Capitolo 58

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L'odore di cloro e disinfettante tipico degli ospedali iniziava a infastidire Mina, che aveva già provato un paio di volte e invano ad aprire l'enorme finestra sigillata. La sua stanza era al piano terra, nessuno avrebbe potuto tentare il suicidio da lì, ma forse qualcuno aveva provato a scappare, costringendo il personale sanitario a chiudere ermeticamente anche quell'unica via di fuga.

Non voleva scappare, comunque. Aveva avuto paura, nonostante non l'avesse confessato a nessuno, nemmeno alla dottoressa Brown. Aveva toccato la morte con mano e aveva capito di non essere assolutamente pronta a lasciar andare la vita. Aveva capito che voleva vivere, voleva amare, voleva piangere, mangiare, viaggiare. Voleva studiare, litigare col fratello, pranzare col padre, fare shopping con Micol. E voleva baciare Colin. Quella, forse, era la cosa che voleva di più.

La porta della stanza, leggermente socchiusa, si spalancò lentamente, mostrando un Carlos impacciato e un'Alexandra Burke sorridente. Di quel sorriso allegro e comprensivo che tante volte aveva infastidito Mina. La ragazza si sentì in imbarazzo, nonostante la giovialità negli occhi della donna. Abbassò il capo, provando a nascondere quella vergogna scalpitante ed evidente. Carlos salutò la figlia con un bacio tra i capelli, e lasciò le due donne da sole. Decise di farsi da parte.

«Ho lasciato John fuori con Mick e Vanessa, vado a prenderlo». Mina sapeva che il fratello sarebbe stato benissimo con i coniugi Adams, ma ringraziò comunque silenziosamente il padre per averla compresa. Voleva parlare con la professoressa, la prima a cui doveva delle scuse sincere.

«Mi dispiace» iniziò subito, provando a reggere lo sguardo della donna. Alexandra le prese la mano tra le sue, scuotendo convinta il capo.

«Non c'è bisogno, ti ho perdonata mesi fa» rispose, con quel suo tono pacato e accondiscendente.

«Non solo per quello... insomma, l'ho trattata come fosse una pazza, quando ha provato ad aiutarmi, l'ho trattata male dall'inizio»

«Mina», la fermò la professoressa. «Non importa, davvero. Io ho ancora il mio lavoro, tu sei viva... devi pensare a te, devi rimetterti. Sei molto meglio di come vuoi apparire, me ne sono accorta il primo giorno» confessò. Mina ridacchiò amara, credendo poco a quelle parole.

«Perché? Le persone sono come appaiono» sussurrò disillusa.

«Lo credi davvero? Tu sei l'esempio di come le persone siano l'opposto di come appaiono. E sai perché ne sono certa? Perché sei figlia di due persone splendide, e c'è così tanto di Nadia in te, non ne hai idea...» Parlando dell'amica perduta, la voce di Alexandra iniziò a traballare, mentre gli occhi le si riempirono improvvisamente di lacrime che non trattenne. Mina si aprì, per la prima volta, in un sorriso sincero e spontaneo, ricordando quella madre persa troppo presto, felice del ricordo che tutti avevano di lei. Nadia era una brava persona, e Mina ne era così fiera.

«Ora ti lascio a tuo padre, avremo tempo per parlare» continuò Alexandra, alzandosi da quella sedia scomoda. Mina le trattenne la mano per un istante.

«Mi aiuterà?», quasi la pregò. Alexandra annuì convinta.

«Lo faremo tutti» rispose sicura.

***

«Dov'è John?» chiese subito Mina, un po' per stemperare la tensione palpabile, un po' perché non lo vide entrare col padre.

«Con Mick e Vanessa, lo terranno loro per oggi» spiegò, portando alla figlia i saluti dei coniugi Adams e la promessa che sarebbero passati nel pomeriggio, per salutarla. Mina annuì, sistemandosi meglio in quel letto scomodo e guardandosi un po' intorno.

C'era imbarazzo, un imbarazzo che la ragazza non aveva mai provato, davanti al padre, nemmeno negli ultimi mesi. Nemmeno quando l'uomo le rivolgeva a stento lo sguardo. Entrambi si sentivano in colpa, entrambi pensavano di aver fallito, nessuno dei due sapeva da dove cominciare. Fu Carlos a rompere quel silenzio tumultuoso.

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