LoganLa notte è ormai quasi giunta al termine, eppure io non ho accumulato neppure un’ora di sonno.
Stringo più vicino il corpo nudo e meraviglioso della donna che mi dorme tra le braccia, e intreccio le dita tra le sue ciocche rosse.
Tremo. Tremo dentro e fuori, anche se il suo corpo mi riempie di un calore sconosciuto.
Ma non è il freddo che mi fa tremare, no, quello non c’entra affatto.
È la paura. Congelante e insidiosa, subdola e malvagia.
È quella paura che ti immobilizza, che si àncora ai tuoi organi con gli artigli, e ti toglie il sonno, la fame, e il respiro.
La sento mentre si muove sotto la mia pelle, come un verme strisciante e puzzolente di veleno nocivo. La percepisco mentre si nutre di me, beve da me, ruba e ruba.
La paura è un’arma maledetta, che o ti uccide o ti fa uccidere.
È un nemico giurato, una nemesi fantasma.
Io odio avere paura, e per tutta la vita ho cercato di cacciarla dalla mia mente, le ho proibito di arrampicarsi sulle mie ossa.
Ma se si tratta di Amanda…
quando c’è lei di mezzo io mi trasformo, perdo ogni conoscenza, ogni spavalderia, e dimentico tutte le strategie.
Ho perso il conto delle notti trascorse a sognare di dormirle accanto, quante volte ho creduto di sentire il suo profumo di ciliegia sul mio cuscino.
Sono state troppe le albe in cui ho sperato di vederla così, nuda accanto a me, mentre i suoi capelli si colorano di sole.
Ma adesso che è successo…
adesso il suo sapore non abbandona più la mia bocca, e tutto il mio corpo chiama il suo nome, così come le sirene attirano i marinai.
Entrare dentro di lei è stato come fluttuare nell’universo, passando attraverso le galassie e giocando a rincorrersi con i pianeti.
Ho perso la ragione, sono impazzito del tutto nel momento in cui le mie labbra hanno trovato le sue.
Mi sono smontato e poi ho ricongiunto i pezzi, è stato il principio della vita, e la fine di una logorante sofferenza.
Eppure più la stringo e più la paura mi sussurra all’orecchio.
Lei si farà male, bisbiglia.
La visione di lei che soffre a causa mia mi squarcia il petto.
So per certo che è un futuro inevitabile, questo, perché ho appena mandato a fanculo l’unico piano che avevo per evitarlo.
È andato a farsi fottere nel momento in cui lei si è presentata alla mia porta, con i suoi occhi verdi e quel dannatissimo vestito striminzito.
Non ho potuto evitarlo.
Anche se ho lottato, Dio se ho lottato per evitare che accadesse.
C’è stato un frastuono assordante dentro di me nel momento in cui si è chiusa la porta alle spalle, colpi di pistola e cannoni.
Ma poi mi sono arreso.
Mi sono arreso non appena lei ha minacciato di andarsene, e quando nella mia mente è apparsa la possibilità di non poterla avere mai più, ho ceduto.
Mi sono inginocchiato sotto una spada sguainata, ho alzato le braccia sopra le spalle e ho chinato la testa.
Ho mandato a fanculo ogni sacrificio fatto finora, ogni tentativo di starle lontano, ogni parola detta per evitare che succedesse questo dannato casino.
Merito un’esecuzione per questo? Merito di essere lapidato, forse?
In fondo resto comunque un uomo, e lei resta la creatura più bella che il mondo abbia mai creato. Come potevo evitarlo?
Lei è fuoco ardente, e il mio ghiaccio è troppo debole per resistergli.
Lei manda all’altro mondo tutte le mie intenzioni, e quando mi sta attorno io non so più cos’è la razionalità.
Non ci capisco più niente, se si tratta di lei.
Se davvero esiste un qualche Dio perduto, spero che possa perdonare ciò che sto facendo.
Lascio ricadere le ciocche rosse sul cuscino, e mi scosto appena per osservare la sua schiena.
Anche qui qualche piccola lentiggine sorride assonnata, ed io vorrei baciare ognuna di loro, percorrendo un tragitto fino alle sue labbra.
E nonostante la paura resti ancora attaccata alla mia gabbia toracica, non appena Amanda emette un piccolo versetto di soddisfazione, dimentico la sua vocina impertinente.
Si rigira sul materasso, mettendosi comoda a pancia in giù, e la coperta che le ho sistemato qualche ora fa scivola fino a scoprire la curva del suo sedere.
Cerco di resistere, ma la tentazione di accarezzare quella piccola collina prende il sopravvento.
Mi assicuro di utilizzare la delicatezza di una farfalla, e l’accarezzo con la punta delle dita, per non rischiare di svegliarla.
Ma nel momento stesso in cui la mia pelle entra in contatto con la sua, tutto il mio corpo si infiamma.
Percependo il mio tocco, si rigira un’altra volta sul materasso, e questa volta si posiziona sulla schiena.
Lascia ricadere una mano in grembo, e per qualche motivo a me sconosciuto, l’altra si chiude su un seno.
A questo punto perdo ogni capacità di intendere e di volere, e un calore perfido mi ricopre la pelle.
Il suo volto è sereno, ancora prigioniero di un sonno rilassato, ma quella mano…
quella mano sul suo piccolo seno mi fa ritorcere le budella, e risveglia quell’unica parte di me che era riuscita ad assopirsi ore fa.
È la visione più mozzafiato che io abbia mai visto.
Lei, nuda nel mio letto, l’alba che le illumina il viso e colora d’arancio i suoi capelli.
È impossibile descrivere l’emozione che mi cresce dentro, impossibile quantificare il livello di bellezza che vedono i miei occhi in questo momento.
È qualcosa di ultraterreno, è come il paradiso sulla terra, una visione celestiale.
È di sicuro qualcosa di divino, la sua bellezza non può essere paragonata a nulla su questa terra.
Mi sento rapito, ammanettato e imbavagliato.
Non trovo parole, respiri, silenzi.
È qualcosa di così bello che le mie mani si macchiano di peccato solo sfiorandola, così bello che dovrebbe essere proibito.
E quando le sue palpebre si alzano lentamente, lasciando che l’alba le illumini gli occhi verdi, perdo definitivamente la testa.
Si guarda intorno per qualche istante, come a voler ripercorrere tutti gli avvenimenti della notte appena trascorsa, ed io la osservo cercando di non emettere un suono.
Se il suo sguardo dovesse posarsi su di me in questo istante, cesserei di esistere immediatamente.
Come se avesse udito i miei pensieri, in un soffio i suoi occhi trovano i miei, e sulle sue labbra si accende un sorrisino che rallenta il mio battito.
<Buon giorno.>
Parla con voce assonnata, bassa e incredibilmente tenera.
Questa, adesso, è tra le cose che vorrei poter vivere ogni mattina di ogni giorno.
<Buon giorno a te.>
Le rispondo cercando di rimanere composto, affidandomi alla spavalderia, mascherando la voglia che ho di lei.
<Che cosa fai già sveglio?>
Si volta ad osservare il cielo oltre la finestra, ed il suo sorriso si allarga appena, quando nota i colori maestosi che lo colorano.
È una delle ragioni per cui ho acquistato questo palazzo, la vista.
Siamo così in alto che sembra di poter toccare le nuvole alzando un braccio, e so che anche lei ama questo dettaglio, proprio come me.
<Mi godo la vista.>
Sorride ancora, sbattendo gli occhi, come se stesse cercando di chiarire se si tratta ancora di un sogno.
<È meravigliosa, in effetti.>
L’arancione dell’alba le punzecchia le guance, e le lascia calde sfumature negli occhi, che brillano come spicchi di sole.
<È straordinaria.>
Quando si volta verso di me, allarga un sorriso ancora più ampio.
<L’universo ci ha regalato un’alba stupenda, oggi.>
Adoro il modo in cui parla del mondo, come se fosse un’entità viva che ogni tanto ci dona meraviglia.
<Vero.>
Mi piego giusto un po' e le poso un morbido bacio sul naso, un’altra cosa che desideravo fare da lungo tempo.
<Io non mi riferivo all’alba, però.>
Mi scosto appena in tempo per vederla arrossire, e più le sue guance si colorano più qualcosa scalcia dentro di me.
Allontano certi pensieri, o almeno ci provo, alzandomi sui gomiti e voltandomi a guardare fuori.
<Hai fame?>
Le chiedo, ormai che ci siamo.
<Ti va la colazione?>
Devo uscire da questo letto, immediatamente.
Devo allontanarmi, e lei deve assolutamente vestirsi.
<Ho fame.>
Risponde, ed io ringrazio gli dei addormentati.
<Ma non mi va la colazione.>
Mi giro di scatto, ancora sdraiato per metà, e lei mi sorride abbassando di poco la mano che prima giaceva sul suo grembo.
Qualcosa mi brucia dentro, e per istinto passo la lingua sulle labbra, mentre sfiora con un dito annoiato la parte di lei che mi chiama da ore infinite.
<Tu hai fame?>
Chiede, provocandomi.
Continuo a ripetermi che sarebbe ora di calmarsi, che è il momento di riprendere a ragionare con lucidità, ma quella parte di lei mi chiama e mi chiama.
Rido, cercando di mostrarmi del tutto indifferente, ringraziando quel minuscolo lembo di coperta che mi copre sotto l’ombelico.
<Amanda...>
Inizio, cercando parole che possano mettere fine a questa mia sofferenza, convincendo anche lei.
Ma non ne ho il tempo, perché con uno scatto degno di un gatto me la ritrovo a cavalcioni sui fianchi.
<Sai, serpente.>
Prende la parola, inumidendosi le labbra e spingendo i capelli oltre le spalle, scoprendo i seni piccoli e sodi.
<Ieri notte hai giocato con me.>
Deglutisco, ripensando alla notte passata, sentendo ancora il suo sapore sulla punta della lingua.
<Però>
Continua il suo discorso, muovendosi appena su di me, mentre io faccio appello a tutto il mio autocontrollo.
<Anche a me piace giocare.>
Non appena pronuncia queste parole, capisco quanto sia vizioso il vortice in cui ci siamo gettati il giorno prima.
Praticamente è come una fottuta droga, più ne hai più ne vuoi.
E lei ne vuole ancora, e anche io.
Cazzo, anche io ne voglio ancora.
Ondeggia leggermente contro i miei fianchi, e a questo punto non riesco più a frenare la voglia che mi si accende dentro.
<Adesso è il mio turno.>
Continua a ondeggiare e si sporge appena per passarmi la lingua sotto l’orecchio, spegnendo definitivamente ogni mia capacità di ragionare.
<Lo vuoi?>
Mi domanda, come se potessi mai negarglielo.
Sfrontata, mi ruba un bacio rapido ma violento, mordendomi il labbro inferiore.
<Oppure preferisci la colazione?>
A questo punto ci vedo rosso, e abbandonando la posizione sui gomiti, mi metto seduto e poggio la bocca su un suo seno.
Prendo tra i denti un capezzolo, passandoci sopra la lingua con lentezza, e quando lei getta la testa all’indietro e mi tira una ciocca di capelli, dimentico il mio nome e tutti quelli che mi hanno dato.
<Sei tu la mia colazione.>
Le sussurro, ancora sul suo seno, chiudendo l’altro in un pungo.
Ma questa volta lei vuole cambiare strategia, è un gioco diverso quello che vuole.
Ed è a questo punto che mi si presenta la vera Amanda, quella sfacciata e senza limiti. Quella che ha mandato a fanculo il mio cervello il giorno in cui ha ben pensato di lasciarsi toccare da mani non mie, nel cesso di un locale.
Cazzo, quella volta avrei voluto prendere il posto di quel maiale, e incidere il mio nome sulla sua pelle.
Mi spinge via, strappandomi di bocca il suo seno, e proprio quando io mi aspettavo di sentirla lamentarsi di dolore per via dello strappo brusco, lei sussulta di piacere.
Mi ritrovo disteso sulla schiena, mentre lei si muove sui miei fianchi e sorride come una cazzo di vipera.
Mi arrendo nel momento in cui posa le labbra sul mio petto, e quando passa la lingua sul serpente tatuato vedo le stelle.
Dal primo giorno, da quando per la prima volta ha osservato il mio tatuaggio con quello sguardo da tentatrice, sogno di sentirci sopra la sua lingua.
Ma quando la sua bocca inizia a scendere sui miei pettorali, e poi sui miei addominali, con una lentezza estenuante, capisco che questa più che altro è una tortura.
Malefica com’è, sale e scende con la lingua, sfiorando di tanto in tanto quel punto ormai dolente sotto l’ombelico.
In risposta lui pulsa, ancora rinchiuso nei pantaloni, e la supplica.
La chiama e la chiama, ma lei non ha intenzione di mettere fine alla mia sofferenza.
Esasperato, le poggio una mano sulla nuca e la spingo leggermente verso il basso.
Ma neanche questo serve a farla arrendere, anzi. Alza il viso dal mio stomaco e mi guarda con un sorriso da gatta.
