RYDERL'avevo persa e tutto ciò che mi circondava si era fermato insieme a lei.
Niente impulsi.
Niente stimoli.
Niente.Era paradossalmente straordinario come qualcuno, una persona qualunque, la più inaspettata tra tutte, un giorno decideva di entrare a far parte della tua vita , e da quell'istante in poi, tutto ciò che era accaduto in precedenza svaniva e per quanto ci provavi e riprovavi, tu , essere umano, non ricordavi neppure come come eri riuscito anche solo a vivere senza di lei per tutto quel tempo addietro.
Per tutto il tempo a seguire...«Signor King?»
Mi veniva un nodo stretto alla gola, un cappio rivestito di chiodi. Uno di quelli che ti privava del respiro ogni volta che mi ricompariva nella mente. Certo... ricompariva. Mi ostinavo a convincermi che fosse così, ed invece, ero solamente un'ipocrita, perché lei ci regnava nella mia testa. Lei era scolpita lì, ed era questa l'unica realtà dei fatti. Una realtà ardua da comprendere, da conviverci, da accettare e rendere parte integrata di me. Non era trascorso neanche un'istante, un misero istante in cui non l'avessi cercata ; pensata di giorno e sognata di notte. O perlomeno, quelle poche ore che ero riuscito a chiudere occhio da più di due anni a quella parte . Due anni colmi di domande a cui non riuscivo a darmi risposte.
Soffrivo, bevevo e soffocavo l'agonia. Questo era tutto ciò che riuscivo a fare.
L'avevo cercata ovunque ma lei era sparita lasciandomi sprofondare nell'abisso dell'oceano.
Un oceano pieno di rabbia e sofferenza.
Un oceano che mi tratteneva in basso, a fondo.Le donne le usavo e sfruttavo, provando invano a liberarmi di lei, la mia prigione. Eppure nulla mi eccitava ormai . Semplicemente sopravvivevo cercando disperatamente di scacciare via quelle radici che mi trafiggevano e spappolavano il cuore. Dovevo solo che detestarla a morte ed invece, morivo, ma solo per la grande voglia di guardarla, udirla ridere di nuovo, vivermela, stringermela al petto o sapere dove fosse e se stesse bene. Imbattermi accidentalmente in lei e chiederle se avesse mai pensato a me, a noi. Se avesse mai provato a contattarmi o a tornare da me.
Chiaramente non lo aveva fatto.
Non si era più fatta viva neppure con Alex e Bonnie, che nel contempo, ero venuto a conoscenza del fatto che si fossero recentemente sposati. Deglutii percependo in bocca l'amaro della mia più grande sconfitta nella vita ; l'averla persa.
Duro colpo da attutire, durissimo da accettare. In ogni senso, o forse, senza senso alcuno.
Ero un maledetto e tutto ciò che toccavo moriva. Questo era ciò che ricorreva spesso e volentieri nella mia testa.«Signor King?...Ehilà?»
Osservai come la mano di Ova acchiappò il resto della sigaretta ancora stretta tra le mie labbra, prima di spegnerla sul posacenere gettato in mezzo a varie scartoffie.
Non dissi nulla.
Lei mi voleva bene.«Sta fumando!» Mi rimproverò con un tono di voce così gentile per il mio cuore che percepii una strana e disarmante scossa, simile alla necessità di piangere. Sorrisi vedendola spegnere goffamente la sigaretta, prima di storcere il naso per via dell'odore punzecchiante di tabacco che le pervase l'olfatto. «Tenga. È ciò che mi ha chiesto, no?»
Afferrai il dossier dove all'interno c'erano dei vari fascicoli udendola tossire.
«E non fumi più!»
«È il mio ufficio.»
La minuta signora, la mia dipendente più anziana, sospirò dandosi un'occhiata in giro fino a che si rese conto che quel luogo sembrasse un porcile. «Sa che cosa intendo...» aggiunse aggrottando la fronte rugosa e tendendo le sue sottili labbra tinte del solito rossetto color sangue «...ha dormito di nuovo qui, non è vero?»