Ponzano Veneto

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Ponzano Veneto
Luglio 1913

Ci sono irrealistici accadimenti che avvengono senza che i diretti interessati ne abbiano coscienza. Sono fatti inspiegabili, che trascendono ogni interpretazione terrena. Così capita che nello stesso giorno, seppure divise da migliaia di chilometri, una donna stia pregando per la piccola figlia; un'altra, per la propria anima.

Solo due settimane sono trascorse da quando don Piero si è recato di buon mattino, in quella casa sperduta tra campi aridi come le terre d'Africa, per consegnare la lettera arrivata dal Canada. Nella missiva, spedita nel mese di maggio del 1913, Agnese e Anselmo comunicavano ai genitori di essere diventati nuovamente nonni di una bella bambina di nome Rosa.

E certamente il prete non si aspettava di tornare, nel giro di pochi giorni, in quella stessa casa, indossando la stola viola e portando con sè l'olio benedetto.

Cammina con le spalle curve e l'incedere lento, affaticato. L'afa di una torrida giornata di luglio gli impedisce un'andatura più sostenuta. L'età fa il resto. Estrae dalla tasca un fazzoletto, si tampona un rivolo di sudore che scende dalla fronte.
Alza gli occhi al cielo cercando il contorno di una nuvola che ombreggi quel fiacco avanzare ma scorge solo la vastità e la limpidezza della maestosa volta celeste.

Le labbra sono una sottile fessura screpolata dall'arsura da cui escono parole impastate da nuvole di polvere che si levano a ogni passo. 

Un chierichetto gli trotterella accanto.

– Speriamo che nostro Signore mandi in terra un poca di acqua, che la farìa ben par i campi, ma anca par noialtri cristiani...

Borbotta l'anziano prete appoggiando una mano sulla spalla di Tommaso, un ragazzino con una cascata di ricci biondi come il grano. Tommaso ha un campanello in mano; ogni tanto lo agita facendolo suonare; un modo per avvisare i compaesani che un moribondo è in attesa di ricevere il sacramento dell'estrema unzione. La gente allora s'inchina, si fa il segno della croce. Alcuni chiedono informazioni, altri si mettono in fila, con il capo chino, fino alla casa del morente.

Don Piero sbuffa. Si guarda le scarpe impolverate e l'orlo della veste imbiancata, passa il palmo della mano sulla tonaca per togliere la polvere. Nell'aria stagna, immobile, si avverte l'odore della terra scaldata dal sole. Da settimane non piove, la calura stritola in un abbraccio infuocato la campagna, rendendo il paesaggio un quadro a tinte spente, con la terra secca, e sfinita per l'assenza di acqua.

  Luigia, è nel suo letto, gli occhi semichiusi, il respiro quasi impercepibile. Le dita deformate dall'artrosi stringono la falda del lenzuolo che lei stessa ha ricamato da ragazza. La balza è sfilacciata, le iniziali si sono appiattite sotto i pesanti colpi del ferro da stiro inferti in più di trent'anni di matrimonio.

Era successo due giorni prima.

Dopo una notte insonne, passata tra lancinanti dolori alla schiena e una forte nausea, all'alba di un nuovo giorno, aveva provato ad alzarsi dal letto, ma la testa le girava e le gambe sembravano inermi: non riusciva a mettersi in piedi. Con un fil di voce aveva chiamato il marito ma non aveva ricevuto nessuna risposta. Era sola. Un tremore, lungo tutto il corpo, l'aveva bloccata sul bordo del letto. Si era aggrappata alla pediera per tentare di alzarsi. Poi, improvviso come una stilettata, quel dolore al petto; uno squarcio che le aveva tolto il respiro. Gli occhi che non vedevano più e la vita che scivolava via.

Giuseppe, quella mattina, era sceso quando ancora la moglie dormiva. Così almeno gli era sembrato. Seppure, per un momento, quella sagoma insolitamente ferma sotto le lenzuola, lo aveva stupito. Gli era sembrato strano che Luigia non fosse già in piedi, dal momento che era sempre lei ad alzarsi per prima. 

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