Marzo 1925

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Il vino è il canto della terra verso il cielo. (Cit.)

Marzo ha portato una primavera fredda e ventosa. Folate di vento agitano i rami spogli degli alberi. Il sole splende in un cielo terso, sciogliendo gli ultimi accumuli nevosi lungo i cigli delle strade e negli angoli in ombra dei cortili. La luce è accecante, e costringe a socchiudere gli occhi. Un raggio di sole penetra attraverso una fessura nella cantina buia e fa brillare le tracce del perpetuo passaggio notturno di una colonia di lumache.

Fa troppo freddo, nevicherà ancora, pensa Anselmo, stretto nel suo cappotto. Osserva le file di botti, disposte una accanto all'altra come un esercito composto e ordinato.

Aspetta un nuovo cliente, un ristoratore della provincia di Belluno. Ha ampliato la sua cantina e acquistato nuovi terreni nel vicino comune di Povegliano, dove vuole coltivare anche uve bianche, per la produzione del Verdisio.

Il bussare sul vetro lo sorprende. Non può essere il cliente con cui ha appuntamento alle 11. Giobatta, con il berretto stretto al petto, attende fuori.

Sul volto di Anselmo appare un'espressione di cauto stupore. Apre la porta e fa entrare l'uomo.

- Ciao, Anselmo. Ti posso parlare?

- Giobatta, che sorpresa! Sto aspettando una persona, ma Antonio è qui, nel caso dovesse arrivare in anticipo. Vieni, andiamo nel mio ufficio.

Nonostante siano confinanti, e abbiano all'incirca la stessa età, non vede Giobatta, il figlio di Checo Buosi, da diverso tempo. Troppe cose sono accadute nella sua vita.

L'odore aspro dell'uva fermentata, misto a quello del legno di rovere delle botti e dei barili, impregna la stanza angusta, senza finestre.

Un vecchio tavolo da cucina, coperto di fogli di carta e di appunti, funge da scrivania.

Anselmo si siede dietro il tavolo, invita Giobatta a prendere posto sulla sedia di fronte. Poi, lo fissa per alcuni secondi, in attesa di capire il motivo di quella visita inaspettata.

- Allora, che fai da queste parti?

Giobatta si gratta la testa. La bocca è celata dai folti baffi biondi, come i capelli arruffati che cerca di sistemare con una mano.

- Anselmo, mi dispiace tanto per tua figlia...

Le parole di Giobatta lo colpiscono come un pugno allo stomaco. Una smorfia di dolore gli contrae il volto, lo riporta indietro a quel terribile giorno. Il turbinio di ricordi gli rimbalza nel costato. Abbassa la testa e inspira profondamente, cercando di placarlo.

- È passato più di un anno. La vita va avanti...

Alza lo sguardo, che è diventato cupo. Giobatta osserva il precoce imbiancamento dei capelli e le profonde rughe ai lati della bocca di Anselmo.
- Sei venuto da me solo per dirmi questo? - chiede, più contrariato che perplesso.

- No, no. Ma visto che sono qui, volevo scusarmi per non essere venuto al funerale della bambina.

- C'era tua moglie, se non ricordo male. - dice Anselmo con un tono di voce secco.

- Sì, ma...

- E adesso dimmi cosa sei venuto a fare. Non ho molto tempo - borbotta Anselmo, incrociando le braccia sul petto.

Giobatta si morde un labbro, imbarazzato.

- Ho bisogno di un favore.

Anselmo lo fissa con aria interrogativa.

- I nostri padri erano molto amici, ogni tanto si beccavano, ma si rispettavano e si stimavano. - prosegue Giobatta, notando l'irritazione di Anselmo. Forse non è stata una buona idea venire qui, si dice, agitandosi sulla sedia.

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