<Non la conosci la pazienza?>
Mi chiede, mentre io la osservo ad un passo da quel punto dolorante.
Getto all’indietro la testa, trovando il cuscino morbido.
<Amanda.>
Praticamente ansimo pronunciando il suo nome.
<Si, serpente?>
<Se mi farai aspettare ancora, perderò definitivamente il controllo.>
Mi posa un bacio sopra l’elastico dei pantaloni e la sento ridere sulla mia pelle.
<E a quel punto ti converrà scappare via, oppure ti scoperò così tanto da farti perdere la voce.>
Con mia sorpresa, più che spaventarla le mie parole la convincono, e con un unico movimento mi libera finalmente dalla morsa del pantaloni.
Tutto il mio corpo la ringrazia per quel gesto, ma quando la sua bocca si posa su tutto il mio essere, mi rendo conto di quanto poco sia giusto tutto questo.
Non c’è niente di giusto, è totalmente proibito, un peccato capitale che mi condurrà alla follia eterna.
Più va in profondità, riempiendo i vuoti, più il mio corpo si contrae e il mio respiro si fa irregolare.
È sbagliato, sbagliato e sbagliato.
Però, dannazione, è meraviglioso.
Per quanto provi ad evitarlo, non riesco a frenare i gemiti che mi escono dalla bocca, e quando le afferro i capelli e lei aumenta il suo ritmo Lucifero mi reclama.
Sono sul punto di esplodere, ma quando lei si libera la bocca comprendo che esiste qualcosa in grado di uccidermi del tutto, qualcosa di ben peggiore ma al contempo favoloso oltre ogni immaginazione.
Quando si alza dal mio inguine, e la mia mano che prima le stringeva le ciocche rosse ricade sulla sua coscia, proprio su quella cicatrice che mi fa venire voglia di distruggere l’intero pianeta, non so più chi sono e comprendo che è ormai troppo tardi per sperare nella misericordia divina.
Amanda sale a cavalcioni su di me, e con un unico movimento esperto, che mi ricorda tutte le volte in cui lo ha fatto con qualcuno che non ero io, mi spinge dentro di lei.
A questo punto, probabilmente, la mia anima è ormai persa nell’oblio.
Non esiste più perdono per me, sono un condannato a morte.
Non appena inizia a ondeggiare su di me, lasciando che io anneghi nel piacere più puro e infinito che abbia mai conosciuto, i miei occhi si accendono di fiamme distruttive.
Con un movimento, facendo ricorso alle ultime forze che mi rimangono, mi alzo con ancora lei sopra e la porto a distendersi sul letto.
Mi posiziono in ginocchio tra le sue gambe, il tutto senza mai uscire da dentro di lei, e quando me la ritrovo sotto intenta a contorcersi e ad ansimare prendo a muovermi più veloce.
Più aumento il ritmo, più il rumore dei nostri corpi si fa forte, e lei prende ad urlare.
Le sue urla mi perforano l’anima, ed io non capisco più dove mi trovo, non sono più un uomo ma sono fuoco.
Più entro dentro di lei, più il suo nome mi marchia la pelle, e desidero restare qui in eterno. Questo è il paradiso, il mio paradiso, anche se è rosso di fuoco.
<Logan.>
Urla alla fine, dandomi il colpo di grazia che in realtà non aspettavo, ed io mi compiaccio dopo averla sentita urlare il mio nome. Proprio come avevo promesso.
Esco da dentro di lei appena in tempo, e mi libero sulle lenzuola ora zuppe di me e di lei.
Una volta finito, non più padrone del mio corpo, mi lascio ricadere sul materasso accanto a lei, e per lunghi minuti nella stanza si sentono solo i nostri respiri affannati.
Cazzo, ma che diavolo è successo?
<Bene.>
Dice lei, una volta ritrovata la calma.
<Adesso voglio la colazione.>
Scende dal letto con movimenti fluidi, mentre io mi sento sfinito e adesso avrei davvero bisogno di una bella dormita. Ma il sole è ormai alto a questo punto, e poi come si fa a dormire con lei intorno? Sarebbe tempo sprecato.
Si piega in avanti per recuperare le mutandine sul pavimento, regalandomi una vista del suo sedere che quasi mi fa venire voglia di riportarla a letto immediatamente.
Indossa le mutandine, e proprio quando io mi aspetto che recuperi il resto dei suoi indumenti, lei si avvia invece verso la porta.
<Ferma.>
Quasi le urlo, mettendomi seduto sul letto.
