Lasciami andare da lei

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Nessuno ha praticamente mai dormito durante una notte di vento spietato, ululante come una fiera inferocita, affamata di anime.

 Non Anselmo, sconquassato da una tosse secca, continua. Il corpo avvolto da lenzuola impregnate di sudore.

 Non Rosa, con il volto segnato dalla stanchezza mentre vegliava su di lui, sostituendo continuamente pezze bagnate sulla sua fronte per abbassare la febbre.

 Non Teresina, con la preoccupazione che ingobbiva ancora di più il suo fragile corpo. Alimentava senza tregua il fuoco nel camino per avere sempre acqua calda per i decotti di erbe, nella speranza di calmare i rantoli  di Anselmo. 

E non Leone, rimasto in quella casa per non lasciare sola Rosa e per essere di aiuto. Si era raggomitolato sulla panca del larìn senza chiudere occhio, attento a ogni rumore, a ogni movimento.

Un nuovo giorno è appena iniziato. La luce lattiginosa di un'alba incolore filtra dalle finestre, rischiara la stanza e il volto sofferente di Anselmo. Immobile nel letto con lo sguardo fisso alle travi del soffitto ripercorre i trentanove anni della sua vita, proprio lì, dove era venuto al mondo. Un sospiro affannoso gli sfugge dalle labbra. Poi ancora colpi di tosse secca come cannonate che squarciano il petto.

Rosa si avvicina al padre, il viso tirato per la notte insonne. Inumidisce una pezza nel catino e gliela poggia sulla fronte.

– Papà, come ti senti? – chiede con voce amabile.

Anselmo la osserva, gli occhi lucidi di febbre. 

– Rosa, stai qui, vicino a me, – risponde, mischiando parole e colpi di tosse.

La figlia siede sul bordo del letto, lo sguardo rassicurante.

– Sono qui, papà. Stai tranquillo, – dice mentre preme la mano sulla pezza bagnata. – È solo una brutta infreddatura per la pioggia che hai preso. Tra un po' Teresina ti porta il decotto, ti farà bene. Io scendo a prendere dell'acqua, tu riposati. Vedrai che domani starai meglio.

Anselmo annuisce. Le sfiora con la mano una guancia, una carezza che sa di momenti perduti.

Dove sono finiti gli anni in cui i suoi figli erano piccoli? Non ricorda i loro volti infantili, i primi passi, le prime parole. Impegnato a far crescere la sua attività, a comprare terreni per piantare nuovi vitigni, a costruire un'altra vita con un'altra donna, aveva lasciato scorrere il tempo. E ora, nel letto in cui è nato, si ritrova a rimpiangere di non aver fatto abbastanza per loro. Vorrebbe tornare indietro, cancellare gli errori del passato, essere un padre e un marito migliore. Ma si sente impotente di fronte alla vita che ha deciso al posto suo. 

Starò meglio, queste cose passano, si ripete, cercando di tirarsi su. Si aggrappa alla testiera ma le sue braccia non rispondono. Non si arrende. Non può cedere di fronte a un raffreddore. Spinge con le gambe, contrae i muscoli ma è come se fossero di paglia. Crolla sul cuscino, esausto e avvilito. La speranza si affloscia come il suo corpo sul materasso. Forse questa volta è diverso, forse questa "cosa" non passerà così facilmente.

Il profumo dei fiori di camomilla e del miele avvolge Rosa come un abbraccio non appena oltrepassa la soglia della cucina. Un brivido la percorre, si stringe lo scialle al collo. Siede sulla panca del larìn, esausta. Leone, con fare premuroso, le prende una mano, la stringe tra le sue.

– Come sta? – chiede. Lo sguardo cupo fisso sul volto di Rosa.

Lei soffoca uno sbadiglio, piega la testa sulla spalla di Leone.

– Ha ancora la febbre e una tosse che lo sta spossando, – risponde con voce stanca. – Ma sono sicura che tra qualche giorno tornerà forte più di prima. Ha solo bisogno di riposo e... – si interrompe, lo sguardo corre a Teresina, – ... dei decotti di Tina!

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