CHARLOTTE
"Dimmi." - Risposi al telefono riconoscendo il numero di Julia mentre Kevin mi riempì un bicchiere di Cognac. Bene, giusto in tempo per festeggiare oppure, per annegare in quel che sarebbe stato un insuccesso. Attesi trepidante col cuore in gola ricevendo il bicchiere ghiacciato in mano dall'uomo dagli occhi piccoli, vispi e perfidi. Gli mimai un grazie con il movimento delle labbra ed allungai le gambe nude sul sofà, appoggiandole sopra le sue cosce.
"Le ha lette e ha creduto ad ogni singola parola scritta su quei fogli poiché è chiuso in stanza da ore ormai e non ne vuole proprio sapere di uscire. Sta spaccando tutto!"
Sorrisi, felice come non mai. "Ottimo. Tienimi aggiornata per tutto!"
"Certo, lo farò." - Mormorò mentre sorseggiai l'alcool portando maliziosamente la pianta del piede sopra la patta dei pantaloni dell'uomo che al tatto e dopo qualche provocante strofinamento incominciò ad eccitarsi. Dopotutto, dovevamo festeggiare. "A proposito, la bambina ora sta bene, è già a casa con-..."
"Ci risentiamo."
Per me sarebbe pure potuta crepare. Non m'importava un fico secco di quella mocciosa, la quale, non sarebbe mai stata una King e tantomeno la madre. Il sangue sporco di quei pezzenti non avrebbe mai e poi mai macchiato il nostro cognome. La nostra famiglia! ....Mai. E anche dopo la mia morte avrei fatto in modo che ciò non accadesse.
Misi via il cellulare e sorseggiai il mio alcool mentre Kevin allargò le gambe permettendo al mio piede di occuparsi meglio di lui. «Sai mia cara...» esordì afferrandomelo delicatamente e sollevandolo in direzione della sua bocca che stampò una scia di baci sulla pelle della mia caviglia e del dorso del mio piede «...tu mi ecciti da morire. E sai perché?»
Scossi a testa fissandolo diritto negli occhi. «Perché?»
«Perché godi della sofferenza altrui...» le sue dita accarezzarono la pelle liscia delle mie gambe risalendo fino alle cosce mentre le seguii con gli occhi anche quando scomparvero sotto la mia gonna «... e perché sei perfida.»
Mi sgolai tutto d'un colpo il bicchiere di Cognac, lo appoggiai sul mobile accanto al sofà e montai sulle sue cosce a cavalcioni mentre lui morse il labbro inferiore, impazzendo dalle mie tormentanti lusinghe. «Sto imparando dal migliore.»
LIV
Era trascorsa una settimana da quel brutto incidente. Ma era anche trascorsa una lunga, lunghissima settimana senza parlare con lui. Non aveva chiamato neanche per la bambina e non si era fatto vivo in nessun modo, tant'è che pensai addirittura se ne fosse tornato a New York. Si stava comportando in modo troppo ambiguo, cosa che mi mandava in totale confusione e mi faceva arrabbiare. Stava bene? Stava male? Era morto? Se ne fregava? ...
Che pensieri assurdi! Non sapevo neanche dove avesse comprato casa cosicché potessi piombare lì senza preavviso ed affrontarlo una volta per tutte e scoprire che cosa ne sarebbe stato di noi. Dopotutto, affinché una relazione fosse sana non doveva essere una strada a senso unico e perché funzionasse, oltre ad amore e rispetto, aveva anche bisogno di costanza, perdono e tanto impegno. Ripensai a quante volte avevo creduto fortemente di essere nata per lui. Che fossimo stati creati per l'un l'altra e che mai nessuno ci avrebbe reso felici come riuscivamo ad esserlo insieme. Ma amarlo come lo amavo io , però, a volte non bastava.Nell'ultimo periodo avevo provato in ogni modo a combattere la sua perenne indifferenza, i suoi tempi. A comprendere le motivazioni del suo distacco , a perdonare le sue umiliazioni, la sua furia scatenata . A lottare per noi, ma sentivo che poco a poco, giorno dopo giorno, stavo cedendo. Ero stanca. Ero letteralmente giunta al punto in cui stavo per lasciar scorrere le cose. Insomma, lasciarle semplicemente com'erano. Che proseguissero e che accadessero com'era giusto che fosse. Sin dal principio io e Ryder eravamo sempre stati un po' quella questione in sospeso , quella irrisolvibile che tirava le corde del nostro cuore facendoci un po' male. Quella che scombussolava i pensieri o teneva compagnia nel silenzio della notte.
Saremmo sempre stati quelli che si amavano a tal punto che stando vicini si annientavano a vicenda.