Meglio tu non sappia

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La sala che ospita l’evento è grande quasi due volte il Saudade’s, che non è particolarmente famoso per le sue dimensioni ridotte.
Grandi lampadari di cristallo scendono imponenti dal soffitto,ci sono ampi tavoli addobbati con tovaglie bianche, e peonie fresche ricoprono il pavimento.
Mi perdo ad osservare quella meraviglia, e per un attimo vorrei vivere così per sempre. Mi immagino come una principessa, che danza in queste sale, con un lungo e raffinato abito di tulle, lasciandomi andare a calorose risate ed eleganti piroette.
Poi però ripenso a tutti gli obblighi e i divieti a cui vanno incontro persone di questo genere, ed io di certo non sono tagliata per quel ruolo.
Sono sempre stata troppo ribelle, troppo indipendente e sicura di me stessa, non riuscirebbero a modellarmi a loro piacimento.
Una risata dal fondo della sala mi fa tornare con i piedi per terra, e così smetto di osservare gli affreschi sul soffitto con la testa reclinata all’indietro, e inizio a osservare la gente intorno a me.
Per qualche strano e assurdo motivo, gli occhi del resto dei commensali sono puntati su di me.
Mi chiedo se sia per via di Logan, a quanto ne so il serpente non si è mai mostrato in pubblico in compagnia di una ragazza, ma di sicuro il suo letto è ben riscaldato ogni notte.
Per questo mi ha stupito il suo bizzarro accordo, potrebbe avere chiunque, ma perché ha scelto me?
Le risate diventano bisbigli, ed io inizio a guardarmi intorno sospettosa, cercando di intimorirli con lo sguardo.
Anche lo sguardo, nel poker, è di fondamentale importanza.
Durante una partita, la direzione del tuo sguardo può rivelare molto sul tuo gioco.
Guardali sempre negli occhi Amanda, non distogliere mai lo sguardo, intimidiscili. Così crederanno di non poterti battere.
È un insegnamento che porto ancora con me, anche se non gioco più ormai. Con il tempo ho scoperto che molte tattiche del poker sono facilmente attuabili anche nella vita. È per questo che non distolgo mai lo sguardo quando qualcuno punta i suoi occhi su di me, proprio come adesso.
Ma gli occhi dei presenti non sono fissi nei miei, come succede nel poker, quando si studia lo sguardo stesso. Loro guardano il mio corpo. Guardano il mio aspetto, guardano i miei vecchi jeans e le mie Jordan consumate.
Quella è gente ricca, ed io avrei dovuto aspettarmi quest’accoglienza, i miei vestiti non hanno nulla a che vedere con i loro abiti firmati e le loro décolleté pericolosamente alte.
Per un attimo, un brivido di imbarazzo mi scende lungo la schiena, e improvvisamente torno bambina. Torno a quando i miei vestitini colorati non erano apprezzati dalle mie compagne di classe, che indossavano solo pantaloni e tshirt, i miei colori erano troppo sgargianti e stonavano con il rosso dei miei capelli. Per questo quando entravo in classe tutti mi guardavano esattamente come mi sta guardando adesso questa gente.
Una mano calda si poggia con delicatezza alla base della mia schiena, e il pollice sfiora appena la mia pelle scoperta sotto l’orlo della maglietta.
Una scossa prepotente si espande da quella zona del mio corpo, e mi invade tutta, fino ad arrivare al petto. Resto immobile, ma la mia mente non si concentra più sugli sguardi che mi stanno giudicando, ma solo su quel contatto.
<Ti avevo detto di non indossare questi vecchi jeans.>
La sua voce accarezza ogni parte di me senza toccarla, le sue labbra vicine al mio orecchio quasi lo sfiorano, e il suo profumo mi invade le narici.
È la prima volta che lo sento, eppure ha un qualcosa di familiare che non riesco a decifrare.
Sembra profumo di...gelsomino.
Candido e delicato gelsomino.
Mi scosto di colpo, come se la scossa causata dal suo tocco mi abbia bruciata soltanto adesso.
