LVII (2)

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D U N C A N

Sono fottutamente contento e cazzo, me lo merito. Durante l'ultimo anno ho passato un periodo terribile, tra la perdita di mia madre e la partenza di Angel, ma finalmente posso dire di star vedendo uno spiraglio di luce, dopo tutta la merda che mi ha travolto.

Per un istante, è come se nemmeno mi importasse della complicata faccenda dell'azienda: sono soltanto contento e non vedo l'ora di mettere ufficialmente piede in casa nostra.

Uscito dall'ufficio, decido di passare all'Hotel in cui vivo per iniziare a preparare le mie cose. Presto dovrò lasciarlo per andare nella nuova casa che Angel e io abbiamo scelto. La giornata è stata intensa, piena di riunioni e telefonate, ma il pensiero di trasferirmi con Angel mi ha dato la forza di andare avanti. Non vedo l'ora di iniziare questa nuova fase della nostra vita insieme.

Quando arrivo alla reception, il portiere mi avvisa che c'è una lettera per me. «Una lettera?» chiedo, leggermente sorpreso. Non ricevo spesso corrispondenza qui.

«Sì, signor Thompson. È arrivata poco fa.»

Prendo la busta e la porto in camera, curioso di sapere chi possa avermi scritto. Apro la porta della mia suite e mi siedo sul divano, osservando la busta per un attimo prima di aprirla. La mia mente è ancora occupata dai pensieri sulla nuova casa, sull'organizzazione, sul futuro con Angel.

Apro la lettera con un senso di curiosità, ma appena vedo il contenuto, il mio stomaco si contorce. Ci sono delle foto. Foto di Angel, la mia Angel, con Elijah Gauthier. Le immagini li mostrano mentre parlano, mentre lui le accarezza i capelli. Ogni foto è come una pugnalata. Sento il sangue ribollire, gli occhi si stringono, le mani tremano di rabbia. Non riesco a capire cosa ci faccia con lui e perché non me ne abbia parlato.

Mi alzo dal divano e inizio a camminare per la stanza, incapace di restare fermo. I pensieri mi martellano la testa. Perché Angel non mi ha detto nulla? Cosa ci faceva con Elijah? Ogni volta che guardo le foto, il mio cuore si stringe. Elijah Gauthier, l'uomo che probabilmente odio di più al mondo dopo mio padre.

La rabbia cresce, alimentata dalla confusione e dal senso di tradimento. Decido di recarmi nell'appartamento di Angel. Ho bisogno di spiegazioni, subito. Prendo le chiavi e mi dirigo verso l'uscita, il cuore che batte furiosamente nel petto.

Quando arrivo, lei non è lì, ma ho la chiave secondaria. Entro e mi siedo, le foto ancora in mano. L'attesa è un'agonia, i pensieri mi torturano. Penso a tutte le possibilità, a tutti gli scenari che potrebbero spiegare quelle foto. Ma ogni spiegazione sembra peggiorare la situazione.

Finalmente, la porta si apre e Angel entra. Il mio cuore salta un battito, la rabbia e la delusione mescolate in un turbinio di emozioni.

«Duncan, tutto bene?» chiede, sorpresa di vedermi lì.

Mi alzo, la rabbia pulsante nel petto. «C'è qualcosa che devi dirmi, Angel?»

Lei mi guarda confusa. «Cosa sono quelle?» chiede, indicando le foto.

«Foto, non le vedi?» rispondo, la voce tesa.

«Quali foto?» ripete, avvicinandosi.

Glie le porgo. «Guarda con i tuoi stessi occhi.»

Lei prende le foto e, appena le vede, il suo viso cambia espressione. «Non ci credo, quel maledetto bastardo...»

«Com'è che faceva?» dico. «Ti stava accarezzando... così?» faccio un gesto come per imitare il tocco di Elijah.

«Aspetta... che stai insinuando?!» esplode Angel, con indignazione nei suoi occhi.

«Dimmelo tu,» replico glaciale. «Dato che mi basta stare un pomeriggio in ufficio per trovare foto come queste.»

BROOKLYN'S LIGHTSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora