capitolo 5

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Entrai in casa tenendomi il braccio. Ormai avevo tutta la mano piena di sangue mezzo secco. Adam mi sorreggeva dalla vita anche se non ne avevo bisogno.

Faceva un male cane, ma lo sapevo sopportare. Ero abituata.

Appena varcammo le porte di casa vidi mio padre con le mani nei capelli che in un secondo alzò la testa di scatto nella nostra direzione. Mason che era irrequieto e continuava a contrarre e rilassare la mascella fece scattare i suoi occhi su di noi, e poi sul mio braccio.

Rosie con gli occhi lucidi sospirò quando ci vide.

Mio padre mi guardò dritto negli occhi con sguardo di pura rabbia. Io alzai il mento e sostenni il suo sguardo. Si alzò dalla sedia lentamente mantenendo il contatto visivo.

Venne verso di me con sguardo duro e vidi Mason avvicinarsi, sembrava volesse fermare mio padre, sembrava che volesse giustificarmi in qualche modo.

Ma quando vide che mi abbracciò si rilassò. Perche quella reazione ?

Mio padre mi abbracciò stando attento al braccio ferito "quando ti viene detto da Adam di fare qualcosa, tu la fai." disse lui staccandosi con sguardo duro, vedevo una scintilla di preoccupazione nei suoi occhi che avrebbe nascosto finché non fossimo stati soli.

Rosie corse a abbracciare suo padre e poi mi sussurrò "grazie" io la guardai interrogativa.

"Siamo stati qui, non perché io avevo questioni da risolvere, ma perché volevo vedere come si comportasse Mason. Ho messo una telecamera nel Suv che avete preso all'inizio. Abbiamo visto come hai salvato la vita a Adam, mettendo a rischio la tua. Non ci aspettavamo però quel contrattempo." disse mio padre distogliendo lo sguardo all'ultima parte della frase assumendo un'aria pensierosa.

"la prima cosa da fare però è medicarti Olivia" disse mio padre "chiamate Anna" disse mio padre. Anna era la nostra infermiera privata. "se permette Signor Lois potrei medicare io Olivia, so come cucire le ferite di pistola" disse lui guardandomi il braccio con sguardo duro, per un attimo notai che si perse in un ricordo, poi ritornò la sua maschera di freddezza e indifferenza. "Va bene, allora trovatemi materiale da sutura" disse mio padre, rivolto ai domestici.

Eravamo tutti seduti al tavolo della sala da pranzo. Mi tolsi la giacchetta di pelle e mi presi una bottiglia di Barbon per il dolore e perché aveva voglia di rilassarmi. Forse più per la seconda ragione.

Mason si mise dietro di me seduto e delicatamente e con attenzione disinfetto la ferita e il materiale. "hai un elastico?" mi chiese mentre cercava di tenere a bada i miei capelli. Rosie gliene passò uno dei suoi che aveva al polso.

Mentre gli altri parlavano di chi potesse averci attaccato, Mason passò la mano sotto la mia chioma, con le dita mi sfiorò il collo. Prendendo le ciocche davanti mi sfiorò l'orecchio, mi rilassai a quel tocco delicato e forte allo stesso tempo.

Chiusi gli occhi quando lui con le dita cercava di districarmi i capelli per tenerli a posto nella coda "chi ti ha fatto quelli?" ringhiò mio padre, io aprì gli occhi e mi ricordai l'uomo che mi aveva attaccato, doveva avermi fatto dei lividi.

"quando era in quell'edificio, un uomo mi aveva raggiunta e attaccata, io mi sono difesa. Adesso il suo corpo è ancora lì su" dissi io con un alzata di spalle.

Mason si risedette e prese le pinze per togliermi il proiettile. "farà male" mi avvisò lui.

Entrò con le pinze, mi fece un male cane "ma non ti fa male?" chiese Rosie mentre con una faccia disgustata guardava la pinza che ravanava nel mio braccio e la mia faccia impassibile "si, ma so come nasconderlo" dissi io indurendo la maschera di indifferenza quando Mason girò le pinze per afferrare meglio il proiettile, lo mise sul tavolo che si sporcò leggermente di sangue.

Pulì con un panno il sangue sgorgato sul mio braccio e prese ago e filo. Per un attimo mi soffermai a guardare le sue grandi mani affusolate che tenevano lago con estrema leggerezza, il viso concentrato e duro e qualche ciocca di capelli che li ricadeva sul viso.

Passò una mano sotto il mio braccio e lo prese per avere maggiore controllo.

Io stetti ferma.

"quali sono i maggiori sospettati?" chiese Adam a mio padre. Io stavo tenendo gli occhi sul proiettile, lo tenevo in mano e ci giochicchiavo mentre cercavo di distrarmi dal dolore "non lo so, i Kinsu non possono essere stati. E i Carter sono tutti a Los Angeles, ci sarebbero i Rossi, la famiglia italiana, ma non è da loro" disse mio padre scervellandosi su chi potesse essere stato.

"vi sbagliate" dissi io facendo il mio solito ghigno furbo "guarda attentamente il proiettile" dissi lanciando a mio padre il proiettile che mi aveva colpito. Lui lo prese al volo e lo esaminò "è uno dei nostri" disse lui sorpreso "c'è una spia?" chiese Adam confuso "no Adam, è stato lo stesso anonimo che qualche giorno fa ha comprato le armi" dissi io guardandolo.

"essere ferito da un proprio proiettile è un segno di debolezza" riflette mio padre ripetendosi frasi sconnesse. Io alzai un sopracciglio cercando di capire un nesso "Olivia penso che stiamo per finire in un grande gioco, uno di quelli mai giocati e con un solo vincitore" disse mio padre serio e con un
l'espressione dura.

Io feci il sorriso più sinistro del mio repertorio "allora ci sarà da divertirsi"

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