Il suo sguardo, adesso sui miei occhi, sembra precipitato nella mia stessa dimensione, come se la scossa fosse arrivata anche a lui.
<Non toccarmi.>
Sputo, velenosa.
<Con piacere.>
Restiamo a fissarci per quella che mi sembra un’eternità, e nel frattempo prego che arrivi un qualche segnale che sblocchi questa situazione, perché il suo sguardo su di me pesa più di tutti quelli che avevo addosso poco prima.
Per fortuna quel segnale arriva, un uomo dai capelli bianchi si avvicina a noi e gli poggia una mano sulla spalla, costringendolo a distogliere lo sguardo da me.
<Logan, non mi aspettavo di trovarti qui, è bello vederti.>
Il serpente gli stringe la mano e si stampa in faccia un sorriso che non gli avevo mai visto, non da vicino almeno, solo nelle sue foto sui giornali.
<Signor Ross, è un piacere anche per me.>
Si lasciano andare ad una conversazione che definirei noiosa fino allo sfinimento, ed io resto immobile dietro di lui come un manichino in vetrina.
<Allora dimmi, cosa ti porta a Las Vegas?>
<Affari.>
Getta un’occhiata sopra la spalla.
<A tal proposito>
Dice, girandosi verso di me e porgendomi la mano.
<Ti presento la signorina Martin.>
Quasi in automatico, indosso un falso sorriso di circostanza e avanzo di un passo, allungando una mano verso il signor Ross, ignorando invece quella del serpente.
<Piacere di conoscerla, signorina Martin.>
<Piacere mio>
Dico, stringendo la sua mano troppo grande per la mia.
<La prego, mi chiami Amanda.>
Lui sorride, lasciando andare la mia mano, ed io leggo gentilezza e saggezza nel suo sguardo.
<Bene, meglio che raggiunga la mia signora adesso, o saranno guai per me. Non le piace particolarmente partecipare a questo tipo di eventi.>
<A chi lo dice.>
Bisbiglio, un po' troppo forte.
<Come dici, cara?>
Mi sforzo di ritornare nel ruolo della ragazza carina ed educata, e torno a sorridere.
<Dico che sua moglie deve essere una donna davvero gradevole, signore.>
<Oh si, lo è.>
Dal tono in cui lo dice, e dal modo in cui i suoi occhi si sono illuminati, comprendo che deve esserne davvero innamorato. Questo, è il tipo di amore che non ho mai visto tra i miei genitori.
<Ci vediamo, Logan>
Il signor Ross gli stringe la mano e gli da un’altra pacca sulla spalla.
<Piacere di averti conosciuta, Amanda. Spero che ci rivedremo.>
Gli sorrido per l’ultima volta e gli faccio un cenno di saluto con il capo. Quando finalmente si allontana da noi torno ad indossare il mio broncio.
<Vuoi da bere?>
Logan se ne sta al mio fianco, a guardare la sala esattamente come faccio io.
<No.>
Rispondo acida.
<Qualcosa da mangiare?>
<No.>
<Vuoi sederti?>
<No.>
Si gira verso di me, e con la coda dell’occhio intravedo il suo fastidioso sorrisetto e la testa di quell’odioso serpente, che esce dal colletto della camicia.
<E che cos’è, esattamente, quello che invece vuoi?>
Mi volto anch’io verso di lui, mi avvicino il più possibile e parlo a tono basso per assicurarmi che nessuno mi senta.
<Da te, serpente, non voglio proprio niente.>
Si lascia andare ad una risata e torna voltarsi nuovamente verso il salone.
<Cosa c’è da ridere?>
Chiedo, incrociando le braccia al petto.
<Niente.>
Ride ancora, toccandosi il mento con il pollice e l’indice.
<Parla, avanti.>
Gli giro intorno e mi pianto di fronte a lui, costringendolo a guardarmi.
Lui si abbassa per arrivare alla mia altezza e parla ad un soffio dalle mie labbra.