<Che c’è?>
Si ferma davanti la porta, con indosso soltanto quelle dannatissime mutandine microscopiche.
<Non vorrai scendere così?>
Sembra rifletterci per un attimo, e poi le sue guance si macchiano di rosso.
<Oh, giusto. Maverick e Tom sono qui?>
Come per istinto, la vedo abbassare le spalle e avvicinare le braccia al corpo, come se davvero i miei amici fossero qui a guardarla.
Mi scappa un sorriso, perché questa donna è al tempo stesso timida e sfrontata.
<No, loro non si avvicineranno a questa casa finché io non gli dirò di farlo.>
La tranquillizzo.
<Li hai cacciati?>
Sembra rimproverarmi, come se il fatto che Rick e Tom siano dovuti andare altrove sia unicamente colpa mia.
<Non è servito che parlassi, a quanto pare.>
Le faccio notare, anche perché pur volendo non avrei potuto avvisarli, dato che lei mi ha praticamente preso in ostaggio.
<Ma...>
Si guarda intorno, quasi confusa.
<Loro non vivono qui con te?>
<È così.>
Scendo dal letto e cerco di ricompormi, ritrovando i miei pantaloni che ormai dovrebbero essere lavati.
<Dove hanno passato la notte, allora?>
Vedendola preoccupata, mi avvicino a lei e le cingo la vita.
<Chi lo sa.>
Le sorrido, per dimostrarle che va tutto bene.
<Sono dovuti andare via da casa loro, per...per colpa mia.>
Scoppio a ridere, e lei mi guarda storto come se volesse assestarmi un pugno.
<Ehi.>
Le dico, tornando serio e prendendole il viso tra le mani.
<Hanno solo voluto lasciarci un po' di privacy.>
Lei abbassa lo sguardo e si stringe le braccia al petto, come a volersi coprire.
Non mi spiego il perché di questa reazione, come se si stesse vergognando di tutto ciò che è successo.
<Non sarebbero riusciti a dormire molto, se fossero rimasti, non trovi?>
Scherzo, sperando di riuscire a farle tornare il sorriso.
<Poverini.>
Dice, però torna a guardarmi e le si accende un sorriso sulle labbra.
Poi, senza che io me l’aspettassi, si alza in punta di piedi e mi stampa un caldo bacio sulle labbra.
Dio, le sue labbra. Vorrei averle addosso costantemente.
<Allora vestirmi non serve.>
Parla ancora sulle mie labbra, ma non fa in tempo a finire la frase che si sottrae alla mia presa e punta un’altra volta alla porta.
Ma, grazie ai miei riflessi allenati, riesco a bloccarla subito, afferrandola per i fianchi e portandola a sbattere con la schiena contro il mio petto.
<Rivestiti, asso.>
Le sussurro vicino all’orecchio, e la sua pelle si riempie di brividi.
<Oppure rimarremo chiusi in questa casa per giorni e giorni, e quando ne usciremo non ricorderemo più come si cammina.>
Mi scosto dal suo corpo e mi posiziono davanti a lei, poggiandomi alla porta con le braccia conserte.
<Adesso.>
Le ordino, ma con un sorriso sulle labbra. E lei, arricciando il naso, prende a camminare verso il suo abitino abbandonato sul pavimento da ore.
Ma, come a volermi punire, si abbassa per recuperarlo con una lentezza che mi fa quasi perdere la calma. Poi si rigira, e inizia a indossarlo senza mai lasciare i miei occhi. Praticamente trattengo il respiro durante i minuti infiniti che impiega per arrivare a chiudere la cerniera, e mi ci vuole una concentrazione di ferro per evitare di correre da lei e sistemarla sotto di me.
<Così va meglio?>
Mi chiede sorridendo e allargando le braccia, dopo aver finito di chiudere la zip.
<Non proprio.>
Sbuffo, girandomi e aprendo la porta.
Una volta uscito dalla camera, tiro un lungo sospiro, tornando a respirare in maniera regolare, e mi avvio verso la cucina.
Anche se, a dirla tutta, vorrei solo tornare in camera con lei, chiudere la porta e gettare la chiave.
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Bluff
RomanceLa vita a volte somiglia ad una partita di poker, e Amanda lo sa bene. Per questo motivo ogni giorno mette in pratica gli insegnamenti di Ethan, il suo primo amore. Ethan le ha insegnato tutto sul poker, regole e trucchi, e Amanda custodisce le su...