RYDERCol mio bicchiere di Whiskey in mano mi affacciai alla parete vetrata che mostrava tutto il panorama della città . L'equilibrio acustico offerto dalla pioggia che si rigettava trepidante contro il vetro generò quiete nella mia testa gratificandomi con le endorfine e rilasciando quel senso di benessere capace di farmi entrare in uno stato di profonda introspezione. Sospirai assaporandomi a piccoli sorsi l'alcool presente nel bicchiere e fissai quell'unico cubo di ghiaccio galleggiarci dentro. Era trascorsa una settimana da quando gli occhi di Liv mi avevano implorato di allontanarmi da lei, di farla respirare . Di uscire dalla sua vita e di lasciarla in pace, almeno per un po'. La settimana più ardua e lunga della mia vita. Di lì a poco saremmo anche stati liberi da ogni vincolo coniugale e per quanto mi doleva ammetterlo, meritava di spiegare le sue bellissime ali e volare dove il suo cuore avrebbe finalmente trovato la pace che meritava di avere. Non i miei tormenti, i problemi che le causavo, le lacrime o le pene dell'inferno. Riconobbi alle mie spalle la voce di Sean Penn nelle vesti di Paul Rivers, nel film 21 grammi. Lo stavano trasmettendo in tv.
"Come accade che due sconosciuti si incontrino?"
Mi voltai, mi appoggiai alla vetrata e bevendomi il Whiskey puntai lo sguardo sull'enorme schermo guardando i due attori . Rammentai immediatamente quella scena poiché di lì a poco avrebbe recitato alcuni versi di una poesia del poeta venezuelano Eugenio Montejo, la quale avrebbe inspirato il suo monologo.
"La Terra girò per renderci più vicini, girò sul suo asse e su di noi finché finalmente ci ricongiunse in questo sogno. ...."
Pensai a lei, anche se la stavo già pensando. La pensavo sempre, in ogni momento. Mentre dormivo, mentre respiravo. Ad ogni battito di cuore o di ciglia. Ad ogni fremito o sorriso. Viveva letteralmente sotto la mia pelle. La pensavo tremendamente ed instancabilmente. Esattamente come raccontava quella poesia, io o lei, saremmo potuti nascere a secoli di distanza. L'uno da una parte e l'altra dall'altra parte del mondo. Ciononostante chiunque avesse lanciato i dadi della fortuna per noi, ci voleva vicini. Liv era mia, io ero suo. Lo saremmo stati un giorno e se c'era una cosa al mondo di cui il mio cuore era certo, eravamo noi due. Fissai Penn e la Watts sulla tv nonostante la mia testa girovagò altrove, finché la chiave nella serratura dell'appartamento catturò la mia attenzione ed il mio sguardo si posò sulla sua sagoma.
«Ciao. Come va?»
«Bene.» Aveva comprato qualcosa da mangiare che portò un secondo in cucina prima di raggiungermi e passarmi il peluche di mia figlia. Lo presi delicatamente accarezzando la testolina di quel piccolo e morbido coniglietto bianco , infine lo annusai provando a catturare l'essenza della pelle della mia bambina che immediatamente mi rallegrò il cuore e mise le ali della felicità alla mia anima . «Perché ci hai messo tanto?»
Gli bastò guardarmi un attimo negli occhi affinché capissi, anche se aspettai che me lo confermasse a parole ed il mio cuore perse un battito udendo il suo nome.
«Ehm...Liv.» Rispose facendomi deglutire all'istante.
«Sei andato da lei?»
Lo vidi scuotere la testa. «In realtà è lei che è venuta da me. Stavo andando a recuperare il peluche di Sky e l'ho trovata fuori casa tua. Stava congelando per il freddo e così mi sono offerto di riaccompagnarla a casa.»
«Per quale motivo era lì?» Esitai a porgergli quella domanda anche se in realtà il mio cuore stava impazzendo al solo fatto che si fosse scomodata a quell'ora per venire da me, qualsiasi fosse il motivo. Per litigare, per sbraitarmi contro, per fare l'amore....
«Voleva incontrarti. Non mi ha detto altro...» mormorò mio cugino mentre ficcai di nuovo il muso nella morbidezza di quel peluche, pensando a quanto fosse bella mia figlia.