Il dolore di Agnese

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Il buio ha inghiottito le stelle. È un notte senza luna, il cielo una trapunta nera. Lugubre. Anche l'aria sembra nascosta dietro le foglie, immobili sui rami, in attesa. Anselmo cerca di svegliare Agnese ancora assopita sulle sue gambe.

Il carretto si è fermato sotto l'arco di pietre che introduce al cortile. Finalmente sono a casa.

 La porta della stalla è spalancata, si mostra come un occhio aperto nel vuoto, sul buio che avvolge ogni cosa nel silenzio della campagna. Il muggito della Nerina è un lamento che non sente più nessuno; così il ragliare del vecchio Nello, volato chissà dove. Solo alcune galline sono  appollaiate sul poco fieno rimasto nella mangiatoia abbandonata.

Alessandro prende in braccio Tonino, lo fa scendere dal carro. Il bambino sbadiglia, si mette seduto per terra, ha il broncio, non sa cosa fare. Quando ha lasciato quella casa in cui è nato non aveva nemmeno due anni. Non ricorda nulla. Inizia a fare dei cerchi con la mano sulla terra secca, trova dei piccoli sassi, ne mette in tasca qualcuno. Si guarda intorno, spaesato, stanco, affamato. Vorrebbe essere nel lettone della casa di Port Arthur, lui stava bene lì, gli piaceva andare a vedere il mare e i gabbiani e il negozio dello zio Alessandro.
Ha voglia di piangere ma è troppo stanco, le lacrime sì stanno dormendo, mentre lui si sente triste e solo.

 La lanterna del vetturino illumina debolmente quel fazzoletto di terra abbandonato. Rosa si attacca alle gambe dello zio, gliele stringe. Alessandro prende in braccio la nipotina, le dà un bacio, poi la rimette a terra. 

 Anselmo continua a scrollare Agnese. La chiama.

– Agnese, svegliati! Agnese... siamo arrivati, svegliati!

L'uomo, sempre più angosciato per quel lungo torpore, scuote vigorosamente la moglie per le spalle. La chiama ancora. Lei non risponde, non si muove. 

– Alessandro! – urla – Agnese non si sveglia, penso sia svenuta. Presto, dammi una mano. Portiamola dentro. 

Alessandro si precipita dal fratello, Agnese è ancora stesa sulla panca.

Il vetturino ha scaricato le valige, osserva la scena con un vago senso di pena. Le tenebre avvolgono quell'angolo di mondo mai dimenticato, oscura ogni cosa, non lascia vedere il volto della donna. L'uomo prende la lanterna appesa al carretto, l'avvicina al viso di Agnese. La treccia è completamente sfatta, i capelli coprono il pallore del volto. Anselmo scosta dalla faccia la lunga chioma. La ragazza ha gli occhi chiusi ma, seppure debolmente, respira.

L'uomo alza la lanterna, inclina la testa. La voce è tremula.

– Sior, cosa è capitato alla signora? 

Alessandro, più forte e robusto di Anselmo si carica la cognata sulle spalle. Risponde con stizza.

– Non lo vede? È svenuta! Non stia lì impalato, faccia qualcosa!

Il vetturino non sa cosa fare, di quelle cose non se ne intende. Di cavalli sì, di donne no dal momento che non si è mai neanche voluto sposare. Sale sul carretto, tira le briglie, volta il muso del cavallo verso l'uscita del cortile.

– Vado a cercare aiuto, ho visto che la chiesa è vicina. Cerco il prete, magari poi lui vi manda il dottore. Mi no conosso el vostro paese, me despiase...

– Ecco bravo, vada in canonica e ci porti don Piero! – lo incita Anselmo mentre si avvia verso la porta di casa.
Quel cortile lo conosce bene, ne conosce ogni sasso, ogni filo d'erba, ogni granello di terra. Non ha bisogno di lanterne.

Anselmo è dietro a suo fratello, regge le gambe di Agnese.

Nella confusione generale, si sentono dei rumori provenire dal piano superiore. Una finestra si apre su quella notte fuori dalla norma. Una voce femminile urla.

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