasconderlo, e a mostrarsi entusiasta di quel futuro scritto dalla matrigna con pennarello indelebile. Forse era davvero una brava attrice, in fondo.

Salì in auto, impostò la radio sulla prima stazione che le capitò a tiro e partì senza una meta precisa. In circostanze diverse, sarebbe andata da Micol. Il suo rifugio era sempre stato quello: gli occhi dolci e il sorriso ingenuo dell'amica riuscivano a tranquillizzarla. Eppure, superò casa Adams senza nemmeno accorgersene. Il loro rapporto era in bilico, precario come mai lo era stato fino a quel momento. Nemmeno all'inizio del liceo, quando Mina aveva da subito legato con Wilma, Nicole e le altre, escludendola giorno dopo giorno, l'aveva sentita così lontana. Voleva rimediare, ma sperava che anche Micol facesse un passo verso di lei.

Quando l'enorme cartello che divideva i due quartieri le comparve davanti agli occhi, rimase quasi stupita. Era a The Shadow e non aveva idea di come ci fosse arrivata. Aveva guidato senza una meta, seguendo quell'inconscio che forse sapeva meglio di lei dove portarla per farla stare bene. Le parole dell'insegnante continuavano a rimbombarle in testa. Quella donna vedeva qualcosa in lei, nonostante si fosse sempre dimostrata antipatica e altezzosa. Voleva aiutarla, era stata chiara. E, velatamente, le aveva fatto capire che Colin era l'aiuto migliore che in quel momento potesse offrirle. Vedeva qualcosa anche in lui. Qualcosa che, inspiegabilmente, vedeva anche Micol. Mina si fidava del giudizio, mai affrettato, di Micol. Che Colin fosse davvero migliore di come lei continuava a giudicarlo?

Parcheggiò davanti al portico fatiscente di casa Marshall e si guardò un po' intorno. Perché era lì? Probabilmente il ragazzo nemmeno era in casa. E, anche l'avesse trovato, l'avrebbe presa per una pazza. Respirò a fondo, portandosi entrambe le mani sulla fronte, prima di farle scivolare dentro quei morbidi capelli di cui tanto andava fiera. Provò a calmarsi, accorgendosi del fiato corto e del cuore a mille. Colin la destabilizzava, la intontiva, la rendeva vulnerabile. Ma, al contrario del solito, in quel momento quella sensazione riusciva a eccitarla. Si sentiva viva, come non succedeva da anni. Come, forse, non le era successo mai.

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