Sono tua per sempre

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L’amore non muore con la morte.
L’amore è come un liquido:
quando si riversa fuori,
penetra nella vita degli altri.
L’amore cambia forma e aspetto.
L’amore entra in tutto.
La morte non vince tutto, l’amore si.
L’amore vince ogni volta.

Kate O’Neill




Ci sono diversi modi di correre.
Correre per la fretta, per la gioia, per la rabbia.
Si corre verso qualcuno, e si corre per scappare da qualcosa.
Si corre per la paura, per il terrore, verso la luce, in un posto migliore.
Io corro perché non so fare altro, ora.
Corro per un insieme di motivi: paura, rabbia, verso qualcuno, lontano da qualcun altro.
Corro per la fretta, per il terrore, ma non verso qualcosa di migliore.
Anche quando dalle mie spalle proviene un urlo strozzato, doloroso, io comunque continuo a correre.
Devo farlo, perché non ho scelta, nessuna alternativa.
Corri, piccolo arcobaleno.
Salvalo.
Anche se le lacrime svolazzano intorno al mio viso, rapite dal vento che crea la mia corsa disperata, io corro.
Corro come non ho fatto mai, più veloce del tempo, più veloce della morte.
Estraggo il cellulare che per fortuna ho portato con me, e digito il numero per le emergenze in fretta e furia.
Quando l’operatore risponde, mi limito a comunicare la via in cui dobbiamo tutti correre più veloci della luce, e riattacco senza attendere una risposta.
Abbandono il cellulare sul bancone della hall che supero, e mi sistemo la pistola che mi ha dato Mav nella cintura dei pantaloni, coprendola con la maglietta.
Esco dal Saudade’s ormai quasi del tutto vuoto, ma mi blocco sul marciapiede.
Come raggiungo Logan? A piedi ci metterei una vita.
Mi guardo intorno portandomi le mani ai capelli, mentre i singhiozzi mi alzano il petto e le lacrime mi rigano ancora il volto.
Chiamare un taxi o roba simile sarebbe rischioso, metterei in pericolo altre persone.
Pensa, pensa, pensa.
<Signorina?>
Qualcuno mi chiama alle mie spalle, ed io vorrei evitare di prestargli attenzione perché ho ben altro a cui pensare, ma diventa impossibile quando un anziano signore gobbo e paffuto mi si para davanti.
<Lei lavora qui?>
Mi chiede, indicando il Saudade’s con un dito tremolante.
<Si.>
Rispondo secca, continuando a guardarmi intorno alla ricerca di una soluzione al mio problema.
<Oh, bene!>
Esulta lui, sventolandomi davanti al viso un mazzo di chiavi con una sola chiave e un ciondolo a forma di pistola.
<Ecco, vede...>
Dice, facendo una pausa che dura una vita, dondolandomi il mazzo davanti agli occhi. Dio, non ho tempo per questo.
<Un uomo è entrato di corsa qualche minuto fa.>
Continua, facendo l’ennesima pausa.
<Ha dimenticato le chiavi appese, di sicuro per la fretta, capita spesso anche a me di avere così tanta fretta da...>
<Mi scusi.>
Lo blocco, perché sono io quella che ha fretta ora.
<Oh, mi perdoni, non voglio trattenerla a lungo. Però ecco, vede...>
Un’altra pausa, ed io sto per mettermi ad urlare.
<Le ha lasciate appese, così io le ho prese per evitare che finiscano in mani sbagliate, ho aspettato che tornasse ma ci sta mettendo una vita. Io devo andare via, sa, mia moglie mi aspetta.>
<Un attimo.>
Lo blocco un altra volta, e quando lo guardo lo ritrovo a sorridermi.
Abbasso lo sguardo sul mazzo di chiavi che tiene ancora sospeso tra noi, e qualcosa mi si smuove dentro.
<Erano appese…a che cosa?>
Chiedo poi, attirando un suo nuovo sorriso.
<A quella lì.>
Un’altra volta con un dito tremante, indica un punto vicino al marciapiede.
Quando la vedo, mi si secca la bocca.
Kawasaki Ninja, come quella di Logan. Soltanto che questa non è viola lucido, è nera opaca.
