Capitolo 56

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La ragione era una cosa lontana e sconosciuta in quel momento.

Sentivo l'odore del sangue ovunque nella Maserati blu elettrico di Liam.

Mi sfregavo ritmicamente una mano sulla fronte mentre l'altra era sul volante. Il piede premuto sull'acceleratore come mai prima avevo fatto.

La vista offuscata dalle lacrime e i pezzi della mia anima che si dissolvevano nell'aria risucchiati dall'aria del finestrino aperto.

Ogni tassello di me si stava sgretolando in quel momento. Ogni fottuto pezzo di me aveva perso convinzioni e quel briciolo di speranze che si era insinuato nell'ultimo periodo.

Il controllo che mettevo come prima cosa per ogni situazione, aveva lasciato il posto alla confusione.

Il rumore della mia suoneria mi stava facendo impazzire "basta" urlai dando un pugno al volante e lanciando il telefono fuori dal finestrino.

Che cazzo stavo facendo...

Inaspettatamente presi la strada per andare nella nostra casa in montagna. Papà e Adam c'erano andati per il torneo di golf.

Papà... Non l'avrei più potuto chiamare così, non avrei più potuto vedere il suo viso, non avrei più potuto sentire la sua voce.

Non era più qui.

Tirai diversi pugni al volante mentre altre lacrime mi rigavano il viso.

Lo schermo della macchina, alla destra del volante annunciò una chiamata in arrivo.

Quelle cazzo di macchine avevano pure il gps.

Mossi un mio dito tremante e sporco di sangue per accettare la chiamata.

Stetti zitta.

"Olivia" disse la voce dura e preoccupata di Mason "Olivia ritorna indietro" disse. Io non parlai "ti supplico Olivia" disse lui stavolta cercando di nascondere la voce rotta dalle lacrime "Olivia vieni qua da me." disse lui in un sussurro.

Io attaccai.

Arrivai alla casa dopo due ore. Misi il codice per entrare e la casa si aprì.

Era deserta.

Caddi a terra.

Caddi con la convinzione sul fatto che non mi sarei più rialzata.

In tutto questo tempo io stavo precipitando, stavo precipitando, ma avevo tempo per cercare di attaccarmi ai muri, chiedere aiuto, afferrare la mano che Mason mi aveva porto più volte.

E in quel momento mi ero schiantata al suolo.

Ero troppo in basso per farmi sentire. Troppo a fondo per chiedere aiuto, troppo giù per cercare un appiglio.

Rimasi li, su quel pavimento di legno, con una pistola in mano, piena di sangue secco, piena di lacrime pietrificate sul viso. Vuota di ogni cosa.

Fissavo il soffitto cercando qualcosa che mi potesse aiutare. Vedevo solo nero.

Mi tolsi la giacca di pelle e il giubbotto antiproiettile. Rimasi in canottiera.

Mi alzai per guardarmi al grande specchio all'ingresso.

Il mio riflesso, mi dava l'immagine di una ragazza distrutta. La mia mente vedeva il mostro che aveva ucciso suo padre, sua sorella, Eloise, e il centinaio di persone sconosciute.

Perché loro sono morte e io no? Perché io sono ancora qui? Perché io sopravvivo ancora?

Il mio viso era rosso in alcuni punti dal sangue secco.

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