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Mi ero addormentata arrabbiata e avevo dormito male. Fantastico.

Oggi si sarebbe svolta la mia prima gara di F1 ed ero agitata ma non più in senso buono. Ora avevo l'ansia da prestazione. Tutti si aspettavano di vedermi eccellere essendo io la prima donna in F1 ma se avessi fallito? Se avessi dato ragione alle parole di Charles della sera prima?
Perché mi interessava tanto la sua opinione? Dovevo dimostrargli che si sbagliava.

Ero scesa a fare colazione, appena entrata nel ristorante era calato il silenzio, non era la prima volta che succedeva ma lo odiavo.
Tutti gli altri piloti presenti mi stavano studiando, forse volevano capire se potevano fidarsi? Gli occhi dei meccanici erano interessati ad altro. Indossavo la gonna nera e stavano guardando il tatuaggio che si intravedeva.
"Vieni qui" mi aveva salvato Piero, il mio capo meccanico interrompendo quel silenzio "grazie" gli avevo sussurrato avvicinandomi "tranquilla, fagli vedere di che cosa sei capace e vedrai che inizieranno a temerti molto presto" mi aveva detto. Aveva circa 55 anni e un sorriso gentile che mi ricordava il mio papà.

"Sei pronta?" mi aveva riportato alla realtà Sara. Mi era venuta a chiamare nella haul dell'albergo per partire per il tracciato. In reception ci aspettava Luca e insieme ci eravamo avviati.
Sara mi aveva illustrato le possibili domande e le eventuali risposte che avrei dovuto dare durante le interviste della mattina.

Dopo le interviste della mattina era il turno di Luca. Una volta arrivati nel paddock mi aveva fatto riscaldare. Adoravo saltare la corda. Mi permetteva di pensare nonostante scaricassi la tensione.
Stavo saltando da qualche minuto avvolta nei miei pensieri e non mi ero resa conto delle persone intorno a me. Avevo le air pods nelle orecchie e fissato il vuoto, come sempre e continuavo a rimuginare sulle parole della sera prima tra me e Leclerc e sullo sguardo di fuoco che mi aveva rivolto.

Mi ero fermata perché un air pods mi era caduto "cavolo che resistenza! Pensavo andassi avanti all'infinito!" Andrea Ferrari, preparatore di Charles Leclerc mi aveva rivolto un complimento. Istintivamente mi ero rivolta a Luca per capire per quanto avessi saltato "12 minuti" mi aveva risposto senza che io gli ponessi nessuna domanda.
Non mi ero accorta che insieme a me si stava scaldando anche Charles con Andrea. Era una zona nascosta. Qui i giornalisti non erano i benvenuti essendo dietro al box del team.
Avevo sorriso cercando di riprendere un respiro regolare. Luca mi aveva fatto fare qualche esercizio per allenare i riflessi e poi qualche altro minuto sulla corda. Avevo sentito tutto il tempo gli occhi pesanti e arrabbiati di Charles addosso. Mi aveva infastidito parecchio.

Mi ero avviata alla macchina prima di Leclerc e mentre sistemavo la tuta mi si era avvicinato Alessandro, il capo meccanico del mio compagno di squadra "non pensavo che avessi tutte queste palle!" mi ero voltata non sicura di quello che avevo appena sentito, mi aveva fatto i complimenti perché, a detta sua avevo le "palle?"
"Grazie" avevo risposto un pò incerta, non sapevo cosa pensare, la sera prima era intento a parlare male di me con il suo capo e ora, di nascosto da lui, veniva a farmi i complimenti?
Non ebbe modo di dire altro perché Charles era arrivato e lo aveva chiamato nella sua parte del box, probabilmente non voleva che avessi a che fare con nessuno dei suoi uomini.

Dopo aver portato la macchina in pista nella piazzola n. 3 mi ero isolata, per quanto mi fosse possibile con tutta quella gente. I giornalisti mi stavano addosso e alla fine mi ero messa un asciugamano bianco sul cappellino per riparare il viso da loro e riuscire a concentrarmi. Ero riuscita a fare un giro di pista mentale, avevo studiato le curve di quel tracciato per giorni e ora riuscivo a percorrerle a memoria. Mi ero alzata pochi minuti prima del via per potermi preparare.

"Allora niente fretta e sangue freddo, ricordati che la gara è lunga, non si fa tutto in un giro e se non sei sicura di portare a casa la macchina in qualche corpo a corpo alza il piede, meglio un punto in meno e non un ritiro" mi aveva detto Mattia ed ero d'accordo con lui.
Stavo per infilare il casco e ancora quella sensazione di sguardo pesante addosso.
Come immaginavo arrivava da Charles. Riuscivo a sentire la sua rabbia anche attraverso il suo casco. Mi odiava a morte.

Non c'era tempo per pensare a lui. Dovevo salire in macchina e fare il giro di ricognizione.
Ora che tutti i piloti erano nelle loro piazzole il semaforo si era acceso.

Nella mia testa sentivo la voce di Carlo Vanzini, il mitico cronista della F1, e con la sua voce nelle orecchie ero partita allo spegnersi dei semafori.

Forever you - Charles LeclercDove le storie prendono vita. Scoprilo ora