<Mav.>
Sussurro, mentre mi si gonfia il petto, e nuova pioggia mi scende dagli occhi.
Mi giro con uno scatto e rubo di mano le chiavi al vecchietto.
<Grazie.>
Urlo, allontanandomi.
<Ci penso io.>
Raggiungo la moto e ci salgo sopra, inserisco le chiavi e accendo il quadro, poi le rigiro e il mondo viene zittito dal rombo di un motore.
Richiamo alla memoria il ricordo di Logan che guida, mentre io l’osservo da sopra la spalla.
Poggio le mani sul manubrio e con le dita accarezzo i controlli, mentre l’immagine delle sue mani mi torna alla mente.
Non mi concedo il tempo per riflettere, ruoto il polso e do gas.
Con un piede rimuovo il cavalletto, e mi impongo di rimanere in equilibrio.
Ruoto un’altra volta il polso e parto, sperando di riuscire ad arrivare.
Vado piano per abituarmi al mezzo, ma non ho tempo da perdere, perciò ricerco il coraggio dentro di me e ruoto ancora il polso, aumentando la velocità.
In altre circostanze, forse, potrebbe piacermi.
Per fortuna, ho trascorso l’ultima notte a pensare ad un modo per arrivare alla chiesa sconsacrata. Ho studiato le strade, la piantina delle città ed anche una un po' vecchia della chiesa che ho trovato su Google.
Volevo arrivare preparata all’incontro con gli altri, ma…
Mi torna utile, se non altro, perché a questo punto conosco alle perfezione la strada per raggiungere l’inferno.
Arrivo prima di quanto mi aspettassi, dopo aver fatto lo slalom tra le macchine, rischiando di perdere l’equilibrio una decina di volte.
Spengo il motore e abbandono la moto poco distante dalla chiesa, nascosta in un vicolo buio.
Quando mi insegnava a giocare a poker, Ethan mi ripeteva di continuo una regola fondamentale.
Aspetta prima di fare la tua mossa, prenditi del tempo, osserva e ragiona.
La fretta conduce all’errore.
Un insegnamento che mi torna utile in questo caso.
Mi faccio spazio tra i cespugli e le erbacce, e nascosta nell’ombra, riesco ad avvicinarmi quanto basta per osservare.
Mi accovaccio a terra e studio gli avversari.
La piantina che ho studiato, riportava due entrate, così come la maggior parte delle chiese. Una sulla facciata principale, e un’altra sul retro.
Quelle sul retro, di solito, conducono a piccole stanze private o comunque più appartate.
Quella principale, invece, conduce sempre ai grandi saloni, dove stanno gli altari e tutto il resto.
Per questo motivo, ho fatto in modo di avvicinarmi a quella sul retro per osservare.
Se succede qualcosa di losco, qualcosa di cui non si vuol fare notizia, nessuno utilizzerebbe un grande salone sacro.
Troppo grande, troppo dispersivo, troppo in vista.
I miei calcoli si sono rivelati esatti, almeno credo.
La porta sul retro è sorvegliata, due grossi uomini stanno appostati immobili, e ogni tanto qualcuno entra oppure esce.
Quella è l’entrata che utilizzano.
Mi alzo dal mio nascondiglio, ma continuo comunque a camminare con la schiena piegata, per evitare di farmi vedere.
Nascosta nel buio del quartiere, e da qualche albero che addobba il cortile della chiesa che un tempo doveva essere maestosa, mi avvicino alla porta principale.
Come previsto, non c’è nessuno qui, almeno fuori.
Per raggiungere la porta devo abbandonare il mio nascondiglio, e muovermi in un ampio spazio aperto, questo mette sul tavolo la possibilità di essere vista.
Mi metto dritta sulla schiena, inspiro l’aria rinchiudendola in un lungo respiro, e tiro fuori la pistola dalla cinta dei pantaloni.
Mi tremano le mani.
Non lascio spazio alla paura, impugno la pistola con entrambe le mani, e la alzo davanti al viso come mi ha insegnato Logan.
Poi, pregando, inizio a camminare.
Raggiungo la porta senza nessun ostacolo, e la spingo per entrare senza neppure guardarmi intorno o riflettere. Se lo facessi, forse non entrerei.
