Capitolo 48

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Mina aveva passato il resto della giornata in riva a quel lago. Nessuno l'aveva cercata: non il padre, che ormai quasi non la guardava più in faccia; nessuno dei suoi fantomatici amici, ai quali comunque non avrebbe risposto; non Micol, o Colin, che sentiva terribilmente lontani; nemmeno Eva, recentemente costretta da Carlos ad annullare tutte le lezioni private di Mina. Dopo settimane di assoluto e snervante silenzio, il signor Ramon aveva preso la drastica decisione di non spendere più un dollaro per i vizi di quella figlia egocentrica e narcisista. Mina aveva finto dispiacere, scoprendolo, ringraziando silenziosamente il padre. Eva, che con Mina era sempre stata autoritaria e fredda, non aveva nemmeno provato a contraddire il marito, nonostante il disappunto.

Mina rientrò che era ormai buio pesto. Non che fosse molto tardi, ma le giornate si stavano accorciando di giorno in giorno e il lago, soprattutto quella parte, di notte era sempre stato pericoloso.

Rincasando, trovò il fratellino a correre di qua e di là dietro una macchina della polizia telecomandata. Vide il padre seduto sulla solita poltrona, la testa perennemente bassa, lo sguardo vuoto. Avrebbe voluto leggere i pensieri di quell'uomo, forse capirlo li avrebbe avvicinati. Avrebbe voluto salutarlo, fare un passo verso di lui, ma gli occhi gelidi di Eva la bloccarono. La donna la guardò come fosse feccia, schifata. Mina ricambiò quello sguardo per un attimo, prima di correre verso la sua stanza, dove si chiuse in fretta e diede libero sfogo alle lacrime.

Si buttò sul letto con ancora il giubbotto addosso e le scarpe leggermente sporche del terreno del lago. Abbracciò quel cuscino che le faceva compagnia fin da bambina, e concesse a se stessa un pianto disperato e silenzioso, certa della sicurezza che quelle quattro mura rappresentavano. Nessuno l'avrebbe giudica o ferita. Sentì Arya che provava a fatica a raggiungerla sul letto e sorrise istintivamente, prendendo la cagnolina tra le braccia.

Rimasero così per un po'. Mina non aveva bisogno d'altro, quando c'era Arya a proteggerla. Avrebbe scalato l'Everest a piedi nudi con quel batuffolino accanto. Accumulò tutto l'amore che la cagnolina era in grado di donarle e si staccò solo quando sentì vibrare il cellulare. Lo estrasse dalla borsa, notando la bustina che le aveva dato Margot qualche ora prima e che lei aveva del tutto dimenticato.

Guardò per un attimo lo schermo e rimase sorpresa quando notò il nome di Steve lampeggiare. Rispose senza nemmeno pensarci troppo. Non disse nulla, aspettò lui.

«Mi dispiace» iniziò il ragazzo.

«Per cosa?» Era confusa. Ne avevano parlato fino al giorno prima, lui era sempre stato sicuro che la colpa fosse di Mina. Cosa era cambiato in ventiquattro ore?

«Stamattina Leo è venuto da me» azzardò lui e lei sospirò esausta, capendo il punto.

«E...? Cosa ti ha detto di nuovo? Cosa ti ha detto che non ti avevo già detto io?» chiese alterata.

«Mi ha spiegato la situazione. Scusa, Min, davvero...» ripeté ancora.

«Raccontamela, questa situazione. Perché a me Leo non ha detto nulla, se ne è tagliato fuori. E ora ti stai scusando per qualcosa che ti ha detto lui, quindi forse con me non è stato sincero!» Era arrabbiata, delusa, incattivita. Non poteva fidarsi di nessuno, e lo stava capendo minuto dopo minuto.

«La sera della festa», iniziò lui, «Wilma ci ha visti uscire insieme dal bagno. Pensavo non ci avesse visto nessuno, e anche lui lo pensava. Qualche giorno dopo, è andata da Leo per chiedere spiegazioni, lui mi ha detto che già sospettava e che non ci ha messo molto a capire. Lo ha torchiato, minacciato... insomma, conosci Wilma, no? E alla fine lui ha ceduto. Ha ammesso quello che era successo»

«Quindi?» Mina aveva capito tutto, ma voleva farglielo dire.

«È stata Wilma a dire tutto, a mettere in giro la voce su di me» singhiozzò lui. Mina lo sentì inerme, scoperto, fragile. Eppure, in quel momento, non riuscì a comprenderlo. «Perdonami, ti prego» aggiunse lui tra le lacrime.

