LXIV (2)

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A N G E L

Sono passate due settimane dalla scomparsa di Callie e la mia vita sembra essersi fermata. Non ho avuto la forza di uscire dalla mia stanza, trascorro le giornate rannicchiata sotto le coperte, persa nei ricordi di momenti passati con lei.

Duncan oscilla tra la nostra casa e quella di Trevor, cercando di prendersi cura dei gemelli e di dargli un po' di sollievo, dato che è in una condizione di totale sconforto. I gemelli sono ancora piccoli e richiedono attenzione continua, ma Trevor è devastato dal dolore e fa fatica a trovare l'energia per affrontare le giornate. Mi rendo conto che devo mantenere la promessa fatta a Callie, quella di prendermi cura della sua famiglia. Ma ogni volta che provo a fare un passo fuori dalla mia stanza, il dolore mi paralizza.

La morte di Callie mi tormenta. Non riesco a capire come sia potuto accadere. Continuo a pensare a quel maledetto giorno, a come tutto sia sembrato così surreale e improvviso. La macchina che ha avuto un problema ai freni, senza che nessuna spia avesse avvertito il conducente. Mi sembra troppo strano, troppo improbabile. E poi c'è Sophie, che quel giorno all'atelier sembrava così strana, così fuori posto. La sua insistenza nel chiamare Callie, la sua reazione esagerata... c'è qualcosa che non quadra.

Questi pensieri mi assillano continuamente, rendendo impossibile trovare pace. Ogni notte, quando chiudo gli occhi, vedo il volto di Callie e sento la sua voce che mi chiede di mantenere la promessa.

Finalmente, un mattino, mi alzo con una determinazione diversa. So che devo fare qualcosa. Non posso lasciare che il dolore mi paralizzi per sempre. Ho una promessa da mantenere e ho delle risposte da trovare. Mi vesto lentamente, ogni movimento sembra richiedere uno sforzo immenso, ma alla fine riesco a uscire dalla mia stanza.

Duncan mi guarda con sorpresa quando mi vede. «Piccola, stai bene?» mi chiede, con la voce piena di preoccupazione.

Annuisco, anche se non sono sicura di come rispondere a quella domanda. «C-credo di dover andare da Trevor. Sai... la promessa fatta a Callie.»

Duncan mi prende la mano, il suo tocco è rassicurante. «Sono qui con te. Andiamo insieme.»

Lui va sempre da Trevor, ogni giorno. Non c'è stato attimo in cui non lo abbia lasciato da solo.

Arriviamo a casa di Trevor e la scena che ci accoglie è devastante. I gemelli, che hanno appena tre mesi, piangono disperati sul pavimento tra giocattoli sparsi ovunque. La casa è in un totale disordine, il che è incredibile considerando che Trevor è sempre stato un maniaco dell'ordine. La vista di questo caos mi colpisce come un pugno allo stomaco. Fa tanto male.

Trevor è irriconoscibile. I suoi capelli sono arruffati, la barba incolta, gli occhi rossi e gonfi di lacrime. Indossa abiti sgualciti, evidentemente la stessa roba che ha da giorni. È trasandato in un modo che non avrei mai immaginato possibile per lui. Si aggira per la stanza come un'anima persa, parlando a stenti e, quando lo fa, la sua voce è carica di rabbia e disperazione.

«Trevor...» mormoro, sentendo un nodo alla gola.

Alza lo sguardo e nei suoi occhi vedo una sofferenza che mi spezza il cuore. «Angel, Duncan... perché siete qui?» La sua voce è dura, quasi accusatoria, ma dietro quella durezza c'è solo un uomo distrutto.

«Siamo qui per aiutarti, Trevor. Per aiutare i gemelli,» dico, cercando di mantenere la voce ferma.

Trevor scuote la testa, il dolore traspare in ogni linea del suo volto. «Non potete aiutarmi. Nessuno può. Callie se n'è andata e io... io non so come fare senza di lei.»

Mi avvicino a lui, ignorando il disordine e il caos intorno a noi. «Trevor, so che è difficile, ma non sei solo. Siamo qui per te.»

Lui mi guarda, e vedo le lacrime brillare nei suoi occhi. «Non capisci, Angel. Ogni giorno è una tortura. Persino respirare mi ricorda che lei non c'è più.»

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