<Tu, asso. Sei tu che mi fai ridere.>
Quella vicinanza, il suo tono di voce, il suo profumo di nuovo così prepotente, scatenano in me un insieme di fastidio e di imbarazzo.
In situazioni normali, di fronte ad una frase del genere, avrei dato in escandescenze e avrei aggredito verbalmente il mio interlocutore.
Ma c’è qualcosa in lui che a volte blocca quella parte audace di me.
<Vado in bagno.>
Riesco a dire soltanto, e poi mi allontano mentre il cuore mi galoppa nel petto.
Cammino tra i corridoi di quel luogo immenso, e mi chiedo a chi possa appartenere così tanta ricchezza. Ripenso agli occhi grigi del serpente, e mi pento di essere stata così stupida da lasciarmi intimidire.
Cerco dentro di me quel coraggio che sembra essersi perso per un attimo, e prego affinché il mio caratterino torni a farsi vivo.
Mentre giro e rigiro a vuoto, verso una meta inesistente, sento il suono di passi leggeri alle mie spalle.
Possibile che qualcuno mi stia seguendo?
Cammino e cammino, aspettando il momento in cui il suono di quei passi svanisca, supponendo che per puro caso qualcun altro si sia perso per quei corridoi proprio come me.
Ma quel suono non svanisce, ed io inizio a sudare, il mio cuore inizia a battere in maniera irregolare.
La cicatrice sulla mia coscia sinistra inizia a pulsare, per ricordarmi della notte in cui non ho ascoltato con attenzione il suono di passi alle mie spalle.
Ma non stavolta.
Aumento il passo, e al primo angolo del corridoio giro e mi fermo con le spalle al muro, senza farmi vedere.
Ascolto il suono dei passi, cercando di capirne la vicinanza, e quando finalmente vedo la punta di una scarpa da uomo nero lucido balzo in avanti e lo afferro per il polso.
Quando avevo finalmente trovato il coraggio di raccontare a Daniel e a Betty di quella notte, dopo anni dall’accaduto, Danny mi aveva convinta a seguire un corso di autodifesa. Inoltre, da quel momento in poi, noi tre ci allenavamo insieme tre volte a settimana, e questo aveva migliorato la mia forza e la mia velocità.
Grazie a questo riesco a cogliere di sorpresa l’uomo alto ed incredibilmente muscoloso, e ad inchiodarlo al muro con il braccio dietro la schiena.
<Chi sei? Perché mi stai seguendo?>
L’uomo ansima contro la parete, probabilmente per via dello spavento. In fondo so bene che potrebbe liberarsi con facilità, considerando il suo corpo possente ed il mio fin troppo esile.
<Signorina Martin, io sono Maverick.>
Si aspetta che io sappia chi diavolo sia Maverick?
<E perché mi stai seguendo, Maverick?>
<Per la sua sicurezza, signorina.>
<Si, certo. Chi ti manda?>
Cerco di spingergli il braccio dietro la schiena il più possibile, eppure non mostra nessun segno di ribellione, non cerca di spingermi via e liberarsi, come potrebbe facilmente fare con due sole mosse.
<Può lasciarmi andare adesso?>
Gli sembro forse stupida?
<Così potrai aggredirmi, o rapirmi? O forse c’è qualcuno che vuole lasciarmi un segno anche sull’altra gamba?>
Stringo ancora il suo braccio, ed i miei polsi iniziano a bruciare.
<Ma di che sta parlando? Io non voglio farle del male.>
<E io dovrei crederti? Non esiste. So per chi lavori.>
<Lo sa?>
<Dovete lasciarmi in pace, ve l’ho già detto, non so lui dove si trova.>
Inizio a premere il mio corpo contro il suo, per tenerlo fermo con tutte le forze che ho.
<Mi hai capito?>
<Signorina, io...>
Premo ancora con più forza, e tutto il mio corpo si irrigidisce contro il suo.
<Se venite a cercarmi un’altra volta, io giuro che...>
<Amanda!>
La voce del serpente arriva alle mie orecchie, la riconosco subito, nonostante io sia accecata dalla rabbia. Entra dentro di me, e tocca delle corde che da tempo non venivano toccate. Mi calma, non mi fa sentire sola, cancella la paura che si era creata nel mio cuore.
<Puoi lasciare andare la mia guardia del corpo, per favore?>
Che cosa?
<Fai sul serio?>
Lo guardo da sopra la spalla, mentre tengo ancora stretto il braccio di Maverick, ma il mio corpo si rilassa di colpo e smette di fare pressione su di lui.
<Si, ninja, dico sul serio.>
Lascio andare l’uomo immediatamente.
<Io...mi dispiace.>
<Non si preoccupi, signorina.>
Maverick fa ruotare più volte la spalla destra, probabilmente indolenzita dalla mia presa.
<Resta il fatto che mi stava seguendo.>
Dico, puntando i piedi e guardando Logan, che se ne sta appoggiato con la spalla alla parete e le mani in tasca.
<Perché gliel’ho chiesto io.>
<Gli hai chiesto di seguirmi?>
Logan fa un cenno con la testa a Maverick, e l’uomo, che adesso riesco a osservare meglio, si allontana in silenzio.
<No.>
Risponde Logan, staccandosi dalla parete.
<Gli ho chiesto di assicurarsi che tu fossi al sicuro.>
<Perché non dovrei esserlo?>
Si gira dandomi le spalle ed inizia a camminare, come se non gli avessi appena fatto una domanda.
<Andiamo.>
<Andiamo dove?>
<Ti riporto a casa.>
Mi ritrovo a seguirlo in silenzio senza neppure volerlo. Nessuno è mai riuscito ad evitare una mia domanda, finora. Sono sempre stata ferma come una statua sulle mie decisioni e i miei dubbi, nessuno è mai riuscito a farmi cambiare idea o a evitare di dirmi qualcosa che voglio tanto sapere.
Eppure con lui mi sono appena arresa.
Non parlo neanche in auto, e lo stesso fa lui, regna il silenzio per tutto il tragitto. Ma vedo il modo in cui si passa la mano fra i capelli, vedo come si perde a guardare fuori dal finestrino, come giocherella con le mani. Lo vedo che c’è qualcosa che lo tormenta, vedo che non è più il prepotente di poco prima.
<Perché hai una guardia del corpo?>
Gli chiedo, quando l’auto accosta davanti al Saudade’s.
Lui si volta verso di me, e i suoi lineamenti sembrano rilassarsi.
<Ne ho più di una, in realtà.>
Sorride appena, ma io lo guardo confusa, forse un po' preoccupata.
<Ci sono cose che è meglio tu non sappia, Amanda.>
Tira un lungo respiro, come se quelle cose gli facessero male dentro.
<Non sono al sicuro con te?>
Mi stupisco io stessa di quella domanda, così come fa lui. Non so perché glie l'abbia chiesto, non ne ho davvero idea. È come se avessi bisogno di saperlo.
<Sarai sempre al sicuro con me.>
Quella frase apparentemente banale, riscalda qualcosa dentro me. Accende un piccolo fuoco, che da tempo era stato spento con fatica.
Non rispondo, ma sorrido appena, così poco che neppure si nota.
Scendo dall’auto, mentre Tom mi tiene aperta la portiera, e a lui sorrido un po' di più.
<Ehi.>
Mi richiama dall’interno della macchina, io mi abbasso leggermente per riuscire a guardarci dentro.
<Perché pensavi che Maverick volesse farti del male?>
Stavolta gli sorrido, e per davvero. Il suo tono sembra preoccupato, ma mi dona pace, mi fa sentire protetta.
Mi fa credere che, semmai gli raccontassi la verità, lui ne soffrirebbe con me.
<Ci sono cose che è meglio tu non sappia, serpente.>
Gli rigiro le sue parole, e mentre mi volto per entrare al Saudade’s lo vedo sorridere.
Ma non il suo solito sorriso fastidioso, un vero sorriso di cuore. Uno di quelli che esce fuori solo quando stai davvero bene, quando sei davvero felice.
Uno di quelli che ti fa innamorare.

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