capitolo 66

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Dylan's Pov

Arrivai all'indirizzo indicatomi e suonai il campanello.

Mi aprì la porta una Margot in tenuta da casa.
Aveva un pantaloncino e una canotta di pigiama e i capelli arruffati.

Margot:<buongiorno tesoro.
Vieni entra così sistemi le tue cose.
Ho preparato la camera da letto e ti ho fatto spazio nei cassetti per la tua roba>

Dylan:<tranquilla non dovevi.
Io dormirò sul divano>

Margot:<pensavo dormissi insieme a me caro>

Dylan:<non credo proprio.
Ricordati che sono qui per il bambino non per te.>

Margot:<eh va bene.
È ancora troppo presto.
Prima o poi cambierai idea ne sono sicura.>

Dylan:<non ci sperare.
Comunque hai fatto almeno la prima visita o ancora no?>

Margot:<si, ci sono andata ieri.
Per ora è una pallina minuscola.>

Dylan:<bene, io sistemo le mie cose e poi vado a lavoro>

Margot:<ma come già sparisci da casa?>

Dylan:<non posso di certo smettere di lavorare.
Specialmente ora che devo pensare a mio figlio>

Margot:<va bene, stasera ti farò trovare una buona cenetta.
La prima cena di famiglia.>

Dylan:<come vuoi.
Io vado. Ciao.>

Uscii di casa ed entrai in macchina per andare a lavoro.

Mi sentivo vuoto dentro.
Ero ormai un automa.
Non provavo più emozioni positive.
Tutto ciò che di bello c'era nella mia vita non c'era più.

Tutti i miei piani e i miei progetti erano stati mandati all'aria.

Nella mente mi giravano sempre le immagini del giorno prima, di quella ragazza con i capelli rossi di cui ero follemente innamorato, di quel corpo ormai assente nelle mie braccia e  quegli occhi castani, colmi di lacrime, che mi guardavano un ultima volta prima di dirmi addio.

Chissà come stava la mia nanetta!?
Chissà se sarebbe riuscita presto ad andare avanti senza di me.

Era forte.
Ma lo era solo perché era stata costretta ad esserlo nella vita.

Io conoscevo le sue fragilità e non sopportavo l'idea di essere la causa del suo dolore.

Mi accorsi di essere  arrivato a lavoro.
Parcheggiai la jeep e salii in aeroporto.

Quel giorno avrei fatto una tratta breve, erano solo due voli di poche ore.

Avevano noleggiato un elicottero privato per andare da Los Angeles a New York.

Salii nella cabina di pilotaggio e mi sistemai.
Attesi la sistemazione dei passeggeri e iniziai a decollare.

Presi quota e mi ritrovai a volare.

Lassù mi sentivo bene.
Volare mi dava sempre una sensazione di libertà.

Avevo una grossa responsabilità avendo dei passeggeri a bordo, ma ero molto bravo nel mio lavoro, quindi ero abbastanza tranquillo.

Lassù dimenticavo per poco tempo tutti i miei problemi.

Atterrai all'aereoporto di New York e visto che avevo 3 ore prima di ripartire, andai a prendere un caffè nel bar li vicino.

Mi sedetti al tavolino e presi un giornale da leggere per passare il tempo.

Mi squillò il cellulare ed era Tyler.
Aspettai qualche secondo prima di rispondere.

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