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RYDER

Panico.
L'apprendere quella notizia mi lasciò a dir poco tramortito . Ero in apnea, pietrificato e sudavo a freddo ; avevo la coscienza sporca. Ero smarrito ed ero stato io , o perlomeno, gran parte per la quale era rimasta coinvolta in quell'incidente era a causa dei miei strazianti tormenti. L'avevo spinta al limite e mi odiavo a morte per tutto ciò. Dovevo perderla per vergognarmi del mio comportamento? Ero davvero arrivato a tanto? Il dolore invalidante mi aveva intorpidito mente e corpo e la sofferenza che stavo provando mi penetrava a fondo fin dentro le ossa. La paura e lo sgomento mi avevano in pugno stringendomi la gola in un'inspiegabile e dolorosa morsa.
Fu terribile, asfissiante.
Volevo gridare e gettare fuori tutto ma nulla uscì dalla mia bocca.
Niente di niente.
Per colpa mia, della mia assurda ossessione di castigarla, di ripagarla con la stessa moneta o della mia ineguagliabile gelosia e testardaggine , stavo perdendo l'amore della mia vita. La stavo perdendo, pensai, poiché non sapessi null'altro se non che fosse in ospedale. Ma viva o...
La corsa in ospedale fu folle. Sbandai col veicolo non riuscendo più a vedere la strada per via delle interminabili lacrime che mi avevano offuscato la vista e portai immediatamente la mano sopra il petto della bambina ancora addormentata nel seggiolino che avevo messo nel sedile del conducente.

«Cristo!» Bofonchiai terrorizzato tra i denti. Avevo mia figlia lì e stavo guidando come un pazzo!

Giunto in ospedale percorsi velocemente il corridoio bianco e asettico inondato di disinfettante. Da ciò che mi riferirono all'entrata, si trovava al primo piano. Presi così l'ascensore e seguii le indicazioni finendo in un lungo corridoio, finché intravidi e riconobbi tutti i presenti in fondo ad esso, pronti a ricevere notizie dai dottori. C'era anche Austin. Ma come, non era con lei nel momento dell'accaduto? Parve che nessuno sapesse niente. Mi guardarono arrivare e mi odiarono a morte. Lo lessi nei loro sguardi gelidi e spenti. Io però, ero lì per Liv e non di certo per affrontare le loro isteriche o imprevedibili emozioni. Erano pronti ad aggredirmi, a sbranarmi e ad incolparmi dal primo all'ultimo, probabilmente già informati sulla faccenda accaduta al Lago Vista. Non ero il benvenuto, non mi sentii tale, ma ciononostante nessun Dio sarebbe riuscito a smuovermi di lì per nessuna ragione al mondo.

Abraham spinse le ruote della sua carrozzina venendomi lentamente incontro.

«Che diavolo ci fai tu qui?» Pronunciò arrabbiato.

«Levati, vecchio!» Feci un altro paio di passi ma lui non ne volle sapere. S'impuntò lì , al che mi fermai con ancora il seggiolino della bambina in mano laddove gettò gli occhi. Per fortuna dormiva e non si accorse di niente.

«Non sei il benvenuto qui, Ryder King. Per colpa tua , dietro quella doppia porta c'è mia figlia.»

Lo fissai. «Che è anche mia moglie!»

«Ex....» mi corresse quello sgorbio di merda alle spalle dell'uomo «....moglie.»

Da ciò che parve, Austin mi diede l'impressione che fosse in vena di scavarsi tre metri di fossa ma poco prima che gli spezzassi l'osso del collo, un'infermiera con la casacca azzurra varcò la soglia della porticina che portava al reparto dedicato solo a pazienti e personale e poco dopo uscì lei. Per un momento un brivido percorse la mia schiena come la lama di un coltello perché distesa così, su quel letto, con gli occhi chiusi....mi parve morta. Tutti incominciarono a seguire il letto che veniva spinto nella direzione della stanza in cui l'avrebbero portata, fino a che ci passarono accanto. Lui emise un ansimo di dolore, io morii, vedendola conciata in quel modo.

«Bambina mia...bambina mia, come ti hanno ridotta!» Esclamò Abraham sul punto di crollare mentre la sua compagna, Bessie, fu colei che gli fece da spalla di sostegno provando in ogni modo a placarlo.

Liv - L'ultimo Re 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora