Condizioni

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Odio il fatto di aver acconsentito, alla fine. Ancor di più odio il fatto che non ho neppure lottato, il che non è da me.
In ogni caso, adesso non c’è più il tempo per tirarsi indietro. Tom è già passato a prendermi, e mi ha già abbandonata davanti all’ingresso di un lussuoso ristorante. Per fortuna, avevo messo in conto la location da ricco stronzo, e mi sono vestita in maniera adeguata.
Il pantalone nero a zampa è attillato sui fianchi e sul sedere, poi scende morbido sulle gambe troppo magre, facendole sembrare più in carne. Le décolleté bianche si abbinano alla canottiera di pizzo, anche essa bianca, che incornicia il mio seno da sotto la giacca nera.
Ho realizzato una piega mossa ai miei capelli sempre troppo lisci, e mi sono truccata. Quando alla fine mi ero guardata allo specchio, prima di uscire dalla mia camera, mi ero chiesta perché mi fossi preparata a quel modo.
Di solito, impiego tutto questo tempo a prepararmi solo quando esco con Betty, per una delle nostre serate pazze. In quei casi, l’intenzione è sempre quella di sedurre, e ci riesco anche. Ma questa volta, perché mi sono fatta bella per il serpente?
Domande a cui non esiste risposta, almeno per il momento, perciò abbandono quei pensieri ed entro nel ristorante.
Una ragazza con un abito lungo e alti tacchi, dietro ad un tavolino su cui sta una grossa agenda, mi accoglie con un sorriso.
<Salve, nome?>
Non rispondo subito, perché troppo persa ad ammirare il posto.
Enormi lampadari pendono dal soffitto, donando all’ambiente una luce soffusa ma non troppo buia. I tavoli sono abbastanza piccoli, infatti in ognuno non sono sedute più di due persone, e oltre ai piatti c’è spazio solo per tenersi per mano.
Lo stile è moderno, accogliente, e sottolinea la ricchezza a cui è abituato.
<Signorina, mi serve un nome.>
<Oh,si,scusi.>
La voce della ragazza mi riporta al presente, ed io mi sento stupida per essermi meravigliata a tal punto per un ristorante, come se venissi dalla luna.
<Martin.>
Inizia a far scorrere il dito sull’agenda, e io mi sporgo appena oltre il bordo del tavolo. Noto che sul foglio sono scritti numerosi nomi, e lei fa scorrere il dito dall’alto verso il basso per cercare il mio.
<Non c’è.>
Dice, riportando lo sguardo su di me, e io noto l’accenno di un sorriso.
<Impossibile, controlli meglio.>
<Ho detto che non c’è.>
<Senti, non...>
Stavo per dirle che non me ne frega un accidenti di quello che lei dice, ma una mano calda si poggia sulla mia schiena, e improvvisamente mi blocco.
<Lei è con me, Taylor.>
Mi ammutolisco, mentre la ragazza gli rivolge un sorriso per niente sincero, e lui mi spinge appena per convincermi a camminare.
Arriviamo al tavolo, e il calore della sua mano lascia la mia schiena per aprirmi la sedia. Finalmente lo guardo.
Indossa un abito grigio e una cravatta abbinata, il serpente mi saluta da sotto il colletto, e i suoi capelli sembrano tagliati da poco. Ha un accenno di barba, e questo fa fare una capriola al mio cuore.
Mi ritrovo ad inspirare bruscamente, e mentre mi dirigo verso la sedia opposta e la scosto dal tavolo, espiro. Mi siedo mentre lui tiene ancora aperta la sedia che io ho appena rifiutato, e gli sorrido.
<Siedi pure.>
Dico, incrociando le mani sotto al mento.
Lui mi guarda e poi sorride, come se si aspettasse quella reazione. Si siede e si allenta appena la cravatta, i miei pensieri navigano su mari assai pericolosi ammirando quel gesto.
<Vino?>
Chiede, con la bottiglia in mano.
<Si, grazie.>
Riempie entrambi i nostri bicchieri di vino rosso, e non appena il liquido entra in contatto con le mie labbra mi sento percossa da brividi su tutto il corpo.
Senza dubbio il vino più buono che io abbia mai bevuto.
E, senza dubbio, due soli bicchieri basteranno per farmi perdere la ragione.
<Allora, perché siamo qui? Altri paparazzi in giro?>
Prendo la parola prima che possa farlo lui, e prima che i miei pensieri prendano una pessima direzione.
<Suppongo tu abbia visto l’articolo, stamattina.>
<Non me lo sarei mai persa.>
Ironizzo.
<Però no, niente paparazzi questa volta, o almeno lo spero.>
<Allora cosa?>
Lo osservo mentre prende un sorso del suo vino, e il mio sguardo si concentra troppo sulle sue labbra carnose, così tanto da notare la piccola goccia di vino che ci si deposita sopra. Lui però non se ne accorge, e la lascia lì a distrarmi mentre parla.
