Port Arthur

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Si affaccia alla finestra

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Si affaccia alla finestra. A folate, la raggiunge l'aria fresca dell'oceano riempendole i polmoni, stemperando il caldo, stranamente intenso, di quella luminosa giornata di aprile. Agnese inspira profondamente.

La strada, una lunga striscia polverosa che taglia in due la città e conduce al porto, le rimanda un fragore assordante: rumori di carri, carretti, scalpitii e nitriti di cavalli, schiamazzi e un vociare sconosciuto.

Nel giorno del suo ventitreesimo compleanno, tutto è così diverso da come lo aveva sognato, immaginato. Solo il cielo, di un azzurro terso, le appare uguale a quello che osservava quando era in Italia.

Nella sua casa.

Tra le sue cose.

Come aveva potuto pensare di riuscire ad adattarsi a una nuova lingua, a nuovi panorami, a nuove abitudini?

Come aveva potuto credere di poter convivere con un popolo così diverso, in una terra così lontana?

Lei, nata e cresciuta in un semplice contesto agricolo, dove le case sono separate da distese di campi del colore del sole, come poteva rallegrarsi di quelle case di mattoni rossi, tutte uguali, addossate l'una all'altra? Soffocate nella morsa di una città così grande e moderna?

Quanto avrebbe voluto essere nella sua Ponzano, tra i vigneti, a sentire il profumo dell'uva matura. Le mancano le feste paesane, il calore del focolare, l'odore del fieno appena tagliato e il latte fresco della Nerina. E Don Piero. Le domeniche trascorse nella piazza, chiacchierando con le amiche. Le manca addirittura il carattere burbero di Giuseppe. E Luigia, che ha sempre considerato più una mamma che una suocera. Luigia, che ha versato tutte le lacrime che aveva per quel figlio, per quella figlia acquisita e per l'adorato nipotino che non avrebbe mai più rivisto.

Eppure, è già passato più di un anno. E non riesce a dimenticare.

Ingoia un grumo di amarezza e delusione. Una lacrima, calda e salata, rompe la debole barriera delle ciglia. Scivola lungo la guancia. S'infrange sul petto gonfio di latte. Sì, ancora quel petto bianco e florido, segno della sua nuova maternità.

Quel viaggio... La perseguita il ricordo di quel viaggio.

Come può dimenticare? Come potrà mai cancellare le immagini di quei giorni? Come potrà mai smettere di udire la voce sconfinata del mare, più mostruosa di ogni immaginazione. Una voce come tutta l'umanità assembrata e fuori di sé, mescolata agli ululati e ai versi spaventosi di tutte le belve del mondo, ai pianti disperati dei bambini affamati, e all'odore nauseabondo di escrementi e urina. 

Corpi come mucchi di stracci pigiati dentro a quel piroscafo della morte, pregno del fetore di vomito. Il suo. Mescolato a quello di centinaia di corpi contorti, in preda al mal di mare che giacevano alla rinfusa, sdraiati a terra o buttati sulle panche come moribondi, con i volti sudici e i capelli impiastricciati da sporcizia e sudore.

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