Capitolo 53

106 14 28
                                    

Micol aveva passato l'intera notte in bianco. Dopo la telefonata con Lip, e dopo che Colin aveva lasciato villa Adams, senza dare alcuna spiegazione ai genitori era corsa fuori e aveva guidato fino a casa Ramon, decisa a mettere da parte ogni problema per parlare con Mina. Purtroppo, il tempismo aveva deciso di non aiutarla.

Quando Carlos aveva aperto la porta d'ingresso, l'aveva guardata con sospetto e distacco. Un'espressione che Micol non aveva mai visto sul volto un po' austero ma fondamentalmente buono dell'uomo. Soprattutto rivolta a lei. Quello sguardo l'aveva fatta trasalire, e lei aveva cominciato a giocare nervosamente con una ciocca di capelli, mentre tremante aveva chiesto di poter parlare con l'amica. La risposta di Carlos era stata secca e concisa: Mina non era in casa.

Sconfitta, Micol aveva fatto dietro front, risalendo in auto e allontanandosi da quella villa che l'aveva vista crescere e che, in quel momento, aveva cominciato a sentire estranea. Era tornata a casa e aveva passato l'intera notte ad alternare chiamate a Colin e chiamate a Mina. Nessuno dei due aveva dato segni di vita e lei aveva passato quelle ore rannicchiata su un fianco, in posizione fetale, pregando che la situazione non degenerasse.

Tenuta sveglia dal senso di colpa, si era alzata dal letto all'alba. Non aveva avuto nemmeno la forza di cambiarsi e, dopo aver lavato il viso e legato i capelli in una coda frettolosa, era uscita di casa lasciando ai genitori un biglietto sul frigo per tranquillizzarli.

Entrò nel bar di fronte al liceo e il ragazzo dietro il bancone le sorrise cordiale. Non era molto più grande di lei e lavorava in quel bar da che la ragazza ne aveva memoria. Era il figlio del proprietario e, sapendo quanto la scuola non facesse per lui, aveva deciso anni prima di seguire le orme del padre.

«Sei caduta dal letto stamattina?» le chiese, schernendola appena. Micol provò a ricambiare quel sorriso confortante, alzando un po' le spalle. Lo conosceva da anni, ma rimaneva uno sconosciuto. Non avrebbe parlato degli affari suoi con uno sconosciuto.

«Mi fai un espresso? Molto corto e molto espresso, ho bisogno di qualcosa di forte», biascicò cambiando argomento. Il ragazzo annuì a quella richiesta mentre il bar iniziò a riempirsi di qualche altro mattiniero, soprattutto bidelli e un paio di professori che ormai dormivano poco.

Micol notò Alexandra Burke seduta al tavolo più isolato del bar, con un paio di giganteschi occhiali da sole sul volto, il viso basso rivolto a una pila di fogli e la mano sinistra che le sorreggeva il capo. Si voltò verso il ragazzo al bancone e gli fece cenno di portarle il caffè al tavolo.

Camminò verso la professoressa, quasi spinta da una forza superiore. Non sapeva nemmeno il perché, ma era attirata come una calamita. Sapeva quanto, negli ultimi mesi, la Burke si fosse impegnata per aiutare Mina e forse fare fronte comune sarebbe servito.

«Buongiorno, professoressa» esordì cauta. Alexandra scosse il capo e alzò lo sguardo, togliendo gli occhiali non appena la riconobbe. Le sorrise, un sorriso stanco e tirato, e la invitò a sedersi. Micol notò subito due occhiaie evidenti, simili a quelle che aveva lei stessa quella mattina e che non aveva voluto coprire.

«Sei mattiniera», ricambiò il saluto.

«Quasi mai... ho dormito poco stanotte... sa, Mina...» iniziò. La professoressa si incupì di colpo, respirando profondamente.

«Pensavo ti fossi dimenticata di lei» la redarguì, facendo sentire Micol ancora più in colpa. Non si era dimenticata della sua migliore amica, ma era umana. Ed era arrabbiata. Tanto arrabbiata.

«Mai...» sospirò la ragazza, con gli occhi colmi di lacrime e il cuore in gola.

Il vociare nel locale si faceva sempre più alto, tanto da rendere entrambe nervose. Continuavano a guardarsi intorno, attente che nessuno sentisse quella conversazione tirata e ricca di parole non dette.

MoonlightDove le storie prendono vita. Scoprilo ora