Un amore impossibile

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Il vento ha spazzato via le nuvole ma l'aria pungente è rimasta quella di una serata da tardo autunno.

Mani in tasca e occhi puntati verso un cielo nero, a cercare la stella più luminosa, Alessandro gioca con i pensieri mentre percorre i pochi metri che separano l'emporio dall'appartamento. Ha bisogno di fare due passi. Di stemperare l'ansia. Si chiede se Anselmo abbia avuto il coraggio di comunicare alla moglie l'intenzione di arruolarsi nell'esercito per combattere una guerra di cui non si sa praticamente nulla. Si chiede anche come Agnese abbia reagito a una simile notizia.

Si batte vigorosamente le mani sulle braccia nel tentativo di riscaldarsi. Ha mille pensieri per la testa che non riesce a mettere in ordine. Agnese è il suo chiodo fisso. Gli assorbe tutte le energie, ne fa di lui un derelitto umano imbottito di amore e disperazione. Si accende una sigaretta, ne aspira il fumo nervosamente.

Siede sul primo gradino della scala in ferro che porta al piccolo appartamento; immagina Anselmo e Agnese in cucina mentre parlano, forse discutono. Vede, con gli occhi della mente, il volto impietrito della cognata, la bocca aperta, gli occhi sbarrati mentre supplica il marito di non lasciarla sola. Lei non vuole che Anselmo vada in guerra, come darle torto. Starà piangendo. Lo starà implorando di non partire, di rimanere con lei e i bambini.

Con uno sbuffo fa uscire il fumo dalla bocca, il respiro si condensa in una piccola nuvola di vapore, getta con rabbia il mozzicone sulla strada. Si alza. Si stringe nelle spalle. Sospira e inizia a salire.

I passi sulla scala ferrosa sono perfettamente udibili nel silenzio di una sera senza più nulla da dire.

Alessandro.

Agnese ferma le mani, appoggia il canovaccio con cui sta asciugando le stoviglie. Attende di vedere comparire sulla porta il corpo slanciato, il bel volto con il mento squadrato di suo cognato. Si toglie il grembiule. Si rassetta la gonna.

Con lentezza la porta si apre.

Un odore di brodo gli solletica la gola. Alessandro poggia la giacca sullo schienale di una sedia. Sorride alla cognata. Lei sembra confusa ma, quando inchioda gli occhi sul viso dell'uomo, lo smarrimento svanisce. E ricambia il sorriso, addolcendo i lineamenti.

- Ciao...

- Ciao Agnese, scusami per il ritardo...

- Non preoccuparti, Anselmo mi aveva avvisata... I bambini però avevano fame, non ti abbiamo aspettato, se vuoi sono avanzate delle verdure e del brodo, ti metto subito un piatto in tavola.

Alessandro abbassa lo sguardo, si sente in colpa. Scuote il capo.

- No, non fa niente grazie, Agnese ma non ho molto appetito. Mi spiace non essere stato presente per festeggiare Rosa...

L'uomo increspa le rughe della fronte. I suoi occhi scuri, profondi, scrutano il volto della cognata, cerca qualche traccia rivelatrice. Non la trova.

- A proposito, dove sono i bambini?

Le si avvicina. Lei si mette una mano sul petto prosperoso, con l'altra scosta una ciocca di capelli dalla fronte. Abbassa le palpebre. I loro cuori pulsano in armonia. All'unisono. Sente il sangue scorrere impetuoso nelle vene, arriva ad arrossarle il viso. La bocca è sensuale. Alessandro sente crescere la speranza. No, non ha appetito, ma quella bocca la mangerebbe di baci. La donna fa un passo indietro. Si morde il labbro inferiore, poi alza la testa. Parla sottovoce e, mentre lo fa, Alessandro si bea di quel sussurro melodioso.

- I bambini? Sono già a letto. Rosa aveva mal di pancia e ha pianto praticamente tutta la sera. Anselmo ha cercato di calmarla, l'ha portata in camera, anche Tonino è già a letto ma da qualche minuto non sento più piangere la bambina, forse si è addormentata. Vado a vedere, tu intanto siediti e mangia almeno un pezzo di dolce con un po' di latte...

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