<Siamo qui per affari, il nostro accordo ha bisogno di...>
<Regole?>
Sorride alzando un sopracciglio, quasi meravigliato dalla mia improvvisa reazione.
<Condizioni.>
Questa volta sono io a prendere un sorso di quel meraviglioso vino, e lascio che guardi quando lecco via la gocciolina ribelle dalle mie labbra.
<Ti ascolto, serpente.>
<Se la prima condizione fosse quella di non chiamarmi più così, la rispetteresti?>
<No.>
<Come pensavo.>
Si toglie la giacca e la sistema sullo schienale della sedia, poggia i gomiti sul tavolo ed io mi fermo a guardare i muscoli dei suoi bicipiti che si gonfiano sotto la camicia. Pessima idea osservarli, tra l’altro.
<Condizione numero uno, asso, non potrai uscire con nessun altro. Quando il nostro tempo sarà terminato, allora potrai farlo, ma non prima.>
<Che cosa? Come...>
Alzo un po' troppo il tono di voce, già accecata dalla rabbia, e il resto degli ospiti del ristorante mi rivolge delle occhiatacce. Perciò mi appoggio sul tavolo e mi sporgo verso di lui, abbassando la voce.
<Come puoi chiedermi una cosa simile? Noi non stiamo insieme per davvero, posso uscire con chi voglio.>
<Hai ragione, ma per l’opinione pubblica invece si. Che cosa accadrebbe se ti fotografassero mentre sei intenta a pomiciare con un altro, fuori da uno scialbo bar?>
Trattengo una risata.
<Hai davvero detto pomiciare?>
<Si, per non dire che ti fai infilare la lingua in bocca dal primo che ti capita. Perché lo fai, non è così?>
Stringo i pugni sul tavolo, e mi ci vuole una grossa dose di autocontrollo per non schiaffeggiarlo.
<Non sai niente di me.>
<Vero anche questo, ma non è rilevante.>
Mi appoggio allo schienale della sedia e accavallo le gambe, cerco di assumere un atteggiamento rilassato per non mostrargli la mia irritazione.
<Che altro c’è?>
<Non potrai mostrarti in pubblico in atteggiamenti indecorosi, quali ubriaca, mezza svestita, o esageratamente festaiola.>
<Credi che io sia un adolescente con gli ormoni impazziti?>
<Io non credo niente, asso.>
<Allora perché temi che io possa comportarmi in questo modo? E perché questo dovrebbe recarti un problema?>
<Perché ne andrebbe della mia reputazione, in quel caso.>
Sbuffo una risata e prendo un abbondante sorso di vino.
<Che altro, serpente?>
<Dovrai firmare un contratto in cui acconsenti a queste condizioni, e un accordo di riservatezza con cui ti impegni a non divulgare mai nulla su di me o su questo accordo.>
Stavolta rido sul serio, e lui si morde il labbro inferiore, come se la mia risata lo mettesse a disagio.
<Chi sei, Christian Grey?>
Sorride di mezzo lato ed io mi costringo a distogliere lo sguardo dalle sue labbra, una volta per tutte.
<Una cosa del genere.>
<Senza manette e frustini, mi auguro.>
<Non servirebbero.>
I suoi occhi mi inchiodano alla sedia, e per qualche assurda ragione mi ritrovo a stringere le cosce sotto al tavolo.
<C’è altro?>
<Si.>
<Grandioso.>
Sorride beffardo ed io resisto all’istinto di fare lo stesso.
<L’accordo partirà dal momento in cui firmerai i contratti, gli incontri precedenti li considero una prova. Trenta giorni, né più e né meno.>
<Mi hai già rubato due o tre giorni, però.>
<Dovevo accertarmi che fossi quella giusta.>
Quella giusta.
Quella giusta per cosa? Per essere la sua bambola?
<Vediamo se ho capito bene, serpente>
Prendo un altro lungo sorso di vino e svuoto il mio bicchiere, mi sporgo sul tavolo per avvicinarmi a lui. Il suo sguardo scende sul mio seno praticamente poggiato sul tavolo, e io sorrido.
<Finché non firmo sono libera, giusto? Non sono costretta a fare tutto ciò che dici, o a correre da te ogni volta che lo desideri, non è così?>
<È corretto.>
<Bene, allora.>
Mi alzo dalla sedia con l’eleganza di una regina, prendo la borsa e sposto i capelli oltre le spalle. Giro intorno al tavolo e mi fermo davanti a lui, mi abbasso lentamente verso il suo viso e gli stampo un lento bacio sulla guancia, lasciandogli un tatuaggio con il rossetto. Mi avvicino al suo orecchio e parlo quasi in un sussurro, mentre cerco di non farmi distrarre dal suo profumo di gelsomino.
<Ci vediamo, serpente velenoso.>
Quando mi allontano, lo vedo sorridere e portarsi una mano alla cravatta per allentarla ancora.
Lo guardo di sfuggita, mentre mi avvio verso l’uscita muovendo le anche. So che mi sta guardando andare via, e so che gli piace quello che vede.

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