Sono terrorizzata quando metto piede nel salone buio, ma la voglia e il bisogno di salvare il mio serpente supera le minacce della paura.
Mi guardo intorno puntando la pistola, ma non c’è nessuno qui, neppure un rumore.
Regna il silenzio, e la luce della luna entra dalle vetrate colorate illuminando spogli tavoli da gioco.
Bische clandestine, ha detto Logan, perciò è a questo che serve il salone ora vuoto.
Probabilmente, sono tutti troppo impegnati con la preda appena catturata, non c’è tempo per il gioco.
Mi avvicino all’altare con passi silenziosi, quasi strisciando come sa fare Logan.
È stato lui ad insegnarmelo, durante uno dei nostri allenamenti.
Alza bene il piede, appoggialo piano, compi movimenti lenti dal tallone alla punta.
Ed è così che mi muovo, fino a raggiungere il vecchio altare di marmo, ormai rovinato.
Accanto all’altare c’è una porta, o meglio, quella che una volta era una porta.
Ormai solo un cornicione.
Conduce alla sacrestia, ed io mi ci infilo puntando la pistola verso ogni angolo.
Stanze vuote, bottiglie gettate per terra, crocifissi storti appesi ai muri. Dappertutto.
Per il resto, niente.
Niente Logan, niente El Rey, nessuna anima viva.
Ma quando mi fermo per rallentare il battito e prendere aria, schiacciandomi contro una parete, un suono mi giunge all’orecchio.
Qualcosa che cade, forse, o qualcosa che sbatte.
Cerco di captare i suoni nel silenzio, e mi avvicino cauta ad una stanza.
<Ebbene.>
Mi giunge una voce, e mi avvicino ancora un po'.
<Alla fine sei venuto da me.>
È un uomo, e adesso ride di gusto.
<Non me l’aspettavo, devo essere sincero. Credevo fossi troppo occupato a scoparti la volpina dal pelo rosso.>
<Vaffanculo.>
Sgrano gli occhi e il cuore perde un battito.
Logan.
Mentre l’uomo riprende a sghignazzare, io mi muovo avvolta nel silenzio e seguo le voci che ora mi arrivano chiare.
<È sempre stato affascinante venirti dietro, sai? Sei così...imprevedibile. Non mi hai fatto di certo annoiare.>
Scorgo delle basse scale, e da sotto arriva una luce tremolante, come se fosse illuminato da una candela.
Con la pistola protesa, inizio a scendere i gradini.
<Eppure ora ti sei arreso. Perché? Non dirmi che lo fai per amore.>
<Ti ho proposto un accordo.>
La voce di Logan mi fa sussultare un’altra volta, e mi fermo sulle scale.
<Puoi fare di me ciò che vuoi ora.>
Soffoco un singhiozzo, perché le sue parole mi fanno immaginare uno scenario che mi terrorizza.
<Ma devi dimenticarti di lei, e di tutti i miei amici. Per sempre. La mia vita in cambio della loro libertà.>
Mentre l’uomo ricomincia a ridere, io sento le gambe molli.
Dovevamo farlo insieme.
Dovevamo riprenderci la libertà di tutti, una vita libera per ognuno di noi.
Invece lui si sta sacrificando. Da solo.
<Non credevo che ti avrei mai visto implorare.>
L’uomo ride ancora, ed io non riesco più a proseguire. Cosa dovrei fare ora?
<Non sto implorando. Ti sto offrendo un patto. Tra uomini.>
<Uomini.>
Lo sento schioccare la lingua.
<E quand’è che saresti diventato uomo, tu?>
Sento dei passi strascicati, e mi guardo intorno nel panico.
Scorgo una piccola rientranza nella tromba delle scale, stretta, ma per fortuna sono più magra di quanto dovrei.
Con movimenti veloci, mi lascio scivolare, ed entro di profilo nella strettoia, nascondendomi.
<Tu non sei uomo, sei un ratto.>
Sussulto quando un forte rumore giunge a me, e quando sento sputare per terra capisco cosa lo ha provocato. Un pugno. Logan ha appena ricevuto un pugno.
Ed io sono qui, nascosta, inerme.
<Un vero uomo non si inginocchierebbe per salvare una donna inutile.>
Un altro tonfo, e l’urlo strozzato di Logan mi penetra nelle ossa.
