Sant'Artemio

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Dopo un aprile insolitamente freddo, maggio è arrivato facendo esplodere la natura, sfavillante nelle varie tonalità di verde delle foglie e dell'erba, punteggiata qua e là dal tenue colore giallo delle primule, che si confondono tra i fili novelli. Gli alberi da frutto costeggiano gli appezzamenti di terra, ne delimitano i confini, profumano l'aria con le loro fioriture rosa e bianche.

L'elegante calesse ha sostituito il carretto vecchio e malconcio, usato solo per il trasporto di merce e legname. Anselmo scende dalla vettura, assicura Bianca a una delle campanelle fissate al muro. Inspira l'aria che a folate gli porta il profumo dei fiori bianchi della siepe di pitosforo che costeggia il lungo viale d'ingresso. Passa il palmo della mano sui pantaloni per togliere la polvere, sistema il cappello sulla testa e si avvia verso la struttura ospedaliera con un pacchetto sotto il braccio. Un regalo per Giovanna.

Essere stati felici senza apprezzare quei momenti unici e irripetibili è una mancanza di rispetto verso il destino che ci offre doni preziosi che non dobbiamo dare per scontati. Non sappiamo quanto quel frammento di tempo resterà conficcato nel nostro cuore, ma sappiamo che è perduto e mai più restituito. E Anselmo sa che i pochi attimi di felicità vissuti con Giovanna nei primi mesi della loro storia, quando il sorriso radioso di quella splendida ragazza sembrava gli illuminasse la vita, non torneranno più.

La sua bambina, nata prematuramente a causa della rovinosa caduta dalle scale di Giovanna, era vissuta solo due giorni. Da allora, sua moglie si era lasciata andare a una profonda depressione. La perdita della figlia aveva sconvolto la sua mente e imbruttito il suo corpo.

La trova immersa nella luce accesa della primavera, seduta su una delle panchine di fronte al padiglione principale dell'ospedale psichiatrico di Sant'Artemio. Anselmo si ferma a qualche passo da lei, resta immobile. Attonito, osserva il taglio corto dei capelli, la linea dura delle labbra, lo sguardo perso nel vuoto. Ne immagina, per un momento, i pensieri di quella mente tormentata, che serba gelosamente anche a lui, e a tutte le persone che da più di un anno le gravitano attorno. Spera che la diga che si è costruito dentro di sé riesca a trattenere la sua disperazione nel vedere la bellezza di Giovanna sfregiata dalla sofferenza e ridotta a un'ombra di quello che era stata.

Il rumore dei passi sul ghiaino la distoglie dalla vuotezza del suo animo. Gira appena il capo e lo vede. Ma sembra che i suoi occhi le trasmettano solo la figura sfocata di un uomo che fatica a riconoscere. Il suo sguardo è spento, privo dello splendore di un tempo. Anselmo fa qualche passo, la chiama. Lei riconosce la voce. Il suo volto si illumina di una luce offuscata da un'attesa conteggiata con minuti di solitudine. Si alza e gli va incontro con passo incerto.

- Ciao, Giovanna - La stringe a sé. Viene avvolto dall'odore di disinfettante, di sudore, di stantio mentre la bacia sul collo.

Lei si stacca lentamente, gli punta addosso gli occhi verdi segnati da profonde occhiaie bluastre. La pelle del viso è pallida, diafana.

- L'ultima volta che sei venuto a trovarmi c'era la neve, e io indossavo il cappotto e un berretto di lana. - dice con un tono di rimprovero. Poi si guarda il camice di canapa, logoro per i troppi lavaggi. Il colletto è abbottonato sul collo e le maniche sono troppo lunghe. Ha perso la cognizione del tempo. Ha perso la ragione e la memoria.

Anselmo abbozza un sorriso triste, le accarezza i capelli dal taglio maschile. Capisce che le giornate lì dentro sono lunghe e noiose, nonostante le tante attività che i pazienti possono svolgere in base alle loro attitudini o ai lavori precedentemente svolti. A Giovanna è stato offerto di occuparsi della preparazione del pane, di dolci e biscotti. Lei sembra felice di poter dedicarsi alla passione condivisa con la madre nel loro ristorante di Treviso e che riesce a rasserenarla per brevi momenti di lucidità.

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