RYDERVerso le cinque del mattino giunse l'ordine del mio rilascio per cauzione pagata, ovviamente da Harris il quale non era riuscito a venire per via della cancellazione del suo volo. Poco prima di andare a ritirare i miei oggetti personali confiscati in precedenza, quattro agenti delle forze dell'ordine mi rinchiusero in uno stanzino e mi riempirono di botte colpendomi con calci e pugni sul corpo e sulla testa fino a lasciarmi quasi privo di sensi. Malconcio com'ero, mi trascinarono fuori e mi lasciarono accasciato al suolo fino a che recuperai un po' di forze e mi sollevai in piedi andando alla disperata ricerca di un taxi. Non appena giunsi a casa di Liv oltre al mio veicolo notai ci fosse anche il suo , segno che non fosse andata a lavoro.
Tirai un sospiro di sollievo e con la vista offuscata trascinai i piedi fino alla porta d'entrata provando a ricompormi per non dare nell'occhio, onde evitare che si preoccupasse delle mie condizioni fisiche.
LIV
Non chiusi occhio neanche per un misero istante quella notte. Nonostante fisicamente fossi sfinita, era la mole di pensieri che circolava nella mia testa che m'impedì di riposare. Restai sdraiata sul divano a fissare il soffitto pensando ad una soluzione possibile per evitare a Ryder tutto quel macello, anche se una parte di me ripose in Austin e nel suo magnanimo, una misera speranza. Andai a preparare del caffè che sorseggiai in fretta per poi prendere un'aspirina affine di placare quel terribile mal di testa fino a che corsi ad aprire la porta udendo il suono del campanello, certa che si trattasse di papà il quale sarebbe passato in mattinata a portarmi la bambina.
«Ryder!» Aggrottai la fronte non aspettandomelo lì, finché barcollò crollandomi quasi addosso e travolgendomi , stremato, sudato, pallido e sofferente. «Che succede? Hey...Ryder, rispondimi!» Non seppi neppure dove riuscii a trovare tutta la forza necessaria per reggere novanta chili di uomo, ma in qualche modo ce la feci. Lo strinsi forte a me e non lo mollai neanche per un'istante mentre il suo respiro si appesantì poco prima che incominciasse a tossire incessantemente, respirando a fatica. Non capendo cos'avesse iniziai a preoccuparmi e a farmi assalire da un'improvviso attacco d'ansia, timorosa che gli fosse successo qualcosa di grave, finché resami davvero conto della sua situazione critica, recuperai la lucidità poiché di quel passo gli sarei stata poco utile. «Reggiti forte a me...» lo rassicurai allacciando entrambe le braccia attorno al suo addome mentre lui mugugnò sofferente, forse per via della stretta «...non ti lascio.»
Mi guardò, tenendo a fatica le palpebre aperte, infine abbozzò un lieve e quasi impercettibile sorriso come se mi fosse grato di qualcosa. Ma di cosa? Che diavolo gli era accaduto? Di certo, quello non era il momento più opportuno per chiedere, poiché probabilmente non riusciva neppure a parlare per via di quella brutta tosse.
«Non ti lascio!» Ribadii, nonostante stessi tremando come una foglia secca preda del vento.«Vieni qui...» mi indirizzai a fatica nel bagno, certa che probabilmente avrebbe dato di stomaco me lui si sedette sul bidet e strinse forte nella sua mano il tessuto della mia t-shirt, esattamente all'altezza del mio petto. Mi spaventai a morte vedendolo boccheggiare, come se non riuscisse a respirare adeguatamente e mi feci prendere dal panico non sapendo come comportarmi. «Ryder....Ryder...» strillai acchiappando il suo viso nelle mani provando a scuoterlo mentre il cuore mi smise di battere nella gabbia toracica. Non mi ero mai sentita così inutile ed impotente in tutta la mia vita, così, di pancia, la prima cosa che mi venne in mente fu premere la mia bocca sopra la sua per fargli la ventilazione artificiale. Inspirai profondamente ed insufflai l'aria all'interno della sua cavità orale finché mi infilò la lingua fino in gola, tirandomi per la maglia e premendo la sua mano libera sulla mia nuca affine di eliminare le distanze tra noi.