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D U N C A N

«Cazzo, il volo sembra non passare mai», borbotto, sistemandomi sulla scomoda poltrona. «Quasi dimenticavo quanto fosse terribile la classe economy»

Non ho chiuso occhio. Il fuso orario mi sta fottendo il cervello e il pianto del bambino nel sedile dietro di noi mi sta portando all'esaurimento.

Sto contando i minuti da almeno dieci ore, nella speranza di sentire il prima possibile la voce dell'altoparlante annunciare l'atterraggio. Dio, avrei dovuto immaginare fosse una pessima idea.

Ma poi penso a lei. Ed è solo ed unicamente per lei che lo sto facendo.

«Tu dici? A me sta passando così velocemente!» ribatte Richard, sbadigliando.

Lo fulmino con lo sguardo. «Ma non mi dire, Richard»

Perché sì, Richard al contrario mio ha beatamente dormito per tutta la durata del volo. Russando, aggiungo.

«Io e te dobbiamo fare un discorsetto, amico», annuncia, dandomi una pacca sulla spalla.

Alzo un sopracciglio. «Un discorsetto?»

«Dovrai pur dire al tuo migliore amico in reale motivo per cui sei qui con me»

«Non è ovvio? Volevo fare un viaggio con te», provo a cambiare discorso.

Lui si lascia sfuggire una risata. «Duncan, sai bene che a malapena sopporti la mia parlantina quando siamo al bar a bere whiskey»

«Da come parli sembra che hai già la risposta alle tue domande, o sbaglio?» sbuffo in risposta.

«Certo che lo so», annuisce. Poi mi rivolge un sorriso beffardo. «Ma voglio sentirlo da te»

Alzo gli occhi al cielo. «Cosa ti aspetti, un discorso romantico per proclamare il mio amore verso Angel?»

Richard batte le mani soddisfatto.

«Nessuno la aveva nominata»

Stringo i pugni. «Dio...»

«Ma era piuttosto scontato», aggiunge.

Decido di ignorarlo, nella speranza che durante quest'ultima ora di viaggio si rimetta a russare. Distolgo lo sguardo, focalizzandomi sugli ammassi di nuvole fuori dal finestrino.

Ma il mio piano non va come previsto, tanto che dopo esattamente venti secondi, la voce di Richard torna a suonare nel mio orecchio sinistro.

«Perché lo fai?»

«Non sono affari tuoi, Richard»

«Invece lo sono, Duncan», ribatte. «Spesso sembra tu faccia le cose senza rifletterci affatto»

E adesso sono io ad aggrottare le sopracciglia. Da che pulpito viene la predica, mi verrebbe da aggiungere.

Odio gli interrogatori, odio le troppe domande e odio chi non si fa gli affari suoi. Ma qui si parla di Richard, mio amico da una vita, dunque continuerò ad ignorarlo nella speranza che cambi discorso.

«L'aria dell'Italia deve farti proprio male...» aggiungo.

Il mio amico capisce che con me non ha nulla da guadagnare, alza gli occhi al cielo e si riposiziona comodo sulla poltrona, rischiando più volte di poggiare la testa su l'anziana signora accanto a lui.

E negli attimi successivi, per quanto vorrei ignorare le parole di Richard, queste ultime continuano a risuonare nella mia testa.

Perché lo faccio?

Lo faccio perché avrei voluto baciarla la sera dell'addio al nubilato. Avrei voluto baciarla quando, correndo per Central Park, aveva trovato Furia. Avrei voluto baciarla durante il torneo di beneficenza e persino fuori da quel ridicolo negozio di Cupcakes.

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