«No» sussurrò Mina, gli occhi fissi su quella bustina a cui non aveva pensato per tutto il giorno. «Stavamo legando, mi stavo affezionando. Volevo davvero essere tua amica, ti avrei difeso e supportato. E tu, alla prima occasione, ti sei tirato indietro. Mi hai accusata come fossi l'ultima delle stronze. Per due settimane ho provato a dirti quanto fossi dispiaciuta, a dirti che non ero stata io. E tu non mi hai mai creduto. Mi hai buttata via, come uno straccio vecchio»

«Lo so, Min, lo so... perdonami. Mi sono fatto prendere dagli eventi, da quello che sembrava più plausibile»

«E non ti sei fidato di me» concluse per lui la frase. «Ti sei fatto abbindolare da una stronza che da anni ti tratta come uno zerbino. Ti sei fatto inghiottire da una vita che non è la tua. Ora, scusami, ma sono io a buttarti via come uno straccio vecchio. Non me ne faccio nulla di un amico come te». Era apatica, disillusa, demotivata. Chiuse la chiamata, perché non aveva voglia di sentire ulteriori piagnistei. Non gli avrebbe creduto, comunque, come lui non aveva creduto a lei nelle due settimane precedenti. Facile scusarsi ora, con la verità davanti agli occhi. Lei si sarebbe fidata, lui aveva deciso di non farlo.

Quando vide il telefono lampeggiare ancora, decise di spegnerlo senza nemmeno preoccuparsi di chi fosse. Stava facendo i conti con la solitudine. Avrebbe dovuto imparare a conviverci, ad accettarla. Perché procrastinare? Perché elemosinare amicizia? Nessuno la voleva intorno e, in quel momento, decise che nemmeno lei avrebbe voluto gente intorno.

Si alzò in fretta per chiudere a chiave la porta della stanza. Non voleva interruzioni.

Tornò sul letto e prese dalla borsa la bustina di Margot. Se la rigirò un po' tra le mani, chiedendosi a cosa avrebbe portato. Non era mai stata interessata alle droghe. Non aveva mai fumato una sigaretta, aveva assaggiato una volta un po' di champagne e l'aveva disgustata. Tutto ciò non faceva per lei.

Ma quella non era più lei. Non era più la dolce, angelica, egocentrica, bellissima Mina Ramon. Non era più la ragazzina che avevano cresciuto i genitori, inculcandole in testa quella stupida e tossica idea di perfezione.

Prese la bustina e andò verso il bagno. Nel primo cassetto custodiva un paio di forbici usate per lo più per togliere i cartellini dai vestiti. Le prese e, senza pensarci troppo, iniziò a tagliere ogni ciocca di quei capelli che per anni aveva custodito come il suo tesoro più prezioso. Decise che il cambiamento doveva essere visibile, che tutti avrebbero dovuto notarlo.

Ci impiegò poco. Quella seta che prima le ricopriva la schiena, ora non toccava nemmeno le spalle. Raccolse tutte le ciocche da terra e le buttò nel cestino sotto il lavandino.

Si guardò allo specchio e riconobbe qualcosa. Non ebbe paura di guardarsi. Si piacque. Con quei capelli senza senso, tagliati male. Con quegli occhi privi di passione, del tutto spenti. Ritrovò sé stessa. In quel momento non doveva piacere a nessuno, perché non aveva più nessuno.

Aprì la bustina e buttò giù una pasticca. Non sapeva nemmeno cosa fosse, ma l'effetto fu immediato. Si sentì euforica, piena di energie. In quel momento, l'Everest l'avrebbe scalato davvero. Quella sensazione la fece sentire bene. Forse avrebbe dovuto provare prima, se era quello lo sballo.

Buttò giù anche l'altra, fece partire la musica e ballò. Come mai aveva fatto prima. Ballò per se stessa. Senza regole, senza stupidi conteggi, senza una coreografia pronta. Ballò e basta. E si liberò.



Spazio autrice!

Ci siamo, ecco il fondo. Mina ormai sembra del tutto abbandonata a se stessa. Sola, senza amici, senza famiglia. Incompresa e demotivata. 

Che pensate di questa sua scelta? Di questo suo voler cambiare e far vedere a tutti questo cambiamento? Qualcuno riuscirà a salvarla?


Con l'arrivo di giugno, le giornate iniziano a farsi più intense. Ho deciso di postare più frequentemente. Non mancano molti capitoli alla fine e, se continuassi con i miei tempi biblici, rischierei di arrivare a dopo l'estate. E non è giusto per voi che mi seguite! Quindi aspettatevi tanti capitoli nei prossimi giorni.

A presto <3

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