Un calcio allo stomaco, perché ora lo sento boccheggiare.
<Un vero uomo se le scopa le donne, perché è a questo che servono. Che c’è, la ami? L’amore è per i deboli.>
Un altro forte rumore, e questa volta gli scappa un grido di dolore.
<E allora...>
Parla, con la voce rotta e sofferente.
<...allora sono debole.>
Ammette, ed io sono costretta a portarmi le mani alla bocca per soffocare i singhiozzi.
Sento dei passi sulle scale, e dopo un minuto un’ombra le scende, superandomi senza notarmi.
Se ci fosse abbastanza silenzio, forse, riuscirebbero a sentire il mio cuore che batte all’impazzata.
<Signore?>
Lo richiama l’uomo che è appena sceso.
<Che c’è?>
Gli si rivolge lui, il disprezzo nel tono.
<Colin è qui.>
Il respiro mi muore in gola, non so più come si fa, non trovo più l’aria.
Se lui è qui…
Una lacrima salata mi bagna le labbra, ed io vorrei urlare e gettare una bomba in questo posto, anche con me ancora dentro.
<E quindi?>
Sputa l’uomo.
<Che dovrei fare? Una festa di ben tornato?>
<C’è stato un...incidente.>
No, no, no.
Perché, Mav? Perché non sei venuto con me?
<Siete tutti degli inutili topi di fogna.>
Sbuffa, e poi dei passi si muovono nella mia direzione.
Trattengo il fiato quando mi passano davanti, salendo in cima alle scale senza accorgersi di me.
Li sento allontanarsi e a questo punto torno a respirare.
Resto in ascolto per captare altri movimenti, ma l’unico suono che mi giunge è Logan che tossisce.
Devo farlo adesso.
Deglutisco, e poi mi muovo per strisciare fuori dal mio nascondiglio.
Scendo piano le scale, con la pistola ben salda tra le mani e protesa in avanti, pronta a fare fuoco se serve.
Raggiungo la stanza infondo alle scale, illuminata da una tremolante candela.
Logan è accasciato a terra, le braccia a stringersi lo stomaco.
<Ehi.>
Bisbiglio per non farmi sentire, e mi getto su di lui, inginocchiandomi per terra.
Quando alza lo sguardo, i suoi occhi si riempiono di terrore.
Ha un sopracciglio spaccato e un labbro gonfio, i capelli scombinati, ma…
Sta bene. È vivo.
<Che ci fai qui?>
Mi chiede subito, allarmato.
<Ti porto via.>
Rispondo, portandomi il suo braccio intorno al collo e aiutandolo ad alzarsi.
<No.>
Bisbiglia, mettendosi in piedi e allontanandosi da me.
<No, no, no.>
<Va tutto bene.>
Cerco di tranquillizzarlo, e gli prendo le mani per dare a lui la pistola.
Di certo è più utile tra le sue mani.
<C’è una porta.>
Gli dico, indicando la porta alle sue spalle.
<Ho studiato la piantina, deve esserci un passaggio sotterraneo.>
Lo supero per raggiungere la porta, e lui mi guarda con gli occhi spalancati, in panico.
<Molte chiese li avevano prima, li usavano per...>
<No.>
Ripete lui, ed io mi volto per guardarlo.
<No, Amanda, devi andare via di qui.>
Con un balzo mi arriva di fronte, e mi prende il viso tra le mani.
<Perché, perché sei venuta?>
Scuote la testa.
<Per salvarti.>
<No, no, no. Cazzo!>
Alza un po' troppo la voce, ed io temo possano sentirci.
<Va bene, Logan.>
Inizio anche io a scuotere la testa, e gli prendo una mano per intrecciare le mie dita con le sue.
<Dobbiamo solo uscire, qui c’è un passaggio, fidati di me.>
<Cazzo, perché sei venuta?>
Continua a scuotere la testa, terrorizzato.
<Perché io non voglio vivere senza di te.>
Ammetto, lasciando andare una lacrima, lo sguardo che lo implora.
<Non dovevi venire, non dovevi venire, non dovevi venire.>
Ripete, in trance.
<Logan.>
Gli prendo il viso tra le mani, mentre lui lo scuote, schiavo della stessa paura che mi fa battere il cuore.
