capitolo 8

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Ero ancora su quella poltrona a leggere quando le prime luci dell'alba si fecero vedere.

Piovigginava leggermente. I palazzi di New york erano nell'ombra con uno sfondo sui toni dell'arancione  e del rosa.

Andai in bagno, mi lavai i denti e tolsi la fasciatura alla ferita per pulirla e metterne una nuova.

Erano le 6:30 quando mi vestì per andare a correre. Mi misi un leggins nero e un reggiseno sportivo nero. Le mie scarpe da corsa della Nike e scesi di sotto.

La casa sembrava deserta e avvolta nel buio. La luce soffusa che entrava dalle finestre mi illuminava leggermente il percorso.

Aprì la porta senza fare rumore e uscì di casa. Non andavo spesso a correre, di solito lo facevo per allenarmi, ma quella mattina volevo solo stare fuori e non chiusa in quattro mura fatte di soldi e speranze infrante.

Non mi ero portata nulla con me, la musica non mi piaceva. Volevo sentire solo il rumore dei miei passi e del mio respiro veloce.

Le uniche persone che vagavano per le strade o stavano correndo o portando fuori i cani.

Guardai il cielo che piano piano si schiariva, le serrande dei negozi che si alzavano e i bar che facevano apertura.

Non so quanto tempo era passato. Da casa mia a li dov'ero io erano circa 5 chilometri, così decisi di fare la strada al contrario per ritornare a casa.

Quando aprì le porte vidi mio padre e Mason, già vestiti e sistemati che facevano colazione con un caffè. Mio padre aveva il suo solito sigaro con se mentre leggeva il giornale. Notai anche Mason leggere, il ritratto di Dorian Gray.

"buongiorno Olivia" disse George, facendo girare i due uomini verso di me. Mason mi scrutò attraverso la sua maschera di indifferenza, mio padre mi fece un sorriso e disse "vedo che sei andata a correre. La ferita l'hai controllata?" " si, è tutto a posto" dissi io "George chiedi a Amelia se mi può fare una spremuta per favore?" chiesi io mentre mi sedevo al tavolo con loro. "certamente signorina" disse andandosene.

"Clara mi potresti andare a prendere il libro che è sul comodino?" chiesi io alla donna che solitamente puliva camera mia, lei annuì e si avviò in camera.

Mi arrivò la spremuta e il libro così mi misi a leggere mentre sorseggiavo la mia bevanda.

"Olivia c'è un altro incarico di cui dobbiamo parlare" disse mio padre chiudendo il giornale "dimmi" dissi io chiudendo il libro e mettendo i gomiti sopra il tavolo.

Mason stava ancora leggendo e non si mosse da quella posizione. Evidentemente già sapeva di cosa si trattasse.

"la famiglia Rossi, quella italiana, è in città e ci ha invitati in un casinò per una partita di Poker" disse lui, poi continuò "Ci andrete tu e Mason, declinare l'invito sarebbe segno di un'arresa per noi. Dopo quello che è successo l'altra sera non ci dobbiamo permettere che i nostri nemici pensino che ci siamo rammolliti." disse mio padre "quando?" chiesi io "stasera" disse guardandomi negli occhi "ah e Olivia" riportai la mia attenzione su di lui "vinci" disse assottigliando lo sguardo "per cosa mi avresti preparata se no?" gli chiesi io con un sorrisetto furbo, senza che ci fosse bisogno di una risposta. Lui sorrise orgoglioso.

Dopo un po' Mason si alzò "dove posso trovare una palestra?" chiese lui mettendo il dito tra le pagine per tenere il segno "secondo piano terza porta a sinistra" gli dissi io alzandomi per andarmi a fare una doccia.

Prima di sentire altro, salì nella mia camera e entrai in bagno.

Finita la doccia, mi pettinai i capelli bagnati che non asciugai e mi misi una tuta nera e una maglietta corta rossa.

Quando scesi sentì un rumore di colpi sul sacco. Mi avvicinai di soppiattò alla porta da cui provenivano i rumori e sbirciai.

Mason stava dando dei pugni a un sacco nero. Era senza maglia, i suoi muscoli guizzavano a ogni colpo, il suo corpo tonico era imperlato di sudore e alcuni capelli gli si erano attaccati al viso. Quando si girò di qualche grado dandomi le spalle, notai diverse cicatrici sulla sua schiena e sui suoi fianchi.

Erano linee lunghe e spezzate, come se una frusta gli si fosse stata buttata addosso diverse volte.

Girò intorno al sacco in uno scatto repentino per dare un gancio sinistro e mi vide. Anche se il suo sguardo notò il mio incuriosito, non si fermò.

Io entrai, visto che ormai ero stata scoperta e lo guardai meglio sedendomi sulla panca di cuoio nero.

aveva una tuta grigia e delle scarpe bianche. La tecnica era perfetta, era costantemente in equilibrio, il sacco quasi non si muoveva da quanto dava pugni secchi e forti.

Si fermò e bevve dalla bottiglietta appoggiata a terra, quando mi diede le spalle, mi concentrai di più sulle sue cicatrici. Partivano dalle sue spalle muscolose e finivano verso l'elastico dei pantaloni.

Alcune erano bianche e sottili, altre erano rosee, la pelle era in rilievo in quelle. Lo dovevano aver colpito molto forte.

Chissà come se le era fatte. Visto che sapevo che non mi avrebbe risposto, gli feci un'altra domanda per spezzare quel silenzio "perché quando mio padre si era avvicinato a me con sguardo serio tu ti sei messo in allerta?" chiesi io riferendomi alla sera prima, quando appena rientrata mio padre mi era venuto incontro con sguardo fulmineo.

Lui non lo confermò, ma neanche lo smentì "ha importanza?" chiese lui come io avevo fatto la sera prima.

"da chi hai imparato a combattere così?" chiesi alludendo al sacco. Non poteva aver fatto del semplice box. Io con la mia tecnica ero capace di ferire, ma lui con il suo modo di tirare pugni era capace di uccidere.

"si imparano certe cose per poter sopravvivere Olivia, lo dovresti sapere meglio di me" disse lui vagamente. Io stanca delle sue risposte, mi avvicinai lentamente mantenendo il contattato visivo con lui e perdendolo solo quando mi misi dietro la sua schiena. Lui rimase indifferente anche se la sua mascella si contrasse.

Con il dito gli sfiorai la peggiore che era praticamente in mezzo alla schiena. Lui non si mosse tranne che per respirare.

La pelle era frastagliata, ma anche morbida e accaldata "chi te le ha fatte?" chiesi io in un sussurro.

Lui sembrò riprendersi da quello stato di trance e si girò di scatto prendendomi bruscamente la mano che prima aveva toccato la sua pelle. Quella stretta non mi faceva male, lui in quel momento avrebbe potuto spezzarmi la mano in due, invece la stretta era forte e decisa, ma non dolorosa.

"non ti sembra di aver fatto troppe domande?" chiese lui in tono brusco. Mi guardò negli occhi e io per la prima volta, non vidi indifferenza nel suo sguardo, ma una dolorosa rabbia.

Io lo guardai con determinazione e il mento alto mentre le nostre mani erano ancora legate dalla sua forte stretta. Lui chiuse gli occhi, prese un respiro e mi lasciò la mano. Uscì e fece sbattere la porta alle sue spalle.

Mi accorsi solo in quel momento del brivido che mi ricopriva la mano ancora a mezz'aria.

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