Mandati alla morte

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Come si può descrivere e far rivivere l'orrore di una guerra che è stata combattuta un secolo fa? Come si può spiegare il modo in cui gli uomini sono stati mandati allo sbaraglio verso morte certa? La guerra era stata immaginata come una breve azione punitiva e quindi gli uomini partivano con la certezza di dover soltanto dimostrare la loro forza, il loro coraggio e l'amore verso l'Italia.


CAPORETTO, DODICESIMA BATTAGLIA DELL'ISONZO.

È un'alba di un autunno luminoso quella del 24 ottobre 1917. Il cielo è di un azzurro fulgente, dono inaspettato dopo giorni di forti rovesci. L'acqua ha intriso il terreno dovunque: e la fatica degli uomini è, senza dubbio, aggravata dall'umidità dell'aria e dalla morbidezza del suolo appiccicaticcio. La trincea è come un formicaio in cui si vigila, si attende, si spera e si scrive.

La pioggia delle bombe continua insistente: molti versano sangue dal naso e dalle orecchie.

 Alessandro è steso sulle assi poggiate sulla terra resa fangosa da liquami di varia natura, misti alla pioggia caduta abbondante nei giorni precedenti. La divisa grigio-verde è intrisa del sangue che, copiosamente, gli cola dalla testa. Un rivolo misto a sudore, polvere e lacrime si insinua tra le labbra dischiuse. Ne ricorda il sapore. Da bambino si leccava le ferite umettandole con abbondante saliva. Non aveva paura. Non sentiva gli occhi riempirsi di lacrime, allora.

Il corpo inizia a tremare violentemente. Sussulta per gli spasmi. Ha il volto trasfigurato, sa di essere stato colpito, ma esattamente non ne ha coscienza. 

Gli occhi sono fissi su un rettangolo di cielo che sembra irriderlo. Un sogghigno lo sorprende. Mi hanno colpito alla schiena e sono rimasto paralizzato, pensa avvolto da una strana sensazione che lo porta a sentirsi quasi sollevato, strappandogli un sorriso amaro. Se è rimasto ferito lo manderanno a casa, rivedrà Anselmo, Rosa, Tonino. Potrà andare a trovare Agnese, portarle un fiore, piangere su quella tomba lacrime d'amore.
Rivedrà il suo paese incastonato tra i campi come una perla grigia, tornerà nella sua casa invecchiata nel sole.

Il pensiero di essere stato colpito, e poter così lasciare il fronte gli appare in tutta la sua crudele realtà; ha visto molti commilitoni spaccarsi volontariamente una gamba o un braccio per poter tornare a casa. Lui non ha dovuto abbassarsi a questo meschino stratagemma. Lui è stato ferito in battaglia. Tornerà nella sua Ponzano da combattente mutilato sul campo di battaglia.
Per un attimo questo pensiero lo porta a ignorare il suo corpo inerme, straziato. Dimentico di quello che era stato prima che la gragnuola dei colpi di mortaio, e il bombardamento durato ore, sfondassero i fianchi della trincea con esplosioni devastanti, causando morte e distruzione.

Prova a muovere il braccio destro, ma la volontà non basta, non riesce a spostarlo. Non sente niente, come ne fosse privo, come se il suo corpo si fosse ridotto a un tronco umano. Non avverte sofferenza fisica, nemmeno un lieve dolore, solo un forte odore di carne bruciata che gli pizzica le narici. Riesce a muovere gli occhi, forse anche la testa.

Un senso di oppressione al torace lo fa respirare male. Sente grida strazianti, pianti e implorazioni d'aiuto.
Il lamento struggente della morte lo avvolge come una camicia di fuoco.

Sotto a quello che rimane del suo corpo, le tavole lorde di sangue vibrano solleticate dai pesanti scarponi dei soldati che gli passano accanto con un correre disperato, alla ricerca di un riparo, di un posto dove non impazzire. O morire.

Alessandro prova lentamente a girare il capo. Ci riesce. Alla sua destra intravede la sagoma sanguinolenta di un braccio. Una poltiglia di carne bruciacchiata. Chiama Bruno, il suo amico e compagno di quella sventura, quell'incubo in cui si sono trovati senza immaginarne l'orrore. 

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