Nel pomeriggio del 24 luglio 1943, il Gran Consiglio del fascismo, l'organo supremo del regime, si riunisce per la prima volta dopo quattro anni. Lo sbarco alleato in Sicilia ha infranto ogni residua speranza di vittoria. Il tracollo militare impone decisioni urgenti che porteranno alla caduta del Duce.
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La città è avvolta da un sudario di caldo umido, soffocante. Il sole declina, tingendo il cielo di un crepuscolo cupo, quasi minaccioso. Le ombre si allungano, deformando i profili degli edifici e proiettando sulla città un'atmosfera di inquietudine.
La gente, stremata da una guerra che si sta prolungando oltre ogni ipotesi, attende con crescente trepidazione gli eventi a venire. C'è un fermento palpabile nell'aria, un senso di attesa che rende tutti nervosi, anche i più piccoli.
Gilberto, infastidito, agita le manine, le guance purpuree, balbetta parole incerte, come un lamento. Gli occhi di Rosa si posano sul bambino, allunga una mano verso di lui, con un gesto dolce gli sposta una ciocca bionda dalla fronte.
– Il caldo, amore mio, sarà quello che ti dà fastidio – sussurra con tenerezza. – Mangia le verdure che ha preparato Agostina, sono buonissime.
La paura della guerra la consuma giorno dopo giorno rubandole la luce negli occhi, rendendo il suo sguardo meno luminoso, la pelle sbiadita. Pensa alle città bombardate, alle mamme che non trovano cibo per i loro figli. Pane e farina scarseggiano, anche sul mercato nero. Si sentono fortunati, in un'epoca in cui ogni boccone è una conquista. Ogni mese, Leone si reca a Merlengo, da Virginia. Nella casa dei suoi genitori, un rifugio immerso nella natura, trova una pace quasi ancestrale, un ricordo dei tempi felici. Virginia, generosa e premurosa, lo rifornisce di uova fresche, latte appena munto, verdure dell'orto, salumi e formaggi, un tesoro inestimabile che porta serenità alla sua numerosa famiglia.
Dalle finestre aperte arriva una lieve brezza, l'afa, gradatamente, senza fretta, cede il passo alla frescura della sera. Un silenzio innaturale regna sulle strade, interrotto solo dal rumore lontano di qualche automobile. Leone è seduto a capotavola, si porta il cucchiaio alla bocca, gli occhi fissi nel piatto. Rosa lo osserva di sottecchi, nota le sue mani tremare leggermente. Sarà la stanchezza, pensa, ma una profonda inquietudine la assale mentre imbocca Gilberto.
Luciano e Giuliana bisbigliano tra loro, scambiandosi occhiate furtive e nervose. Sembrano più agitati del solito. Leone richiama i figli.
– Bambini! A tavola si sta composti e in silenzio. Finite di mangiare. Poi andate in camera, io e vostra madre dobbiamo ascoltare la radio, – dice con voce più ferma del solito.
Luciano, con stizza, risponde al padre.– Anche io voglio ascoltare la radio!
Leone si gira verso il primogenito che gli siede accanto, lo fulmina con lo sguardo.
– Sei piccolo, e poi devi stare con Giuliana. Ubbidisci a tuo padre, hai capito?
Luciano abbassa lo sguardo sul piatto, mugugna un "va bene, papà", poi guarda la sorella strizzando gli occhi. Dopo ti tiro le trecce, mormora.La sala da pranzo, con la sua porta finestra che si affaccia su un piccolo terrazzino,è avvolta da un'atmosfera di quieta attesa. Una lunga tenda bianca fluttua mossa dal vento. Nelle serate estive come questa, Rosa e Leone amano rifugiarsi qui, cercando un po' di pace. Stasera, però, l'aria è pesante di preoccupazione. Il silenzio è rotto solo dal lontano rombo di un'auto.
Dalla cucina arriva il profumo intenso di polenta bruciacchiata. Agostina, sbuffa per il caldo, sulla piastra della stufa a legna, le grosse fette sfrigolano. Taglia il salame che sistema su un tagliere di legno, afferra una fetta che sparisce velocemente nella sua bocca. Chiude gli occhi. Che delizia, pensa, leccandosi le dita.
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LA MATRIARCA Sul Filo di Lana
Historical FictionNella pianura veneta, dal 1911 al 1960, una saga familiare si intreccia con le vicende dell'Italia rurale, tra amori passionali, dolori strazianti e l'ombra di due guerre mondiali. L'esodo verso il Nord America segna la vita di generazioni, mentre...