Un piccolo pettirosso

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I giorni passano, si trasformano in settimane, poi mesi. Il nuovo anno si è presentato con l'innocenza e il candore di un neonato, ma è un preludio bugiardo. Purtroppo, un anno segnato per sempre da eventi dalle conseguenze devastanti.

L'alba del 22 gennaio 1914 è glaciale. Le misere calzature di legno affondano nella neve caduta abbondantemente durante la notte. Un chiarore appena rosato, come un timido sorriso, illumina un nuovo giorno. Lo scialle scuro l'avvolge dalla testa fino alle ginocchia, un puntino nero in mezzo a quella distesa immacolata, nella crudezza trasparente di un inverno dalle connotazioni artiche. Indossa due paia di calze di lana ma ugualmente sente i piedi induriti dal gelo. Le dita delle mani, ossute e violacee, escono dai mezzi guanti, serrano sul petto un fagotto che le scalda il torace.

L'esile figura si trascina, lasciando dietro di sé due solchi profondi come ferite nello strato nevoso. Il respiro esce in nuvole bianche, mescolandosi al gelido vapore che sale dalla terra.

Teresina è uno scricciolo di donna. La magrezza la rende quasi diafana, ha profondi occhi bruni in un viso segnato da una fitta ragnatela di rughe. Ha quarant'anni, ma i fili bianchi tra i capelli e la pelle del volto accartocciata hanno aggiunto almeno due lustri alla sua età anagrafica. Ogni ruga è una storia, un'emozione vissuta, una lacrima versata. Il freddo pungente le inumidisce le ciglia, mentre il vento sibila tra i rami spogli degli alberi.

 Vedova da tre anni, con il cuore straziato per la perdita dei suoi due figli, sopravvive facendo la perpetua in chiesa e, quando capita, andando a servizio nelle case dei signori. Giuseppe, un piccolo proprietario terriero, non molto abbiente, invece di offrirle un aiuto economico, le regalò una giovane mucca, la Nerina, che lei vendette subito al mercato per far fronte alle difficoltà.

 Si stringe ancor più nello scialle cercando di non soccombere alle sferzate di vento gelido che arriva dalle Prealpi. Si guarda intorno. Mai vista tanta neve in vita mia, borbotta la donna abbassando il mento sullo sterno per difendersi dalla violenza dell'aria che la fa oscillare. Non è più una ragazza, deve prestare attenzione a non cadere in quella landa desolata, punteggiata qua e là dalle case dei contadini e immersa in un silenzio assoluto, spezzato solo dal rumoreggiare delle raffiche di vento che sibilano come un lugubre lamento. Nessuno si sarebbe accorto di quella collinetta umana celata sotto il manto nevoso. Sarebbe morta assiderata. 

Tiene stretta al torace la pagnotta ancora calda, sfornata prima di uscire dalla sua modesta abitazione: la vecchia casa del custode all'interno della vasta proprietà dei conti Serena. 

 Si è presa a cuore quell'uomo anziano, ogni giorno più taciturno e perso nel suo mondo affollato da fantasmi. Sono passati sei mesi dalla morte della moglie e, da allora, Giuseppe non si è più ripreso. Teresina, quando entra nella cucina silenziosa e fredda come una ghiacciaia, lo trova davanti alla finestra con la testa reclinata sul petto; molte volte si è chiesta se l'uomo, alla sera, si corichi poiché, quando arriva la mattina presto, lo trova sempre seduto nella stessa posizione e con indosso gli stessi indumenti. A volte lo vede alzare il capo, lo sguardo fisso al di là dei vetri opachi, come se stesse cercando di scorgere qualcosa di indefinibile nel vuoto oltre la finestra.

Gli legge nei pensieri. Capisce quanto gli mancano le voci di Anselmo e Alessandro, il brontolare della moglie, i gridolini di Tonino e le risate allegre di Agnese. Avverte il vuoto della sua anima.

Quella stanza, un tempo vero focolare domestico, appare all'anziano come un profondo, umido, pauroso pozzo senza luce. Senza vita. Non cammina quasi più. Il piede si è gonfiato, è diventato nero. 

"Giuseppe, il tuo piede mi preoccupa..." Il dottor Pietrobon, allertato dalla Teresina, aveva fatto visita a Giuseppe qualche giorno prima di Natale. Gli era bastata un'occhiata all'arto per capire la gravità della situazione. L'anziano medico aveva assunto un'espressione seria, pensierosa. Si era schiarito la voce prima di comunicare la terribile diagnosi. 

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