Un mondo semplice

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La porta della cucina scricchiola e si apre, rivelando le forme morbide di Agnese. Tra le sue braccia stringe Tonino, avvolto in una calda coperta di lana fatta a mano. Le guance paffute del bambino hanno il colore di un lattante in salute. Gli occhi nocciola, come quelli del padre, sono spalancati su quel mondo opacizzato, fatto di cose semplici.

Una folata di aria umida e fredda induce la giovane a chiudersi rapidamente la porta alle spalle.

Agnese siede il bambino sul caregòn, una vecchia sedia a cui Giuseppe ha allungato le gambe. Tonino emette gridolini di genuina felicità, agitando in aria le sue manine grassocce. La ragazza si avvicina alla suocera con un sorriso rassicurante. Le sistema lo scialle sulle spalle.

– Buondì, Luigia. Come si sente? – chiede Agnese con tono affettuoso.

Luigia regala alla giovane un sorriso tirato. Annuisce con la testa, poi, trascinando gli zoccoli, si avvicina al camino e appende la calìera al gancio della catena. Ci vuole tempo prima che l'acqua raggiunga il bollore.

In una delle tasche dei pantaloni la lettera sembra bruciare come un carbone incandescente. Senza farsi notare dalle due donne, Anselmo infila una mano nel tessuto ruvido dei calzoni, palpeggia la carta sgualcita. Non avrebbe mai voluto leggere quelle parole, non avrebbe mai voluto sentire un peso così gravoso sullo stomaco.

E non avrebbe mai voluto prendere decisioni difficili.

Di nessun tipo.

Lui è il piccolo di casa, si sente ancora troppo giovane per assumersi delle responsabilità.

Agnese siede accanto al marito, intuisce la tensione nei suoi muscoli, lo sguardo duro, il respiro corto.

Anselmo gira la testa verso la moglie, una smorfia che assomiglia a un sorriso gli scosta le labbra violacee.

– E papà, come mai non è ancora sceso? Tra poco suonano le campane, dobbiamo andare in chiesa...

La voce di Anselmo è appena percettibile. Agnese si volta, gli punta addosso gli occhi chiari, allunga una mano sulla nuca del marito, gli passa le dita sulla guancia ruvida.

– Sta per scendere, l'ho visto mentre si vestiva. E tu, come stai? Non ti sei nemmeno fatto la barba. Oggi è domenica, e... Madonna santa! Che faccia hai!

Anselmo abbassa lo sguardo, increspa la fronte. Agnese osserva il profilo regolare del suo uomo: i morbidi ricci che gli sfiorano la fronte, le orecchie ben disegnate. È proprio bello il mio Anselmo, pensa, mentre si porta una fetta di polenta alla bocca. Lei sta allattando, è esentata dal digiuno e può mangiare quanto vuole. Il profumo del cibo caldo si mescola all'odore del legno del camino, creando un'atmosfera familiare e rassicurante. Ma dietro quella calma apparente, Agnese sente una tensione crescente. Cosa sta nascondendo Anselmo?

Sono mesi che non fanno l'amore, forse anche per questo motivo suo marito ultimamente è così irritabile, di malumore. Una donna le capisce certe cose. E se dovesse arrivare un altro figlio lo accetterà, perché i figli sono una benedizione, e una moglie deve fare il proprio dovere. Agnese avvicina le labbra all'orecchio del ragazzo. Sussurra piano, quasi un soffio, per non farsi sentire dalla suocera.

– Questa sera, appena sentiamo russare to pare e to mare, fasemo l'amor, vedrai che ti passa tutto.

 Le spalle del ragazzo si raddrizzano di colpo, alza la testa con uno scatto. Un guizzo di desiderio appare nel suo sguardo. Agnese non si era mai spinta in frasi di quel tipo. Quelle parole lo hanno galvanizzato.

 Si sente improvvisamente forte e coraggioso, come un leone pronto ad affrontare qualsiasi sfida. Sa che le lacrime di sua madre sono inevitabili, ma è disposto ad accettarle. Agnese, sotto il tavolo, gli stringe la mano con un sorriso malizioso, uno sguardo che tradisce l' amore verso il marito. Anselmo sorride compiaciuto per quella carica di ardore e ottimismo che gli ha trasmesso Agnese.

