Mameli

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Piove e spira un vento freddo dal mare. È la Notte di Natale e nella piazza del villaggio Mameli, circondata da basse case bianche, la chiesa, appena ultimata, è pronta ad accogliere i suoi primi fedeli.

All'interno, le famiglie, i famosi 'Ventimila', sbarcate con la prima ondata di coloni nel 1938, si stringono le une alle altre, in piedi sulla nuda terra battuta. L'odore penetrante dell'intonaco fresco si mescola al profumo dell'incenso e al suono della pioggia che batte sul tetto. Le pareti spoglie, ancora umide, riflettono la luce fioca delle candele, creando ombre tremolanti.

Mancano i banchi tradizionali e l'altare è stato sostituito da un precario sostegno fatto con cassette per la frutta e assi di legno, una tavola liturgica improvvisata che testimonia la volontà di non rinunciare alla preghiera.
Don Giovanni Dal Mas, un omone con radi capelli spruzzati di grigio e uno sguardo che trasmette calma e saggezza, predica speranza e rinascita mentre le sue mani si muovono nell'aria. La sua tenacia e incrollabile fede ha permesso, seppure in una chiesa ancora da completare, di poter riunire la comunità nell'atmosfera nataliza.

Ci sono molti bambini. I più piccoli, con occhi grandi e lucidi, sono stretti tra le braccia delle madri, cercando calore e protezione. Gli uomini, con le mani callose e i visi segnati dal vento e dal sole, pregano con la speranza che quell'avventura in terra d'Africa possa cambiare in meglio le loro vite. Negli sguardi un barlume di speranza ma anche una sottile inquietudine, una paura per l'ignoto che cercano di nascondere dietro a scarni sorrisi.

Ed è proprio questo che Mussolini, attraverso il primo Governatore generale Italo Balbo, voleva: creare delle nuove Italie in Africa, degli avamposti della civiltà romana. Balbo, con il decreto del 1934, aveva diviso la Libia italiana in quattro commissariati, avviando un ambizioso progetto di colonizzazione che mirava a trasformare questa terra africana in una nuova provincia dell'Impero.

Leone osserva il cognato con un misto di ammirazione e timore, quasi suggestionato dal suo aspetto. Non si erano più visti dal loro arrivo in Libia. Antonio sembra un uomo completamente diverso, forgiato dalla guerra e dal potere. La camicia nera stirata a pennello, la cravatta annodata con cura, il fascio littorio ricamato sul bavero: ogni dettaglio dell'uniforme esalta la sua autorità. Ha spalle larghe ed erette, mascella volitiva e uno sguardo penetrante. C'è una parte oscura, in quel ragazzo. I lineamenti duri e squadrati di Antonio contrastano con quelli più dolci della sorella. Leone sente una fitta al petto mentre si sofferma su quel viso che nonostante tutto gli ricorda la sua Rosa. Antonio, come se leggesse nei suoi pensieri, gli rivolge un sorriso appena accennato, un sorriso che non arriva agli occhi.

Leone ricambia con un cenno del capo, sussurra un "è tutto a posto". La ruga tra le sopracciglia scompare ma dentro di sè avverte un senso di estraneità. È passato poco più di un anno da quando hanno lasciato l'Italia, eppure sembra un'eternità.
Lo sguardo vaga per la chiesa, posandosi su don Giovanni che, con voce roca e piena di emozione, impartisce l'ultima benedizione. I fedeli intonano un canto natalizio che si mescola al pianto dei bambini e al brusio delle preghiere. C'è qualcosa di struggente in quella melodia, un richiamo alle loro radici, alle loro case lontane. Leone chiude gli occhi e per un attimo, ripensa all'ultimo Natale trascorso a Ponzano, Luciano tra le braccia, Rosa al suo fianco a cantare le stesse nenie. Bruscamente torna al presente. È in Africa, in una terra straniera, e il Natale ha un sapore diverso.

La cerimonia si conclude, i fedeli iniziano a uscire dalla chiesa. All'esterno, una Jeep Bianchi attende a pochi metri dal sagrato. Il mezzo, in dotazione all'esercito, è un mostro d'acciaio dai colori mimetici. La copertura in tela, fradicia di pioggia, è stata alzata per riparare i passeggeri. Due soldati in divisa, rigidi come statue, attendono il loro Tenente. Antonio si dirige verso l'auto a passo spedito, la fronte corrucciata. Leone lo segue a distanza, la testa bassa, avvolto da un senso di inadeguatezza. Salgono a bordo del veicolo. L'interno è spartano, con i sedili in tela grigioverde che emanano un odore di muffa e benzina. Antonio indica a Leone di sedersi accanto a lui.

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