<Andiamo.>
Dico, implorandolo indirettamente.
<Asso...>
Mi accarezza la guancia con una mano, ed io inclino il viso per assaporare il suo tocco.
<Andiamo, Logan.>
Gli ripeto, girandomi per aprire quella porta, la mia mano stretta nella sua.
<Non credo proprio.>
La stessa voce di prima parla dalla fine delle scale, e quando mi giro di scatto Logan mi si para davanti.
Non mi servono presentazioni per capire chi ho di fronte.
Felipe Cruz. El Rey.
Le mani iniziano a tremarmi, anche se Logan tiene ancora stretta la mia.
L’uomo ha una cicatrice sul viso, parte dall’orecchio destro e arriva al labbro, tagliandolo a metà.
È vestito di nero come la morte, e tiene una pistola tra le mani, la stessa che tiene stretta anche Logan.
<Abbiamo fatto un accordo.>
Gli dice, premendomi la schiena contro il petto.
<Lasciala andare.>
L’uomo ride e fa qualche passo verso di noi.
<Non mi pare di aver accettato alcun accordo.>
Inclina la testa e sposta lo sguardo verso di me, ma invece di tremare alzo il mento e lo guardo a mia volta.
<Levati di mezzo, fammela guardare.>
<No.>
La risposta di Logan lo irrita visibilmente, ma comunque ride e alza un sopracciglio.
<Spostati.>
Gli ordina, ma invece lui mi tiene più stretta.
<No.>
Ripete, assumendo la sua espressione di sfida.
Adesso anche lui sorride, ma ora so che non significa che non ha paura.
<Se non ti levi dal cazzo, pivello>
Alza la pistola nello spazio vuoto tra noi, ed io perdo la lucidità.
Tremo, stretta al corpo di Logan.
<Ti sparo un colpo al cuore.>
Lo sento allentare la presa intorno alla mia mano, e il cuore mi esce dal petto, stingendosi a lui.
Logan muove qualche passo avanti, e si allontana da me mentre mi scappa un singhiozzo.
Sono pietrificata, non riesco a muovermi, forse non respiro neanche più.
<La mia vita>
Gli dice, gettando la pistola per terra e allargando le braccia.
Inizio a piangere, senza neppure rendermene conto, il volto mi si riempie di pioggia.
<per la sua libertà.>
Ispiro bruscamente, sotto shock.
Il tempo si è fermato, la terra non gira più, il cuore non sa più come battere e l’aria è sospesa e immobile sopra di me.
L’uomo con la cicatrice sorride inclinando il viso, come se stesse aspettando questo momento da lungo tempo.
Ed io non so che fare, ci vedo nero, tutto ha colori diversi e voglio solo urlare forte.
Osserva, mi ripete la mia vocina.
E in un secondo, vedo il suo dito sistemarsi sul grilletto, e tutto inizia ad andare a rallentatore.
Un altro secondo, e vedo il dito cambiare colore mentre applica pressione sul grilletto.
<Logan!>
Urlo, ma ci vuole un altro secondo.
Un altro secondo, e il mio corpo si muove da solo.
Un secondo, e mi ritrovo davanti al mio serpente, sospesa in aria, mentre mi getto tra lui e il proiettile.
Un secondo, e un dolore sconvolgente mi avvolge il petto.
Sirene della polizia cantano intorno a noi, mentre io mi ritrovo per terra, un sapore ferroso in bocca.
Logan si getta su di me, poggia la mia testa sulle sue ginocchia e fissa il mio petto con il panico negli occhi.
<No, no, no!>
Urla, scuotendo la testa.
Gli occhi mi diventano pesanti, ed io combatto per tenerli aperti, solo per osservare il suo viso ancora per un po'.
<Cazzo!>
Urla di nuovo, mentre il suo viso diventa rosso e gli occhi gli si bagnano.
<Amanda.>
Mi richiama, ed io mi sforzo per guardarlo e inclinare le labbra in un sorriso.
<Non chiudere gli occhi.>
Mi dice, muovendo le mani su di me, frenetiche.
<Mi hai sentito, asso? Non devi chiudere gli occhi.>
Scuote il capo, e il viso gli si bagna di pioggia, sento i tuoni provenire dalla sua testa.
Ma io…
io sento la pace nella mia.
<Logan.>
Gli dico, la voce flebile e rauca.
<Questo è un regalo.>
Deglutisco, mentre lui scuote la testa come impazzito.
<No.>
Ripete, un suono assordante per le mie orecchie che fischiano.
<Va bene morire così.>
Le mie parole gli strappano un sussulto, e il suo viso si piega sul mio, mentre lui piange lacrime che mi curano le ferite invisibili.
<Hai visto?>
Gli dico, mentre anche dai miei occhi scende una goccia di pioggia.
<Alla fine non sono stati i tuoi baci.>
Il mio respiro si fa più debole, e quasi riesco a sentire il cuore mentre piano trova riposo.
<No, no, no.>
Ripete, anche se io vorrei sentirgli dire altro.
<Morire tra le tue braccia è l’ultimo regalo che la vita mi sta facendo, ed è bellissimo.>
<Smettila!>
Mi urla, accasciandosi su di me, il suo naso che sfiora il mio.
<Morire tra le braccia della persona che...>
Tossisco, la bocca piena di un liquido disgustoso, il cuore stanco.
<...della persona che amo.>
Concludo, mentre lui poggia la sua fronte sulla mia e intreccia le nostre dita sul mio addome bagnato.
Scuote la testa, premuto contro la mia pelle, ed io vorrei avere la forza per alzarmi quanto basta per baciarlo.
Un ultimo bacio, prima di tornare alla pace.
Prima di perderlo, con la promessa che lo aspetterò ovunque vada.
Qualsiasi cosa ci sia dopo, io sarò lì ad aspettarlo.
Che sia inferno o paradiso, pace o caos, buio o luce.
Qualunque sia il luogo in cui finiremo, noi ci ritroveremo lì.
L’amore non conosce fine, neanche la morte mi farà smettere di amarlo.
E lo amerò anche quando il mio corpo non farà più parte di questo mondo, anche da un’altra dimensione, su un altro pianeta o persa tra le stelle.
Lo amerò sempre, anche oltre la morte, perché il mio amore per lui non sa come arrendersi. Il mio amore per lui non è qualcosa che si può toccare, e così non si può neppure uccidere.
È eterno.
<Ti amo, Logan.>
Finalmente lo ammetto, finalmente lo dico e mi libero da questo fardello.
Lui doveva saperlo.
Ho bisogno che lo sappia, ho bisogno che se ne ricordi e che lo racconti a chiunque venga dopo di me.
Voglio che non lo dimentichi, mai.
Voglio che non ne dubiti, come non lo faccio io.
Voglio che lo urli ai cieli, che lo regali ai mari, che lo renda immortale.
<Adesso sarò tua per sempre.>
Ed è così.
Perché in vita tante cose potrebbero cambiare, tante allontanarci e trasformarci.
Ma con la morte…
con la morte sono sua per sempre.
Con la morte stringo un patto in questo momento, solido e perpetuo nel tempo.
Cara morte, io ti accolgo, ma in cambio tu stai lontana da lui.
Vivi, mia anima di ghiaccio.
Vivi e racconta del fuoco che ti ha accarezzato, racconta del mio fuoco e ricordatelo.
Ricordati di me.
Non mi dimenticare, perché se tu mi dimenticassi io morirei ancora e ancora all’infinito.
Amami anche oltre la morte, perché così farò io.
Sempre e per sempre.
Sono tua in eterno.
<Ti prego...>
Lo sento sussurrare sulla mia bocca, ma io sono troppo stanca.
Gli occhi ormai si sono chiusi, e anche se vorrei guardare i suoi d’argento ancora un po', non ci riesco.
Non riesco neanche più a stringere la sua mano, anche se vorrei portare con me il suo tocco, perché abbandonarlo mi fa troppo male.
Ma va bene.
Va bene così.
Morire per lui vale la pena.
Tutto ciò che ho fatto per arrivare a lui, ne è valsa la pena.
Perché con lui sono stata felice.
Con lui ho imparato l’amore.
<Bastardo.>
Pronuncia l’uomo che finora mi ha guardata morire, vicino alla porta da cui volevo scappare.
<Sei proprio un bastardo fortunato,  Ethan Baker.>
E poi l’oblio.

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