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Cerchiamo l'equilibrio e ci innamoriamo sempre di chi ce lo fa perdere

10 settembre

Il ticchettio della pioggia che batte sui vetri di questo aereo mi ipnotizza.

Mi piace ammirare come le singole goccioline si stendano ben distinte sopra la superficie: alcune corrono talmente veloce da fondersi con le altre che sembrano attendere sul fondo, altre proseguono solitarie per la loro strada.

È come se ognuna di queste scandisse lentamente gli attimi che mi stanno avvicinando a quella che sarà una vita completamente nuova.

Sto lasciando tutta la stabilità costruita in ventitré anni di vita per un lavoro.

La vecchia me non lo avrebbe mai fatto: sono sempre stata tanto, forse troppo, legata al mio luogo di origine.

Nel corso degli anni si era costruito un bilanciato mix tra amore e odio: vivendo in un paesino di provincia con pochi, pochissimi abitanti era impossibile avere segreti, le anche più banali notizie finivano sulla bocca di tutti, ma d'altra parte amavo il fatto che avessi sempre tutto con me, dagli amici, alle abitudini e soprattutto alla famiglia... non che io sia una persona poco estroversa, mi perdo tanto nei pensieri quanto nelle chiacchiere, ma ricostruire tutto da zero non sarà sicuramente una cosa da poco, soprattutto in un quartiere immenso come lo è Brooklyn.

Era una giornata tranquilla di inizio agosto, quando arrivò nella mia casella di posta elettronica un'e-mail della Thompson Brooklyn Agency, una delle più note aziende di marketing a Brooklyn, a cui inviai per sbaglio un curriculum nella confusione della ricerca di lavoro post-laurea.

Onestamente, ho avuto bisogno di trentadue giorni e circa dieci vaschette di dolcissimo gelato alla vaniglia per realizzare che era un'occasione irripetibile e che avrei dovuto staccare i piedi tanto incollati alle fondamenta della mia umile casetta.

I miei genitori, soprattutto mio padre, mi hanno ironicamente detto che mi avrebbero cacciata di casa se avessi rifiutato un'offerta del genere. Penso volessero liberarsi di me.

Eppure mi domandavo giorno per giorno se ne valesse la pena. Ma insomma, per cosa avevo studiato a fare tanto a lungo? Il mio paesino nel Texas non mi avrebbe decisamente aperto le porte per il futuro che avevo tanto sognato.

"Signorina, deve iniziare ad alzarsi, non so se si è accorta che l'aereo è atterrato"

Una voce femminile, accompagnata da un sonoro colpo di tosse, mi risveglia dai miei numerosi pensieri. La mia testa è perennemente tra le nuvole, penso così tanto dal non sentire cose decisamente più importanti come l'avviso di atterraggio dell'aereo.

Mi scuso velocemente e mi affretto a scendere all'aereo.

Nel momento in cui stropiccio con le mani i miei occhi scuri realizzo in parte che ci sono riuscita... sono a Brooklyn, completamente da sola!

La pioggia sull'aereo era estremamente rilassante, seppur mischiata al russare del signore dalla folta barba che era seduto al mio fianco, ma ora, sulla terra ferma, e soprattutto senza un ombrello, non è proprio piacevole sentirla bagnarmi completamente.

Corro al riparo, cercando di non cadere per via della mia estrema goffaggine.

Devo affrettarmi a prendere tutte quelle valigie e portarle il prima possibile in un taxi, ho davvero bisogno di una doccia... inoltre non vedo l'ora di conoscere la mia coinquilina.

Fortunatamente il recupero delle valigie è meno traumatico di quanto pensassi, sono riuscita a infilarmi tra la folla e prenderle molto in fretta. Ora devo assolutamente prendere un taxi.

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