Si schiarisce la voce con un colpo di tosse.

– Devo parlarvi. – annuncia con voce greve.

 Il tono deciso del figlio gela il sangue nelle vene di Luigia. I suoi occhi, sgranati dal timore, si spostano freneticamente dal volto di Agnese a quello di Anselmo, cercando una conferma nelle sue pupille. Un nodo le stringe la gola mentre un'ondata di ansia la travolge.  

Nel frattempo, il piccolo Antonio ha sostituito i suoi primi versetti sillabati a un inizio di pianto. La nonna lo prende in braccio, se lo stringe al petto, annusa il profumo delle pieghe del collo, lo culla con tenerezza. C'è la tensione dell'attesa in ogni suo movimento. L'anziana inizia a camminare nervosamente attorno al tavolo con il bambino appoggiato sulla spalla, assestandogli leggeri colpetti sulla schiena.

In quel preciso istante, Giuseppe si palesa in cucina. Avverte subito che qualcosa sta per accadere.

– Bene, adesso siamo al completo. – annuncia Anselmo. – Papà, siediti. Ho una cosa importante da dirvi.

Il capofamiglia, un uomo dalla statura modesta e dai capelli bianchi, indossa l'abito della domenica. Siede a capotavola con austerità, la fronte segnata da profonde rughe. Luigia passa Tonino alla madre, che lo accoglie con un dolce sorriso. Il bambino si calma, succhiando avidamente il pollice.

La donna versa un mestolo di latte nella scodella e posiziona la tazza sul tavolo davanti al marito. Giuseppe, imperturbabile, inizia a bere la bevanda che gli scivola nello stomaco come una calda e rassicurante carezza. Ogni cosa sembra immobile nella semplicità dei pochi mobili in legno scuro. Un ruttino di Tonino rompe il silenzio. Oltre i vetri, la prima luce del mattino, perlacea e tenue, si diffonde sul paesaggio rurale, donando un senso di pace e tranquillità.

– Allora, cosa devi dirci di tanto importante? – sbotta l'uomo.

Giuseppe è un uomo pratico, rude, non avvezzo a preamboli né tanto meno a gestualità e parole affettuose. Il tono della voce è perentorio, il lavoro nei campi ha indurito ogni cellula del suo organismo. E non è nemmeno paziente. Il più giovane dei suoi figli lo vede come un bambinello incapace di crescere, privo di midollo e con poca voglia di lavorare. Anselmo è l'unico figlio che gli è rimasto, l'altro, il maggiore, è partito lasciandolo con quel ragazzo incerto, poco volenteroso.

 Anselmo infila la mano in tasca. Una folgorazione lo prende: e se non dicesse nulla, se stracciasse la lettera e dimenticasse il contenuto, riuscirebbe a dormire la notte?

– Allora! 

Un pugno sul tavolo fa sobbalzare le scodelle. L'anziano si alza in piedi, la sedia si schianta sul pavimento con fragore. Tonino scoppia in un pianto disperato. Luigia si mette la mano sulla fronte, con l'altra si fa il segno della croce.

Tre volte consecutive.

– Mariavergine, par el teremoto...

Giuseppe prende cappello e bastone, si butta la mantella sulle spalle. Con voce alterata, trascinando vistosamente il piede sinistro, si avvicina alla porta.

– Mi vado in cèsa, voi fate quello che volete ... - rivolgendosi al figlio - e tu vedi di crescere che ancora te la fai sotto per ogni cosa, te si solo un bocia sensa spina dorsàl!
Parole pesanti come macigni che resteranno indelebili nella mente di Anselmo.

Poi, sibilando imprecazioni indicibili, esce dalla cucina tirandosi dietro la porta con un colpo secco.


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GLOSSARIO

* caregòn = seggiolone

* caliera - paiolo per la polenta

* to pare e to mare fasemo l'amor = tuo padre e tua madre facciamo l'amore

* Mariavergine, par el teremoto = Maria Vergine, sembra il terremoto

* Mi vado in cèsa = Io vado in chiesa

* te si solo un bocia sensa spina dorsàl! = sei solo un bambino senza spina dorsale

LA MATRIARCA Sul Filo di LanaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora