Italia - Africa solo andata

117 13 40
                                    

Un acre odore di sangue e sudore impregna la stanza, un odore di vita che lotta contro la morte. I gemiti di Rosa, sempre più flebili, sono una nenia straziante, un'invocazione silenziosa al cielo. Le unghie si conficcano nella pelle, tracciano solchi rossi sulla carne. In quel crescendo di dolore, anche la morte le appare come un'amica accogliente, un porto sicuro dove fermarsi per lasciarsi andare all'oblio. Virginia, con occhi lucidi di paura, le stringe la mano, cercando di infonderle un po' della sua forza.

Ha smesso di nevicare. Un raggio di sole, crudele nella sua indifferenza, filtra attraverso la finestra, illuminando la scena straziante di un corpicino inerte di un neonato che non riesce a lasciare il corpo della madre. 

 Rosa stringe i denti. Quasi un grugnito. Ogni contrazione è un'onda che la travolge, l'apoteosi del male.

– Non ce la faccio più... – la voce rauca, spezzata da interminabili ore di supplizio. 

– Voglio solo che tutto finisca – mormora in un barlume di lucidità.

Virginia osserva il volto stravolto di Rosa. Un grumo di panico le stringe la gola. La voce vibrante.

– Rosa, ti prego non lasciarti andare. È una bambina ed è quasi del tutto uscita ma è debole. Dobbiamo farla vivere. Forza cara, manca solo la testa e poi sarà tutto finito.

Virginia afferra delicatamente il bacino della piccola, fa roteare il corpicino. Il tempo sembra dilatarsi, ogni secondo un'eternità. La testa della bambina è quasi fuori, manca ancora un ultimo sforzo. 

 – Adesso! Rosa, spingi con tutta la forza che hai! – grida Virginia ormai allo stremo.

Poi inizia a pregare il buon Dio. Con un profondo respiro, concentra tutto quello che ha in quell'ultimo sforzo, come se volesse tirare fuori non solo la bambina, ma anche tutto il dolore del mondo.

 Rosa, con gli occhi sbarrati e il volto contorto dalla sofferenza, inarca la schiena, spinge, piange, grida. Ogni muscolo del suo corpo si tende, ogni fibra si contrae con la forza della disperazione. Nessun essere umano dovrebbe provare tanta sofferenza, pensa, mentre le esce dalle labbra un urlo straziante che sembra il ruggito di un animale ferito a morte. 

Lo sente Giuseppina giù in cucina, il cuore le si stringe in una morsa di angoscia. Lo sente Luciano, un bambino che non comprende, ma che intuisce il dolore della madre. Il suo pianto si unisce a quello di Rosa, un lamento che si perde nel silenzio della notte, ormai scesa. E lo sentono, lassù nel cielo stellato, Agnese sua madre e Anselmo, suo padre.

Poi, come un sudario, cala il silenzio, si trasforma in una notte nera e famelica di piccole anime.  La neonata è immobile, senza respiro. Virginia, in preda al panico, scuote la bambina ma non c'è risposta. 

Rosa, stremata, sente il mondo crollare attorno a lei. Avverte quel silenzio come un lugubre presagio. Un vuoto che le si insinua nell'anima. Apre gli occhi, offuscati dalle lacrime, vede la suocera che stringe sua figlia tra le braccia. Un nodo le serra la gola. Poi, un flebile grido. Uno strillo minuscolo, ma pieno di vita. Virginia, con gli occhi lucidi di gioia, alza la bambina al cielo. 

– È viva! È viva!


︵‿︵‿︵‿︵

Libia 1938

Soffia impetuoso il ghibli su Mameli, il villaggio colonico adagiato alle pendici del Gebel. Porte e finestre vengono sprangate con forza, mentre la sottile polvere rossa, sollevata dal vento, si insinua ovunque velando ogni cosa, anche il cibo custodito nelle dispense.

Attratti dalla promessa di terre fertili e da un futuro migliore, migliaia di italiani, in maggioranza veneti, trentini e bresciani, approdarono in Libia tra il 1937 e il 1939 dando vita al piccolo borgo costituito da una trentina di case coloniche. La chiesa, fortemente voluta dai coloni, con la sua imponente torre campanaria, è in costruzione e presto sarà il cuore pulsante di questo nuovo insediamento.

LA MATRIARCA Sul Filo di LanaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora