Mancano due giorni all’ultimo dell’anno, e ogni particella del mio corpo è in estasi.
Adoro questi eventi al Saudade’s, da sempre e probabilmente per sempre.
In più, da quando qualche anno fa abbiamo inserito la leggenda delle peonie rosse, idea brillante di Betty, alla serata si aggiunge un tocco di mistero.
Le peonie vengono lasciate all’ingresso, dozzine e dozzine di fiori rossi, in più maschere eleganti di ogni tipo.
Agli ospiti in coppia, viene chiesto di separarsi e perdersi tra la folla, così che possa iniziare la ricerca l’uno dell’altra prima che scatti la mezzanotte. Alcuni, a volte, evitano di vedersi prima dell’evento, e si danno appuntamento al casinò con la promessa di trovarsi.
Ogni anno sorrido osservando gli amori che nascono, e quelli che si ritrovano, anche se non mi sono mai trovata a desiderarlo anche per me.
Anche se all’alba del primo giorno del nuovo anno la mia camera è sempre puntellata di rosso, e il profumo dei fiori mi impedisce di chiudere occhio, non ho mai sperato che tra i fiori potesse esserci un’amore per me.
Del sesso, a volte, di rado di ottima qualità. Ma l’amore...quello mai, quello non faceva per me.
Ma quest’anno è diverso, quest’anno il mio cuore custodisce un desiderio, e so che tra tutte le peonie una sarà più bella delle altre.
Mi viene quasi da canticchiare mentre cammino tra il caos di Las Vegas, diretta verso il mio fioraio di fiducia. A pochi minuti di distanza dal Saudade’s, il negozio di fiori della signora Lee è il più bello della città.
Affido sempre a lei la fornitura floreale per gli eventi al casinò, e ogni Capodanno mi fa selezionare personalmente le peonie rosse.
E, ogni anno, mi augura di ricevere una peonia speciale.
Adoro questo momento, da morire.
Sono ormai vicina al negozio, e nel frattempo ripenso ai messaggi che io e Logan ci siamo scambiati da quando ci siamo separati.
A volte messaggi piccanti, al sapore di desiderio, altre volte più dolci, ma piacevoli.
La voglia di rivederlo mi sta mangiando le interiora, ma sto cercando di resistere.
Credo che, una volta che lo rivedrò a Capodanno, con la mia peonia speciale, tutto sarà più bello dopo tutta questa attesa.
Mentre cammino, assorta nei pensieri più impuri possibili, il mio sguardo scruta la gente che cammina in direzione opposta alla mia.
Mi piace sempre osservare i volti delle persone quando cammino per strada, mi piace catturare un sorriso, o ipotizzare dove siano diretti.
Osservo se camminano con fretta, o se passeggiano con calma godendosi il vento sulla pelle.
Mi piace rubare scorci di conversazioni, risate, e a volte impeti di rabbia.
Mi piace osservare le persone.
Però oggi, mentre osservo e osservo, qualcosa mi cattura un po' di più.
Lì, in fondo al marciapiede, una persona incappucciata cammina più svelto degli altri.
All’inizio, l’osservo distratta, per poi spostare lo sguardo su qualcun altro.
Ma quando l’ombra del cappuccio scopre il viso, e quegli occhi spaventosi si puntano su di me, torno su di lui.
Barba pungente, capace di graffiare e rubare piccoli pezzi di pelle, occhi privi di pietà, assassini, spietati.
Anche a distanza, mi sembra di riuscire a sentire la puzza d’alcol sotto le narici, e la mia pelle si riempie di brividi, ben diversi da quelli che mi provoca il tocco di Logan.
Il mio cuore inizia a battere veloce, mentre le mie gambe si arrestano di colpo, improvvisamente pesanti e inanimate.
Il mostro, il mostro, il mostro.
La mia mente va in allarme, canticchiando una melodia composta da una sola parola.
Mostro, mostro, mostro.
Il ladro dei miei sogni, il padrone dei miei incubi, l’ombra oscura e spaventosa che dimora nel mio petto.
Il respiro viene a mancarmi, e la testa urla e urla e urla.
Scappa.
Corri.
Adesso.
E così, mentre quell’ombra incappucciata sgomita tra la folla, per farsi spazio e arrivare all’obbiettivo, mi volto trattenendo il respiro e inizio a correre.
Io. Sono io l’obbiettivo.
Tra la frenesia della folla, senza più aria nei polmoni, spintono e scanso, corro più veloce che posso.
Corri, corri, corri.
Ci metto tutta la forza che mi resta, mentre il mio cuore è impazzito e il corpo non mi risponde più.
Ma poi, ad un tratto, l’istinto mi suggerisce di guardarmi indietro.
Quando mi volto, senza smettere di farmi spazio tra la gente, il mostro è più vicino, è quasi arrivato a toccarmi, e mi divora con i suoi occhi oscuri.
Ma questo non è stato altro che un passo falso, voltarmi è stato un errore, una stupida distrazione.
Perché così facendo perdo la concentrazione, l’orientamento, e quando torno a guardare in avanti tutto diventa nero.
Inciampo sull’orlo del marciapiede, ritrovandomi a cadere quasi a rallentatore, sbattendo di colpo sull’asfalto.
Un dolore lancinante mi colpisce la spalla, il braccio, tutto il lato destro del corpo.
Ma anche in preda al dolore, ormai in trappola sul suolo, mi volto verso l’ombra per osservarlo porre fine al mio tormento.
Si fa sempre più vicino, arriva davanti a me e si ferma, mentre io a stento riesco a scorgere il suo volto, mi fissa inerme sulla strada, e poi…
e poi mi tende una mano.
Si piega quanto basta per lasciarsi vedere, e mi porge una mano gentile.
<Ti sei fatta male?>
Chiede, ma quello non è il mostro dei miei incubi.
È un uomo che gli assomiglia, stessa barba pungente ma...i suoi occhi sono diversi. Questi sono caldi, e gentili.
Io…mi sono sbagliata.
Ho creduto di vederlo, credevo fosse lui ma...non lo era.
<Io...>
Farfuglio, mentre l’uomo gentile mi aiuta a rimettermi in piedi, e il dolore sul corpo si fa più forte.
<Sei inciampata.>
Conclude lui per me, come se avesse osservato la scena.
<Sembravi agitata, come se...come se stessi scappando.>
Una volta in piedi mi guardo intorno, osservando le facce, cercando il mostro incappucciato. Ma non c’è.
<Va tutto bene? Hai bisogno di aiuto?>
L’uomo gentile richiama la mia attenzione, evidentemente preoccupato dal mio comportamento.
Ma io l’ho solo immaginato, era solo nella mia testa. È costantemente nella mia testa.
<Sto bene, sono solo sbadata, andavo di fretta.>
Mento, rassicurandolo, e in cambio lui mi sorride.
<Grazie dell’aiuto.>
Mi guardo intorno un’ultima volta, prima di voltarmi e riprendere a camminare.
<Fa’ attenzione.>
Mi urla l’uomo, mentre io cammino in fretta. Ma non verso il negozio della signora Lee, ma verso casa. Verso casa.
Una volta arrivata, mi sono persa rinchiusa in camera.
La paura agghiacciante che ho provato, mi ha portata a chiudermi a guscio.
Sono trascorse ore, ormai, da quando sono rientrata, ed io sono solo stata in grado di infilarmi sotto le coperte e sparire.
Dormire e dormire, per non rivedere il mostro anche fuori dai sogni.
Dormire, nascosta tra le lenzuola, soffocata dai cuscini, solo per non sentire dolore.
Quando riapro gli occhi è già notte. È notte. È di nuovo notte. E io mi sono persa.
Mi metto seduta sul letto, e un dolore asfissiante si muove sul lato destro del mio corpo.
Ho difficoltà a muovere la spalla, a farla ruotare, ed anche il fianco e la gamba destra sono doloranti.
Cazzo.
Mi alzo dal letto con fatica, facendo ricorso ad ogni forza, e mi dirigo in bagno.
Accendo solo la luce della specchiera, e mi ci posiziono davanti.
Quasi mi metto ad urlare quando mi vedo riflessa.
I capelli scombinati, le occhiaie scure, e le labbra spaccate.
Abbasso lentamente la cerniera della felpa, e quando scopro la spalla destra sussulto. Mi libero della felpa e faccio lo stesso con i pantaloni.
Questa volta, incapace di controllarlo, urlo davvero.
Dalla mia bocca si libera l’urlo più agghiacciante e disperato possibile.
Urlo colma di dolore, osservando i lividi scuri che adesso mi ricoprono la pelle.
Afferro il primo oggetto che mi capita a tiro, e lo lancio sullo specchio, rompendolo in mille pezzi, distorcendo l’immagine del mio stupido corpo.
Urlo e urlo, mentre dentro di me scoppia un altro temporale, ed io mi sento annegare.
Sono frantumata.
Ma questa volta non ce l’ho con il mondo, o con la vita, ma con me stessa.
Odio tutto ciò che sono, odio la mia immagine riflessa, e questo corpo che dice di essere mio. Ma non lo è, non mi appartiene.
Sono schiava, schiava di una mente pericolosa e subdola, che mi mostra ciò che non esiste.
Schiava di pensieri che mi soffocano, della paura che mi incatena i polsi e mi immobilizza al suolo.
Questo corpo non è mio, mi tiene in ostaggio.
Mi odio perché non so come mettere a tacere questa paura fottuta, che mi imprigiona in una gabbia di vetro.
Mi odio perché non so farla stare zitta, perché le lascio prendere tutto ciò che vuole. Il mio corpo, la mia mente, la mia vita.
Le lascio libero arbitrio, e la guardo mentre muove le mani sui comandi, come se io non fossi proprietaria di niente.
Subisco e taccio, anche se vorrei urlare.
Non la voglio, non la voglio più questa paura che sussurra.
Così non vivo. Così mi uccido.
Disperata, torno in camera e mi siedo sul pavimento. Recupero dal comodino la palla di vetro che mi ha regalato Logan, e la stringo forte tra le braccia.
Arcobaleno, arcobaleno.
Voglio l’arcobaleno.
Ma piove troppo, i fulmini mi fanno male.
Arcobaleno, arcobaleno.
Abbandono sul pavimento la palla di vetro, e allungando il braccio recupero il cellulare, anche lui sul comodino.
Non mi concedo il tempo di ragionarci.
Digito il numero e mi porto il cellulare all’orecchio.
Voglio l’arcobaleno.
<Lo sapevo che non avresti resistito.>
Risponde, con la voce colma di sorrisi.
<Logan?>
Dico solo, prigioniera dell’uragano.
<Ehi, tutto bene?>
Il suo tono cambia immediatamente, ed io mi stupisco della rapidità con cui si è reso conto. Gli è bastato sentire la mia voce, un secondo soltanto.
<Puoi venire qui?>
Mi sento ridicola, terribilmente ridicola pronunciando questa richiesta.
Ma…ho bisogno dell’arcobaleno.
Non ricevo nessuna risposta però, anzi.
Il telefono prende a sibilare, tu...tu...tu.
La chiamata è terminata.
Rimango a fissare lo schermo per un po', deglutendo, confusa.
Ma poi inizio a comprendere.
Che avrebbe dovuto dire? Mi aspettavo realmente che sarebbe corso qui?
Il mio dolore è mio, il temporale è mio. Di nessun altro. Nessuno salterebbe con te dentro l’uragano.
Getto il telefono per terra, vicino la sfera di vetro, e mi rannicchio portandomi le ginocchia al petto. Fisso il buio della mia camera, mentre dentro di me piove e piove, ma fuori no. Nessuna goccia scende dagli occhi. Eppure io lo sento che piove, piove un sacco, senza sosta.
I lividi mi pulsano, e quasi riesco a sentirli mentre si fanno più scuri e più doloranti.
Stupida. Sono una stupida.
Non saprei dire quanti minuti sono trascorsi, mentre io mi perdevo tra i tuoni.
Ma dopo un po', come se i tuoni fossero usciti dalla mia testa, un suono rimbombante squarcia il silenzio.
Il rombo di un motore, che a tutta velocità sfreccia sulla strada, fermandosi al Saudade’s, facendolo tremare.
Poi si zittisce, ed io nascondo il viso, premendo la fronte sulle ginocchia.
Ho immaginato anche questo? Anche questo era nella mia testa?
Ma quando la porta della mia stanza si spalanca, e l’ombra di Logan si muove nel buio, facendolo spostare, i miei occhi si sgranano e torno a respirare.
Lui è qui.
La porta si richiude con un tonfo, gli ci vuole un secondo per individuare il mio corpo accasciato sul pavimento, e inginocchiarsi davanti a me.
<Ehi, piccola.>
Sussurra, accarezzandomi il viso con il pollice. E la furia che possedeva i suoi occhi sparisce.
<Che cos’hai?>
Basta il suo tocco, solo il suo tocco ed io cado a pezzi.
Il cuore diventa più leggero, e la pioggia...adesso scende dagli occhi.
<Sei qui.>
Gli sussurro, con la gola che brucia dopo aver regalato urla al silenzio.
<Sono qui.>
Mi rassicura, mentre io gli porto una mano al viso per assicurarmi che sia reale.
<Adesso ci sono io.>
Ripete, ed io ci credo.
È qui, adesso va tutto bene.
Adesso ho l’arcobaleno.
Altra pioggia mi scende dagli occhi, incastrandosi nella curva delle mie labbra.
<Avevo bisogno dell’arcobaleno.>
Gli confesso, lasciando andare un singhiozzo.
<La bolla...>
Balbetto, schiava del pianto.
<...la bolla di vetro non ha funzionato.>
Indico la sfera abbandonata sul pavimento, vicino ai miei piedi.
<Ci ho provato.>
Singhiozzo, mentre lui mi accarezza i capelli.
<Ho provato ad usare quella ma...non bastava. Io...>
Tiro un lungo respiro, alleggerendo la montagna che mi pesa sul cuore.
<Avevo bisogno di te.>
Mi libero, rendendomi forse patetica.
<È tutto okay. >
Si china appena sul mio piccolo corpo e mi bacia la fronte.
<Sono qui ora.>
Lui è qui. Il mio arcobaleno.
Mi asciuga le lacrime con le dita, ed io chiudo gli occhi, calmandomi.
<Lo sai di cosa ha bisogno l’arcobaleno?>
Alzo lo sguardo sul suo viso immerso nel buio, scorgendo appena un sorriso.
<Della luce.>
Risponde al posto mio, e si sporge verso il comodino.
<No!>
Urlo, quando capisco cosa sta per fare.
Ma è troppo tardi.
Il suo dito trova l’interruttore dell’abat jour, e prima che io possa fermarlo la luce riempie l’angolo in cui siamo nascosti.
Quando si volta verso di me, sorride di mezzo lato. Ma non appena il suo sguardo scende verso il mio corpo coperto solo dai lividi e dalla biancheria, il sorriso si spegne e una furia buia gli scende sugli occhi.
<Che ti è successo?>
Domanda, invaso dal panico, ed io riesco solo a deglutire e ad evitare il suo sguardo.
<Che cazzo ti è successo?>
Ripete, alzando il tono della voce.
<Chi è stato?>
Urla, ed io ricomincio a piangere.
<Chi ti ha ridotto così?>
Le sue urla mi arrivano all’anima, e per istinto mi copro le orecchie con le mani e inizio a tremare. La paura torna a chiamarmi.
<Dimmelo, Amanda. Dimmelo subito.>
Si sporge verso di me, prendendomi per le spalle e iniziando a scuotermi.
<Logan.>
Lo richiamo, cercando le parole giuste per spiegare.
<Dimmi chi cazzo è stato a fartelo.>
Urla ancora, scuotendomi, lo sguardo in fiamme.
<Dimmi quel nome, o ti giuro che sarà il mondo intero a pagare per questo.>
Il suo sguardo mi spaventa, mi pietrifica ma poi mi incendia.
<Io!>
Urlo, spingendolo lontano da me. Cade sul pavimento e mi guarda, serio.
<Sono stata io, me lo sono causata da sola.>
A questo punto, la furia lascia spazio all’allarme.
<Come?>
Chiede prima.
<Perché?>
Tremando, vedo farsi spazio tra i suoi occhi l’ipotesi che io abbia desiderato procurarmi dolore. Ma lui non sa, non sa che non mi occorre procurarmelo, perché lo sento comunque ogni giorno.
<Dio, Logan.>
Mi alzo in piedi di scatto, e lo vedo osservarmi dal pavimento. Lo vedo scendere lungo tutto il mio corpo, deglutendo di fronte ai segni che lo ricoprono.
<Sono solo inciampata.>
Lo tranquillizzo, accennando un sorriso per renderlo più credibile.
Anche se questa storia trasuda bugie.
Ma è la verità, in parte.
<Non ti credo.>
Afferma, alzandosi dal pavimento.
<E perché no?>
Lo guardo storto, senza coprire quei segni che vanno a fuoco sulla mia pelle.
<Perché vivi con il terrore che qualcuno possa farmi del male per arrivare a te, non è così?>
Sgrana gli occhi, forse stupito dalla rapidità con cui sono mutate le mie emozioni.
<Il perché qualcuno dovrebbe volerti distruggere a tal punto mi è ancora poco chiaro, tra l’altro. Ma resta il fatto che questa paura invade tutte le tue giornate.>
Inizia a scuotere la testa, forse pregando che smetta di parlare.
<Ti da fastidio non poterlo controllare, non è vero? Ti uccide.>
Socchiudo gli occhi, mentre lui si passa una mano tra i capelli, mostrandomi una parte di sé che conosco già.
<Avanti, dillo.>
Faccio un passo verso di lui, incrociando le braccia.
<Dì che è complicato, che io non posso capire, e che tu non puoi spiegarmelo.>
Meravigliandomi di me stessa, mi fermo davanti a lui e lo spintono.
<Dillo.>
Alzo la voce, e faccio per spingerlo un’altra volta, ma questa volta lui mi ferma, bloccandomi il braccio dolorante.
<Dillo.>
Questa volta il mio tono suona come una supplica.
<Cerco solo di proteggerti.>
Sussurra, rassegnato. E sul suo viso si fa spazio un’emozione che non ho mai visto prima. Tormento.
Mi avvicino al suo viso, con sguardo freddo e severo.
<Non la voglio la tua protezione del cazzo, non l’ho mai chiesta.>
Deglutisco, odiando me stessa per la rabbia che mi esce dall’anima.
<Non riesci a capire. Io…>
Prova a spiegare, ma io sono ormai vestita di rabbia.
<Non me ne importa niente di capire.>
Strattono il braccio per liberarmi da lui, stringendo i denti per il dolore che mi invade.
<Volevo solo un abbraccio, volevo un posto sicuro.>
Urlo, allontanandomi.
<Volevo che facessi tue le mie lacrime.>
Sbotto, guardandolo sconfitta.
<Le tue lacrime sono già mie, tutti i tuoi dolori lo sono. Mi tagliano il cuore anche più dei miei stessi demoni.>
<Fanculo.>
Sorrido.
<Sei solo un bugiardo.>
<Amanda...>
Fa un passo verso di me, ed io in risposta ne faccio due lontano da lui.
<Volevo solo che mi tenessi stretta tra le tue braccia tutta la notte. Un bacio, una carezza, una parola. Sarebbe bastata qualunque cosa ma tu...>
Deglutisco, mentre nuove lacrime minacciano di scendere, ma le caccio via.
<Finché avrai questa paura, Logan, finché non farai pace con i demoni che tu stesso riconosci, non potrai mai essere l’arcobaleno di qualcuno.>
<Voglio essere solo il tuo, di arcobaleno.>
Avanza di nuovo verso di me, con le mani protese.
<Non ci sei riuscito.>
Taglio corto, sentendo una fitta al petto.
<Amanda...>
<Vattene.>
Anche se il mio cuore piange, collegato al suo che urla, le sue spalle si voltano e lui va via.
Ed io, dannazione, vorrei solo corrergli dietro. Ma c’è troppo con cui fare i conti.
Troppi segreti che mi lacerano il petto.
Se non guarisci le tue ferite, non potrai mai medicare quelle di qualcun altro.
Ed io non voglio più i segreti, non voglio un arcobaleno spento.
Perché è questo che lui è, il mio arcobaleno, ma sbiadito.
Questa sua smania di proteggermi dai suoi mostri, ingrandisce i miei. I suoi segreti, gli impediscono di accendere i colori del suo arcobaleno.
Per quanto amore possa esserci, è destinato a morire se la paura non gli lascia spazio.
E quando io volevo pace, lui mi ha dato altro tormento.
Non ha ascoltato, non ha compreso, ha solo lasciato spazio alla sua paura.
I miei demoni restano miei, perché anche i suoi sono troppo grandi per essere condivisi.
Forse, entrambi, dovremmo prima liberarci dal male per accogliere il bene che potremmo donarci a vicenda.
Perché se il fuoco incontra altro fuoco, divampa, ma se incontra il ghiaccio affievolisce.
Lui mi ha dato il fuoco, quando io ero già tra le fiamme. Ma io avevo solo bisogno di ghiaccio.
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Bluff
RomanceLa vita a volte somiglia ad una partita di poker, e Amanda lo sa bene. Per questo motivo ogni giorno mette in pratica gli insegnamenti di Ethan, il suo primo amore. Ethan le ha insegnato tutto sul poker, regole e trucchi, e Amanda custodisce le su...