Capitolo 56

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Carlos Ramon ricordava il giorno della nascita di Mina come il più bello della sua vita. Mai, prima di quel momento, aveva provato tanta felicità. Vedere quell'esserino minuscolo tra le braccia della donna che più amava lo aveva reso così euforico che, ne era certo, avrebbe potuto spaccare il mondo, o girarlo a piedi, talmente tanta era l'adrenalina.

Quel giorno, Carlos Ramon aveva conosciuto emozioni che pensava non esistessero. Aveva provato il bene incondizionato, l'amore profondo, la voglia di proteggere un altro essere umano anche a costo della sua stessa vita. L'amore per un figlio è qualcosa che va oltre e lui, prima di quel giorno, lo aveva solo sentito dire, credendo a stento a quelle parole che sembravano tanto una frase fatta.

Non erano per niente una frase fatta, e vedendo Mina per la prima volta, Carlos lo aveva compreso. Gli era cambiata la vita in un istante, e niente sembrava avere più importanza.

Vedendola dormire silenziosa tra le braccia di Nadia, si era immaginato come padre, promettendo a se stesso che sarebbe diventato un genitore attento, premuroso, presente, severo il giusto, ma sempre con un sorriso pronto per la figlia.

Quella notte, seduto sulla panchina gelida della sala d'aspetto di un pronto soccorso vuoto, Carlos Ramon capì di non aver mantenuto quella promessa. Esaminò il suo essere padre e arrivò all'amara conclusione di aver fallito.

La sala d'aspetto era gremita di persone in attesa, persone che volevano sapere come stesse Mina. Persone che si sentivano in colpa, che sapevano di averla abbandonata. C'erano tutti: Micol stretta a Nicole, Colin isolato dal gruppo, Leo e Steve con le mani incrociate e gli occhi socchiusi. Erano arrivati anche i coniugi Adams, che si erano limitati a stringere l'amico d'infanzia senza fare alcuna domanda. Erano rimasti anche Wilma e Andrew, ancora immersi nelle lacrime. Ed era arrivata Eva, che Carlos aveva guardato truce e alla quale non aveva permesso di avvicinarsi.

Era quasi un'ora che nessuno apriva bocca. Un'ora che somigliava più a un anno, un'attesa logorante che stava facendo impazzire tutti.

Quell'atmosfera di inquietante quiete venne bruscamente interrotta da Colin, che come una furia si avventò su Oliver, appena entrato insieme a Lip e Margot. Passò qualche minuto prima che tutti capissero cosa stesse succedendo e corsero per dividerli. Lip teneva Oliver; Steve e Leo tenevano Colin a fatica. Oliver era completamente rosso, il sangue sgorgava indisturbato e Colin non sembrava affatto pentito.

Andrew spinse i tre Lupi fuori dal pronto soccorso, pregandoli di andarsene e invitandoli a non disturbare quel momento. Micol lo seguì, ringraziandolo silenziosamente. Andrew la strinse appena, prima di tornare dentro e lasciarla sola con loro.

La tensione tra i quattro era palpabile, aumentata dall'espressione sempre tronfia di Margot che non sembrava affatto dispiaciuta.

«Volevo solo sapere come stava» intervenne Oliver, amareggiato. Forse era davvero interessato a Mina, o forse aveva paura di qualche denuncia.

«Non ci hanno ancora detto nulla, ma non sono affari tuoi comunque» ribatté Micol secca.

«È la mia ragazza» rispose lui a tono, per niente disturbato dal sangue che ancora colava. Micol ridacchiò.

«La tua ragazza? Tu non la vedrai più, o qualcuno te la farà pagare, stanne certo» chiosò rabbiosa. Lo avrebbe preso a sberle, se Lip non l'avesse spostata di peso.

Micol vide Oliver e Margot allontanarsi verso la macchina. La ragazza cercava qualcosa nell'enorme zainetto che portava sempre dietro, estraendo un pacchetto di fazzoletti ancora chiuso e porgendolo al giovane che accettò volentieri. Il sangue nelle vene di Micol ribollì: non erano dispiaciuti, non erano affranti. Parlottavano tra loro e quasi sorridevano, come se non fosse successo nulla. Come se non ci fosse una ragazza in fin di vita a pochi metri da loro.

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